Tutti gli interpreti della
vicenda che vede in India due marò, Massimiliano LaTorre e Salvatore Girone, loro
malgrado, protagonisti stanno eseguendo le loro mosse come se si trovassero su
di una grande scacchiera. Il loro però, non è un gioco. Quello in corso è forse una manovra per uscirne in maniera onorevole.
La vicenda, caratterizzata fin
dall’inizio dall’atteggiamento intransigente delle autorità locali indiane del
Kerala, ha finora visto contrapporsi da una parte l’Italia e dall’altra l’India.
In questa parte meridionale
del Paese asiatico, nella città portuale di Kochi, fino a pochi giorni fa vi erano trattenuti,
anche se in regime di semilibertà, contro la loro volontà e quella del loro
governo, i due sottoufficiali della Marina Militare italiana. Ora i due si
trovano in permesso Italia.
Sconosciuti fino a 10 mesi
fa LaTorre e Girone sono saltati alla ribalta della cronaca internazionale dopo
che le autorità dello stato federale del Kerala senza se e senza ma li hanno
accusati di aver ucciso, il 15 febbraio scorso, in mare, anche se per errore
scambiandoli per pirati, due pescatori locali, Valentine Jalestine e Ajesh Binki. Per questo motivo i
due marò sono stati presi e trattenuti. Dovrebbero
ora affrontare un processo in cui devono rispondere di diverse accuse. La più grave
è quella di omicidio. Se giudicati colpevoli il codice penale indiano prevede
una condanna all’ergastolo o a morte per impiccagione. Il Processo però, non si
è ancora svolto. La prima udienza, originariamente prevista per il 25 luglio
scorso, è stata rimandata più volte nel tempo. Non può tenersi almeno fino a quando la Corte
Suprema di New Delhi non si pronuncerà sulla giurisdizione del loro caso. Un
pronunciamento atteso inutilmente finora e che di rinvio in rinvio ha
trascinato la vicenda fino ad oggi generando in Italia non poche polemiche a
volte anche inappropriate. La giurisdizione è contesa tra India e Italia. Per
l’Italia l’incidente è accaduto in acque internazionali e quindi secondo il
diritto internazionale le spetta la giurisdizione. Non è dello stesso parere il
Kerala.
Lo stato federale del Paese
asiatico, potenza nucleare e economica, rigetta ogni pretesa italiana
affermando che i due militari devono essere giudicati dal tribunale di Kollam
competente per giurisdizione in quanto i due pescatori morti erano originari di
questo distretto.
Il governo centrale indiano
si dice impotente contro il comportamento delle autorità locali indiane del
Kerala. Un comportamento che è di fatto contrario al principio dal codice
penale internazionale secondo cui gli organi dello Stato sono immuni dalla
giurisdizione penale dello Stato straniero quando svolgono attività ‘iure
imperii’.
Comunque sia è convinzione
generale che la Corte Suprema indiana è difficile che si possa pronunciare
contro la richiesta di giurisdizione richiamata dall'Italia in base al diritto
internazionale. Diversamente verrebbero
meno tutti i valori giuridici che tengono insieme la giurisprudenza nazionale e
internazionale, nel senso che chi si farebbe carico di una decisione contro
macchierebbe il proprio onore e quello dell’istituzione che rappresenta. Ed eco
spiegato il decidere del massimo organo giudiziario indiano di non decidere. Forse
in questo modo gli indiani sperano di guadagnare tempo, forse aspettando un ‘miracolo’, per uscire dalla situazione
creatasi. Un palese tergiversare, da parte degli indiani, per poter fare
dietrofront salvando però, ‘cavolo e capra’.
Una soluzione potrebbe venire
dal governatore dello Stato indiano del Kerala, Oommen Chandy. Tra i poteri del capo dell’esecutivo dello
stato indiano vi è anche la facoltà di concessione della Grazia. Potrebbe
essere questa la soluzione. Un atto di clemenza
nei confronti dei due marò.
Forse la concessione del temporaneo
rientro in patria dei due militari rappresenta proprio l’anticamera a questa
possibile soluzione della vicenda. Anche perché, sebbene il loro rientro a Kochi
in India è previsto entro il 10 gennaio prossimo, in Italia l’opinione
condivisa da molti è che ora sia giunta il momento di trovare una soluzione,
definitiva, per ‘tenere’ a casa i due marò italiani.
Kochi è la città indiana del
Kerala in cui è iniziata questa vicenda dopo che la petroliera italiana ‘Enrica
Lexie’, della società armatrice partenopea F.lli D’Amato, il 15 febbraio scorso,
sebbene si trovasse già in acque internazionali, è tornata indietro dopo aver
ricevuto la richiesta dalle autorità indiane. Una richiesta rivelatasi poi, un
espediente per prendere il controllo della nave. La nave commerciale italiana,
con a bordo sei militari italiani, che componevano un Nucleo Militare di
Protezione, NMP, è tornata indietro per ordine dell’allora comandante, Umberto
Vitelli che a sua volta eseguiva quello del suo Armatore come ha riferito, successivamente,
davanti all’assemblea Parlamentare a Roma, il ministro degli Esteri Giulio Terzi.
