sabato 6 marzo 2010

Iraq. Un Paese al voto. Oggi versato ancora sangue alla vigilia del voto di domani

Gli ultimi giorni prima delle elezioni generali di domani in Iraq, le seconde nel Paese dalla fine del regime di Saddam, sono stati caratterizzati da una serie di attentati terroristici. L'ultimo proprio oggi. Stamani infatti, alla vigilia del voto di domenica un'autobomba è esplosa nella città santa per gli sciiti di Najaf, a sud di Bagdad, uccidendo 7 persone e ferendone altre 50. L'autobomba era stata lasciata in un parcheggio dove sostano per lo più gli autobus dei pellegrini iraniani che si recano al mausoleo dell'Imam Alì che ogni anno attira milioni di pellegrini sciiti iracheni e iraniani. Per questo motivo la maggior parte delle vittime, 4 morti e 37 feriti, sono iraniani. L'obiettivo preso di mira oggi dai terroristi è un luogo solitamente molto controllato, ancor di più in questi giorni di vigilia delle elezioni. Eppure i mujahedeen sono riusciti a colpire. Tutto questo finisce per far montare ancora di più la tensione nel Paese, specie in queste ultime ore di campagna elettorale che si concluderà domani quando 19 milioni di iracheni di 18 diverse province torneranno alle urne. Dietro a questi attacchi c'è la mano di al Qaeda che ieri ha invitato gli iracheni a boicottare il voto ed ha dichiarato il 'coprifuoco' nelle ore del voto, dalle 6 del mattino alle 6 del pomeriggio, in tutto l'Iraq e in particolare nelle zone sunnite. Lo stesso Abu Omar al-Baghdadi, leader dello 'Stato Islamico dell'Iraq', il gruppo terroristico che opera nel Paese e che è legato ad al Qaeda, ha minacciato l'utilizzo delle armi contro chi sfiderà il coprifuoco e per distruggere le sedi elettorali, circa 10mila in tutto il Paese. Nel mirino dei terroristi filo al Qaeda ci sono principalmente i seggi dove è prevista una forte affluenza di sunniti, che questa volta, a differenza del 2005, non diserteranno le urne. Dopo aver imposto, per motivi di sicurezza, dalle 22.00 di oggi alle 07.00 di lunedì il divieto di circolazione a tutti i veicoli non autorizzati e chiuso tutti gli aeroporti e le frontiere. Per cercare di garantire la sicurezza, il governo iracheno ha deciso di schierare 200mila uomini, tra soldati e forze di polizia, che presidieranno le sezioni elettorali. Reclutate dalla polizia anche 600 donne di provata fiducia che avranno il compito di perquisire tutte le elettrici che domenica si recheranno alle urne nella provincia sunnita di al-Anbar. Questo allo scopo di impedire infiltrazione di attentatrici suicide all'interno dei seggi. Cosa questa, che è invece, accaduto in passato per l'impossibilità da parte dei poliziotti di perquisire le elettrici. Saranno impiegate 2 per ogni sezione elettorale. Nel frattempo il premier uscente Nuri al-Maliki, alla guida di un governo a maggioranza sciita e appoggiato dal suo partito, l'Alleanza per lo Stato di diritto, che ha vinto le elezioni provinciali del 2009, si è detto di essere sicuro nella sua riconferma. La sua figura politica è stata però, indebolita dalla recente ondata di attentati che ha insanguinato il Paese. Ad incalzarlo però, l'ex primo ministro del primo governo dell'era post-Saddam, Iyad Allawi che può contare sul supporto delle aree sunnite. Attualmente è leader del Blocco iracheno, di cui fanno parte personalità sunnite come il vice presidente Tarek al Hashemi. In passato è stato membro del Partito Baath, l'ex partito di Saddam Hussein, dal 1961 al 1971. Si oppone alla debaatificazione. Il ministro delle finanze Baqer Jaber Solagh che è stato anche ministro dell'Interno dall'aprile 2005 al maggio 2006. I sunniti lo accusano di aver creato degli squadroni della morte in seno alla polizia, ma lui ha sempre respinto questa accusa. L'ex vicepremier Ahmed Chalabi. Tra tutti è il più controverso degli uomini politici. E' stato uno degli artefici dell'invasione del 2003 in quanto fu lui a presentare all'amministrazione americana alcune delle prove riconosciute poi, false sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Vice primo ministro tra l'aprile del 2005 e il maggio 2006, è diventato la bestia nera degli USA, che lo considerano al pari di un agente dell'Iran. Chalabi è membro dell'Alleanza nazionale irachena, e potrebbe