Secondo il portavoce del Tpi, Laurence Blairon l'Alta Corte penale dell'Aja non ha accolto l'accusa per genocidio perché Ocampo non ha fornito ragionevoli motivi per credere che il governo del Sudan abbia agito con lo specifico intento di distruggere, in tutto o in parte, i diversi gruppi etnici che popolano il Darfur. Per il portavoce, anche se per ora il reato di genocidio non è incluso nel mandato di arresto in ogni caso i giudici hanno sottolineato che, se il procuratore metterà a disposizione nuove prove ed informazioni, questa decisione non pregiudica un futuro emendamento del mandato di arresto che possa includere anche il genocidio.
Omar el Bashir, da parte sua, ha da sempre respinto ogni accusa, ed ha sempre detto che un eventuale mandato d'arresto nei suoi confronti non avrebbe avuto nessun valore. Ieri il presidente sudanese ha liquidato l'ordine di arresto del Tpi per crimini di guerra e crimini contro l'umanità per il Darfur, dichiarando con tono di sfida: ''Se lo possono benissimo mangiare''. Negli ultimi mesi, il presidente sudanese ha più volte sostenuto che l'Alta Corte era frutto di un complotto al 100 per cento sionista volto a destabilizzare il Sudan ed ha tentato di mobilitare la popolazione contro la corte stessa. el Bashir ha anche chiesto la formazione di un grande fronte dei popoli liberi contro il neocolonialismo e l'egemonia straniera, rivolgendosi, come ha precisato, ai popoli dell'Asia, dell'Africa, del mondo arabo e dell'Europa. Dopo il pronunciamento del Tpi, in Sudan, migliaia di persone sono scese in piazza urlando slogan a sostegno del presidente e puntando il dito gli contro gli Stati Uniti, il Regno Unito e Israele. Manifestazioni di sostegno a cui è giunta anche la voce di el Bashir che per arringare la folla ha detto: “Vengo accusato di genocidio dalle stesse persone che hanno fatto una guerra in Vietnam e che hanno lanciato bombe atomiche in Giappone". Il presidente sudanese ha poi accusato la comunità internazionale, occidente ed Onu un testa, di aver prima tentato, senza successo, di applicare sanzioni contro il Sudan, e poi di aver emesso un mandato di cattura nei suoi confronti per le stragi in Darfur allo scopo di voler mettere le mani sulle risorse naturali del Paese.
Secondo le stime dell'Onu, in Darfur dal 2003 ad oggi sarebbero morte circa 300mila, vittime di una spietata repressione attuata dal governo di Khartoum. Più pesante è il bilancio delle persone che sono state costrette alla fuga per sfuggire al dramma della guerra, si stima che il loro numero sia molto vicino ai 3 milioni di persone. Il portavoce del Tpi si è espresso in proposito affermando che: “le violenze sono il risultato di una pianificazione organizzata ai più alti livelli del governo sudanese”. Per la prima volta, da quando è nata con il Trattato di Roma nel 1998, l'Alta Corte ha emesso un mandato d'arresto nei confronti di un capo di stato in carica. Una decisione storica!
Intervenendo in merito, il vice ministro della giustizia sudanese ha affermato che: “Il Sudan non consegnerà nessuno al Tpi dell'Aja e tantomeno il suo presidente”. Come prima 'ritorsione' il governo di Karthoum ha ordinato alle Ong di abbandonare immediatamente il Paese.
Difficilmente, nonostante il mandato, el Bashir verrà effettivamente assicurato alla giustizia internazionale. Primo perchè le autorità sudanesi, che non hanno mai ratificato il Trattato di Roma, hanno sempre rigettato ogni accusa e fatto sapere che non coopereranno nella cattura del presidente. Secondo perchè chi potrebbe assolvere a questo compito, ossia i peacekeepers presenti in Darfur nell'ambito della missione di pace denominata Unamid, dispiegata sotto l'egida dell'Onu e dell'Unione Africana, Ua, probabilmente non lo faranno mai. Anzi è molto più probabile che i caschi blu dell'Unamid, d'ora in poi, dovranno ancora di più guardarsi le spalle. Gli uomini del contingente di pace hanno già subito, da quando sono in Darfur, innumerevoli attacchi sia dai miliziani filo governativi sia dai ribelli che hanno provocato in totale la morte di circa 30 caschi blu. I primi segnali c'erano stati già nei mesi scorsi, quando le autorità sudanesi avevano avvertito che l'emissione di un mandato di cattura nei confronti del loro presidente avrebbe potuto avere serie conseguenze per la sicurezza dei caschi blu.
La domanda che sorge ora spontanea è quella che riguarda le possibili conseguenze dell'ordine di arresto di el Bashir sul processo di pace in Darfur. Un processo che è stato avviato da oltre 4 anni ma che non è mai seriamente decollato soprattutto a causa delle divisioni interne ai ribelli stessi, che dagli iniziali due gruppi si sono poi frammentati in oltre una decina di gruppi.
La parola passa ora nelle mani dell'Onu, che nel 2005 ha dato al Tpi la giurisdizione per investigare sui possibili crimini di guerra commessi in Darfur. I Paesi dell'Ua e della Lega Araba, preoccupati delle possibili conseguenze di un mandato di cattura, hanno fatto pressioni sul Consiglio di Sicurezza perché "congelasse" il mandato per un anno. Ma i membri del Consiglio, specie quelli con diritto di veto, appaiono divisi: contrariamente a Russia e Cina, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna non sembrano disposti a concedere altre possibilità ad el Bashir.
Secondo Mikhail Margelov, inviato speciale russo per il Sudan, il mandato d'arresto contro il presidente sudanese rappresenta un pericoloso precedente e potrebbe avere un effetto negativo sia nella situazione interna in Sudan sia nell'intera regione. La Russia ha proposto la sospensione per un anno dell'inchiesta penale a carico del presidente sudanese appoggiando di fatto la richiesta presentata dell'Ua, della Lega araba e dell'Organizzazione della conferenza islamica.
La sospensione per un anno di un procedimento penale è prevista dall'articolo 16 dello Statuto del Tpi. Inoltre la Russia ha fatto notare che el Bashir, in quanto presidente di un Paese che non fa parte dei 106 che hanno aderito al Tpi, nel rispetto del diritto internazionale, gode dell'immunità riconosciuta al più alto organo dello Stato. Nella consapevolezza che questo atto compiuto nei confronti del presidente sudanese funzionerà come strumento per esercitare pressione nei confronti del governo di Khartoum a porre fine al dramma che è in corso in Darfur la diplomazia internazionale si è messa già all'opera per trovare un compromesso tra le parti ed impedire un evoluzione in negativo della vicenda che potrebbe portare anche allo scoppio di un conflitto del tipo di quello scoppiato in Iraq.
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