In questo modo due dei militari italiani a bordo, il capo nucleo e il suo vice,
venivano gettati nelle braccia delle autorità dello stato meridionale indiano.
La nave dopo un breve periodo sotto sequestro a Kochi, lo scorso mese di
maggio, è tornata dal ‘suo’ armatore, mentre i due militari sono rimasti in
India.
La concessione fatta dall’Alta
Corte del Kerala a Latorre e Girone, il poter tornare, in via temporanea, in Patria
per trascorrere le festività natalizie con le rispettive famiglie, rappresenta una prima significativa
concessione che, dopo tanta ostinazione, attesta che la contrapposizione tra le
due parti si sta ammorbidendo o meglio, che forse si è trovato un ‘intesa’. Addirittura
dopo tanto dire e fare sembra che i rapporti
tra Italia e India siano diventati più distesi tanto da generare un inaspettato
ottimismo. Le parole proferite in questi giorni dai rispettivi responsabili della diplomazia
estera dei due Paesi sembrano infatti, indicare che forse un ‘accordo’ tra le
due parti è stato raggiunto. Una svolta decisiva potrebbe
quindi giungere a risolvere la vicenda nel migliore dei modi per tutti i suoi interpreti.
Un primo passo è già stato compiuto.
La vicenda è stata finora contraddistinta
da un duro scontro legale-diplomatico tra Italia e India. Di mese in mese si è andati
avanti a colpi di carta bollata e dichiarazioni velleitarie nell’apparente atteggiamento
distaccato della comunità internazionale.
Un incomprensibile atteggiamento quello indiano dettato forse solo dal fatto che dopo i primi momenti si sono poi, resi conto
che hanno commesso un madornale errore e non sanno come rimediare. In pratica sono
rimasti vittime della ‘caccia alle streghe’ di cui si sono fatti loro stessi
fautori. Episodi come quello accaduto il 15 febbraio scorso al largo delle
coste meridionali dell’India non sono nuovi nell’Oceano Indiano. I responsabili
di questi atti non sono però, quasi mai individuati e puniti. Sono però, numerosi i pescatori, non solo
indiani, che vengono uccisi in mare dalle guardie armate dei mercantili e anche dai militari di alcune navi da guerra
perchè scambiati per pirati. In quella parte del mondo, in quel mare infestato
dai pirati somali, chiunque è visto imbracciare un’arma o si avvicina troppo
con la propria imbarcazione è considerato un predone del mare e come tale una
minaccia. E’ usanza tra i pescatori dell’Oceano Indiano, per difesa, portarsi
dietro un’arma. A testimonianza della possibilità di poter cadere in errore vi
sono i numerosi comunicati diffusi e diretti ai comandanti delle navi a non scambiare
semplici pescatori per pirati anche se sono armati indicando anche che le armi
adottate dai pirati sono ben diverse. Per cui quando gli indiani hanno creduto di aver messo le
mani su due possibili responsabili di uno di questi episodi la sete di rivalsa
ha oscurato le menti che poi, a freddo ragionando sono però, rinsavite, ma
ormai il danno era fatto. Appare difficile credere che Latorre e Girone siano
caduti in errore. Essi sono due specialisti della Marina Militare italiana
appartenenti al Reggimento San Marco e come tali soggetti a speciali
addestramenti e al rispetto di determinate regole. Anche per far parte degli
NMP ne hanno seguito uno ad hoc. Per cui in tutti, indistintamente, si sono
materializzati i dubbi sul loro reale coinvolgimento nell’episodio accaduto in
mare e che ha condotto alla morte di due pescatori imbarcati sul peschereccio indiano
‘St. Anthony’. Quel giorno poi, nello stesso tratto di mare dove è accaduto l’incidente
vi erano altre 4 navi commerciali tra cui la petroliera greca ‘Olympic Flair’ che praticamente messa a confronto con la ‘Enrica
Lexie’ gli somiglia moltissimo per sagoma e colori, rosse e nere entrambi.
Particolare questo che potrebbe aver ingannato chi a bordo del peschereccio pur
non assistendo al fatto, infatti non vi sono testimoni oculari, ha però, riferito di aver visto una nave che si
allontanava descrivendola di colore rossa e nera e affermando anche di non averne potuto leggere il nome. Il fatto poi, che anche il team di sicurezza privato, presente
a bordo della nave greca, abbia quello stesso giorno respinto un attacco pirata
lascia ampio spazio a timori. Forse un
inconfessabile verità è alla base di questa intricata vicenda. E finalmente
forse, tutti i suoi interpreti si stanno rendendo conto che per venirne a capo
non sarà certo necessario svelarla, ma solo agire appunto, d’intesa.
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