essere il candidato del capo radicale Moqtada al Sadr alla carica di capo del governo. Il vicepresidente Adel Abdel Mahdi che nel 2006, nel corso di una votazione in seno alla coalizione sciita per designare il candidato alla carica di primo ministro, era stato battuto per un solo voto da Maliki. Mahdi è un aperto sostenitore dell'economia di mercato e della decentralizzazione. Il ministro dell'Interno Jawad Bolani, un laico che vuole chiudere il capitolo della debaatificazione. Bolani non ha mai lasciato l'Iraq, e spera di essere il candidato del compromesso. Il fatto che siano 6 i candidati sciiti a contendersi la poltrona di premier denota un'alta frammentazione della politica irachena. Anche se questo non rappresenta una negatività. La scelta di un candidato da parte degli elettori infatti, sarà influenzata quindi anche dal fatto che siano politici secolaristi e religiosi, che siano autoritari e impegnati al rispetto dei principi delle democrazie tradizionali. Comunque sia per questa chiara frammentazione della politica che ha portato a candidarsi alle legislative oltre 6.529 candidati di 86 formazioni politiche diverse. E' facile pensare che è praticamente impossibile che un singolo partito possa riuscire a conquistare i 163 seggi necessari, su 325, per formare il nuovo governo. Quindi con molta probabilità, alla fine, il nuovo esecutivo nascerà adottando la formula di un governo di coalizione anche se per arrivarci ci vorranno però, dei mesi. Al di là del risultato però, è in che modo esso nascerà, dopo che gli iracheni avranno scelto il loro nuovo parlamento. Nel senso che l'importante è soprattutto che l'Iraq non scivoli di nuovo nel caos post elettorale, e riprenda la violenza settaria tra sciiti e sunniti, sulle cui ceneri in molti soffiano da tempo, al Qaeda in testa. Dal voto di certo emergeranno le prime indicazioni su se e quale tipo di democrazia prenderò piede nel Paese medio orientale nei prossimi anni. Il voto sarà monitorato da osservatori locali, fra dipendenti per lo più di organizzazioni non governative irachene e rappresentanti dei partiti. Circa 30mila sono gli osservatori che sono stati formati dalla Missione di assistenza all'Iraq delle Nazioni Unite, Unami, il cui personale monitorerà il voto in tutto il Paese. Oltre 80, fra organizzazioni internazionali e missioni diplomatiche, sono state invitate a osservare il voto. Le operazioni di voto sono iniziate già da giovedì con il cosiddetto 'voto speciale', riservato agli agenti delle forze di sicurezza e ai detenuti, ai pazienti ricoverati negli ospedali, al personale delle strutture carcerarie e di quelle ospedaliere. I prigionieri, i malati e il personale sanitario votano per corrispondenza. Con questa modalità votano anche gli sfollati interni che sono circa 97mila, in base alle registrazioni effettuate per le elezioni. Da ieri e fino a domenica invece, stanno votando gli iracheni che si trovano in Siria, Giordania, Libano, Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Iran, Gran Bretagna, Svezia, Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Austria, Stati Uniti, Canada e Australia. Il dato più rilevante sarà quello degli iracheni in Siria, circa un milione. Le operazioni di conteggio dei voti inizieranno nei seggi, dopo la loro chiusura domenica sera. Lo scrutinio delle schede votate con il 'voto speciale' degli iracheni all'estero e degli sfollati interni inizierà invece, da lunedì presso i centri provinciali. I risultati finali delle elezioni verranno annunciati solo dopo che l'Alta Commissione Elettorale Indipendente, Ihec, avrà esaminato tutti gli eventuali ricorsi presentati e saranno certificati dalla Corte suprema federale. Entro 15 giorni dalla data in cui la Corte Suprema avrà convalidato i risultati del voto, il presidente uscente del Parlamento dovrà convocare una seduta della nuova Assemblea. Verranno quindi eletti il nuovo presidente e i due suoi vice. Il presidente avrà poi 15 giorni di tempo per conferire alla persona indicata dalla lista uscita vincitrice dal voto l'incarico di formare il nuovo governo. Il premier incaricato avrà allora 30 giorni per mettere a punto la squadra del nuovo l'esecutivo. Se non riuscirà nell'intento si provvederà con una nuova nomina.

Pedofilia. Lo scandalo di abusi sessuali nella Chiesa cattolica tedesca

“Nella Chiesa è tempo di verità e giustizia sugli abusi sessuali compiuti negli ultimi decenni, perchè spesso i colpevoli sono stati, a torto, protetti più delle vittime stesse.” E' questa la forte denuncia contenuta nella dichiarazione finale dell'assemblea plenaria della Conferenza episcopale austriaca conclusa a St Polten. E’ stato reso noto che l'arcivescovo di Friburgo e presidente della Conferenza episcopale tedesca, Robert Zollitsch tratterà il caso dello scandalo scoppiato in Germania sugli abusi sessuali compiuti, negli ultimi decenni, da preti cattolici con il Papa. L'occasione gli sarà data nel corso della sua prevista visita in Vaticano il prossimo 12 marzo. A darne notizia il portavoce della Conferenza, Matias Kopp. Mons. Zollitsch ne aveva già dato anticipazione lo scorso febbraio al termine dell'assemblea plenaria della Conferenza episcopale tedesca. Nel frattempo il Vaticano ha fatto sapere per bocca del vicedirettore della Sala Stampa Vaticana, padre Ciro Benedettini, che sta prendendo molto sul serio tutta la vicenda dello scandalo di pedofilia in Germania. Del resto questo è un argomento che il Papa ha sempre affrontato con decisione e in prima persona, come recentemente nel caso della chiesa irlandese, e prima ancora degli Stati Uniti. Padre Benedettini ha anche spiegato che verrà presa in considerazione la richiesta di inviare un 'visitatore apostolico' nella abbazia benedettina di Ettal, dove si sono verificati numerosi casi di abuso. Al tempo stesso ha fatto sapere di essere ancora in attesa dell'arrivo delle carte ufficiali. Nel complesso, anche se la vicenda desta forte allarme e preoccupazione, specie per le ripercussioni che può avere sull'opinione pubblica, per ora, la Santa Sede non si è ancora pronunciata in merito alla vicenda. Questo soprattutto in attesa che vengano ultimati tutti gli accertamenti messi in atti per verificare i fatti denunciati. Al momento, sono 18 su 27 le diocesi coinvolte. I responsabili dei diversi istituti coinvolti, gesuiti e benedettini, si sono già dimessi. Tutto ha avuto inizio alla fine del mese di gennaio scorso quando sono emersi i primi casi di abusi sessuali nel prestigioso collegio gestito dai gesuiti 'Canisius' di Berlino. Nel corso delle settimane successive sono poi emersi numerosi altri casi che coinvolgono altri ordini religiosi e altre regioni. Lo scandalo quindi si è allargato fino a raggiungere anche l'arcidiocesi di Monaco e il convento benedettino di Ettal, riconosciuto come centro di formazione per le elite tedesche e che la stampa tedesca ha ribattezzato 'il convento degli orrori'. Situato in Baviera, nella diocesi che dal 1979 al 1982 fu guidata da Joseph Ratzinger. Per poi, toccare anche il Duomo di Ratisbona e il suo famoso coro di voci bianche, il 'Regensburger Domspatzen'. I piccoli cantori della cattedrale di Ratisbona, che sono stati anche diretti per un trentennio, dal 1964 al 1994, da Georg Ratzinger fratello dell'attuale Papa Benedetto XVI e prima di lui, fino al 1963, dal vescovo Theobald Schrems. I casi di abusi sessuali sarebbero stati commessi oltre 40 anni fa. Nel frattempo sembra che altri casi di abusi emergano in Sassonia, in un altro monastero benedettino, a Wechselburg.
I vescovi tedeschi hanno chiesto pubblicamente perdono e hanno offerto la loro disponibilità a collaborare con la giustizia, oltre a mettere in campo apposite iniziative, come l'istituzione di un apposito ufficio guidato da monsignor Stephan Ackermann, vescovo di Treviri per accogliere tutte le denunce. Al momento sembra che siano almeno un centinaio i casi di vecchi abusi sessuali su minori denunciati ai vescovi tedeschi. Oggi con una lettera, pubblicata sul sito web della diocesi di Ratisbona, a firma del direttore del Coro, Roland Buecher, del responsabile degli studi, Berthold Wahl e del direttore del collegio, Rainer Schinko, il direttivo si è detto costernato per i casi di pedofilia registratisi in ambito ecclesiastico, compresi quelli che sarebbero avvenuti nella celebre istituzione di Ratisbona. Il cui vescovo, Gerhard Ludwig Mueller ha ammesso con una lettera, indirizzata ai genitori e pubblicata sul suo sito web, di essere venuto a conoscenza che sono stati commessi abusi sessuali nell'ambiente del coro. Il portavoce della diocesi, Clemens Neck, ha confermato che i casi di abusi sono avvenuti tra il 1958 e il 1973. Per un caso avvenuto negli anni '50 fu condannato il direttore del convitto, che nel frattempo è deceduto. Il vescovo Muller ha comunque garantito che la Chiesa intende fare chiarezza. Monsignor Georg Ratzinger, fratello del Pontefice, ha dichiarato, alla radio bavarese 'Bayerischen Rundfunk', di essere all'oscuro della vicenda. La diocesi di Ratisbona ha comunicato anche di aver messo a disposizione un avvocato per chiarire gli incidenti del passato, e identificare le potenziali vittime e colpevoli. Egli presenterà una prima relazione intermedia entro 14 giorni. Inoltre ha fatto sapere che dal 2008 è attivo uno staff di 5 persone che segue il tema degli abusi sessuali. Tra loro uno psicologo, un ex giudice, un giurista e due dipendenti del comune. Lo staff coordina l'attività della psicologa Birgit Boehm, responsabile diocesana per i casi di abusi.
Recentemente la chiesa cattolica è stata sommersa da un'ondata di scandali per abusi sessuali da parte del clero. La vicenda tedesca segue di poco infatti, lo scandalo scoppiato in Irlanda dove due rapporti governativi hanno scoperchiato la pentola di decenni di maltrattamenti e di abusi sessuali negli istituti cattolici. Una situazione endemica e protetta da un'omertà ambientale che ha indotto il Papa a convocare i vescovi irlandesi in Vaticano per un vertice chiarificatore. Non dopo che 4 vescovi si sono dimessi, e si è registrata la perdita totale di credibilità della chiesa cattolica. Ora la comunità cattolica irlandese è in attesa di una lettera pastorale dello stesso Benedetto XVI dedicata al tema. Allo stesso modo oltreoceano, in Canada, in Australia e negli Stati Uniti la pedofilia negli istituti religiosi è venuta fuori in tutta la sua brutalità. La chiesa cattolica statunitense in particolare è stata sommersa da un'ondata di scandali, seguiti alle ammissioni di abusi, testimonianze raccapriccianti e con la destituzione dai loro incarichi di numerosi sacerdoti. Una vicenda che ha condotto la chiesa americana a pagare anche un miliardo di dollari di risarcimenti. Quello che ha influito a far propagare il fenomeno è stata soprattutto l' abitudine, un tempo diffusa ora non più dopo l'avvento dell'era Ratzinger, di reagire allo scandalo con semplici trasferimenti dei colpevoli da un luogo all'altro, dove poi, questi erano liberi di trovare nuove prede. Tutto questo non mancherà di influenzare il futuro della Chiesa.

venerdì 5 marzo 2010

Pakistan. Attentato suicida nel nord-ovest del Paese

Sono almeno 12 i morti , tra cui anche alcune donne, e 30 i feriti le vittime dell'attentato suicida avvenuto stamani in una delle aree tribali nel nordovest del Pakistan. Un terrorista si è fatto esplodere al passaggio di 2 autobus carichi di fedeli sciiti scortati dalle forze di sicurezza. L'attentato è avvenuto nei pressi di un distributore di benzina di Tehsil Thal Bazar, vicino alla città di Hangu, una località della frontiera nord-occidentale, Nwfp, del Pakistan. Il convoglio proveniva dal distretto di Hangu ed era diretto alla Kurram Agency, che fa parte dei cosiddetti territori tribali amministrati federalmente, Fata. Nell'esplosione sono stati coinvolti almeno 3 veicoli tra le vittime anche dei poliziotti. Sembra che il terrorista suicida fosse a piedi quando ha deciso di compiere l'attentato. “A causa dell'esplosione, ha riferito il capo della locale polizia Akram Ullah, 5 persone sono morte sul posto ed altre 7 dopo il loro ricovero in ospedale.
L'attacco di oggi è l'ultimo episodio, in ordine di tempo, delle violenze etnico religiose in corso nel Paese asiatico fra la maggioranza sunnita del Pakistan e la minoranza sciita. Nella zona dove è avvenuto l'attentato di oggi risiede una nutrita comunità sunnita, definita dalle autorità locali estremista filo talebana e al Qaeda. Per tutti loro gli sciiti sono degli infedeli.
Quella del terrorismo è per il Pakistan una piaga insanabile. A causa degli attentati, che hanno visto una loro escalation dal novembre 2008, nel Paese asiatico finora sono morti oltre 5mila persone e altre 13mila sono rimaste ferite a causa degli oltre 3mila attentati verificatisi. E' stato il sottosegretario agli Esteri pakistano, Salman Bashir a fornire recentemente questi dati ufficiali aggiornando di fatto le stime che finora davano un bilancio molto inferiore.

Iran. Per Teheran è una manovra politica l'arresto dei 2 iraniani. Convocato l'ambasciatore italiano

L'Iran ha chiesto l'immediato rilascio di due suoi cittadini arrestati in Italia nel corso di un'inchiesta su un presunto traffico di armi. La richiesta è stata formulata direttamente dal ministero degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki all'ambasciatore italiano nel Paese, Alberto Bradanini. Erano stati i media della Repubblica islamica a diffondere per primi la notizia della convocazione di Bradanini. Secondo quanto hanno riferito sia la Fars sia l'Irna al diplomatico italiano sarebbero state chieste spiegazioni per questi arresti. Nel commentare la vicenda il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Ramin Mehmanparast, ha giudicato l'episodio come l'avvio di un nuovo gioco i cui fini rimangono ambigui. Mehmanparast ha detto che: “l'arresto dei 2 iraniani è una manovra politica destinata a creare ulteriori tensioni tra Roma e Teheran e che indica l'inizio di un'altra sortita propagandistica contro l'Iran”. I 2 cittadini iraniani arrestati, insieme a 5 italiani, sono Hamid Masoumi-Nejad, giornalista della televisione iraniana accreditato da anni presso la Sala stampa estera a Roma, e Ali Damirchilu, arrestato a Torino. I due sono anche sospettati di essere agenti segreti iraniani. Gli inquirenti hanno fatto sapere che altri 2 iraniani sarebbero latitanti, forse sono rientrati in Iran. A gettare benzina sul fuoco è quanto si legge oggi sul sito web in italiano di 'Irib' l'agenzia di stampa della Tv di Stato iraniana di cui uno degli arrestati era corrispondente: “Il caso dell'arresto in Italia del giornalista iraniano Masoumi appare come un atto della nuova politica italiana nei confronti dell'Iran, voluta e ordinata da Israele”. L'agenzia di stampa della radio-Tv pubblica di Teheran riprende la polemica nata dopo la recente visita in Israele del presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. “E' degno di nota che nell'ultima visita in Israele, il premier italiano Berlusconi aveva promesso alle autorità del regime sionista di intraprendere azioni dure contro l'Iran”, si legge ancora sulle pagine web di 'Irib'.
La Farnesina nel confermare che l'ambasciatore italiano a Teheran è stato convocato dal ministero degli Esteri iraniano ha respinto con fermezza qualunque insinuazione iraniana sull'uso strumentale dei recenti arresti da parte della magistratura italiana. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini con una nota successiva alla convocazione di Bradanini ha definito quella iraniana una reazione 'scomposta' ed ha ricordato che: “l'Italia si fonda sulle regole e sui principi dello Stato di diritto, in base ai quali la magistratura è indipendente dal potere esecutivo”. Ricordando che: “Sono coinvolti cittadini iraniani ed italiani nel quadro dell'inchiesta sul traffico di armi e per violazioni delle norme internazionali. A tutti gli imputati verrà ovviamente garantito il pieno diritto di difesa e l' assistenza legale in tutte le fasi del processo. Verranno altresì garantite, come è evidente, condizioni di vita pienamente rispettose dei diritti della persona nella fase di detenzione”. Nessun commento in proposito è giunto invece, dalla Procura di Milano. Dell'indagine si sta occupando il Procuratore aggiunto Armando Spataro.
L'episodio che rischia di creare una crisi diplomatica tra Italia e Iran è accaduto lo scorso mercoledì quando la Guardia di Finanza di Milano ha eseguito l'arresto di 5 cittadini italiani e 2 iraniani, mentre altri 2 sono latitanti, con l'accusa di traffico illecito di armi e per non aver rispettato l'embargo verso la Repubblica islamica. I militari delle fiamme gialle hanno sequestrato un gran numero di esplosivi, proiettili anticarro, traccianti e munizioni varie oltre puntatori ottici di precisione e un elicottero. L'ipotesi ora al vaglio degli inquirenti è che gli arrestati facessero parte di un'organizzazione internazionale volta a introdurre armi in Iran eludendo le restrizioni varate dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il traffico sarebbe in corso dal 2007, grazie alla complicità di alcuni imprenditori italiani che operano nel settore dell'import-export e ad un sistema basato su una triangolazione che coinvolge anche altri Paesi europei, tra cui la Germania, la Gran Bretagna, la Svizzera e la Romania. Alcune spedizioni sono passate anche attraverso Dubai. A mettere gli investigatori sulle tracce del traffico sono stati 2 sequestri d'armi effettuati in Romania e a Londra.

Mauritania. Il governo irrigidisce la sua politica antiterrorismo

Si irrigidisce ancora di più la politica antiterrorismo della Mauritania. Per il Paese nordafricano aprire negoziati con i gruppi terroristici o uno scambio di prigionieri con gli ostaggi in loro possesso è da escludere categoricamente. E' questa la posizione espressa oggi dal governo di Nouakchott. Una posizione riportata dal giornale arabo 'al-Quds al-Arabi' che ha raccolto una dichiarazione del premier, Moulaye Ould Mohamed Laghdhaf in merito alla vicenda che vede coinvolti 5 ostaggi occidentali, 3 spagnoli e 2 italiani. Sequestro che l'organizzazione terroristica 'al Qaida nel Maghreb islamico', Aqmi, ne ha rivendicato la paternità chiedendo, in cambio del loro rilascio, denaro e la scarcerazione di 4 loro compagni detenuti in Mauritania. Il capo del governo mauritano ha ribadito anche la sua contrarietà al pagamento di un riscatto per la liberazione degli ostaggi. Il ministero degli Esteri italiano non ha mai escluso finora nessuna opzione per ottenere la liberazione di Sergio Cicala e della moglie Philomene Kabouree i due italiani rapiti il 17 dicembre scorso in Mauritania dal ramo maghrebino di al Qaeda. Sulla vicenda la Farnesina però, ha più volte rinnovato anche l'invito al silenzio stampa. Lo scorso lunedì però, è scaduto anche il secondo ultimatum fissato dai terroristi, le ansie e le paure, per la sorte degli ostaggi, sono aumentate. Ieri il governo italiano aveva ancora una volta chiesto l'intervento del presidente del Mali, Amadou Toumane Tourè. Quella di oggi però, suona come una risposta implicita del governo di Noiakchott all'Italia. Nel ribadire la posizione intransigente del suo Paese in merito alla vicenda, il primo ministro mauritano ha anche precisato che il suo Paese farà il possibile per ottenere il rilascio degli ostaggi. A proposito il capo del governo di Nouakchott ha fatto intendere che potrebbe anche esserci un blitz dei militari mauritani. Laghdhaf ha sottolineato quanto sia ormai alto il grado di preparazione del suo esercito che è presente ormai ovunque e ben preparato per garantire la sicurezza nel Paese e alle frontiere. Si ingarbuglia quindi ulteriormente la vicenda degli ostaggi tuttora in mano ai terroristi filo al Qaeda in Africa Occidentale. Da tempo la situazione nell'area è di quelle che preoccupano le diplomazie internazionali. All'instabilità dovuta alla presenza di gruppi terroristici che agiscono quasi sempre impunemente, si è ora associata anche una crisi dei rapporti tra i vari Paesi dell'area. In particolare la tensione è forte tra Algeria, Mali e Mauritania. I tre Paesi sono coinvolti, direttamente o indirettamente, nella vicenda del sequestro degli ostaggi occidentali da parte dei terroristi dell'Aqmi. Dopo le concessioni fatte dal governo maliano di Bamako, che per il rilascio dell'ostaggio francese, Pierre Camatte ha scarcerato 4 membri dell'organizzazione terroristica, ora gli occhi sono tutti puntanti sulla Mauritania. Il braccio armato nordafricano di al Qaeda preme per la liberazione dei suoi uomini detenuti nelle carceri del Paese mentre il governo di Nouakchott mentre quet'ultimo non solo ha irrigidito la sua politica antiterrorismo, ma ha anche duramente condannate le concessioni fatte dal Mali. Sia il governo di Nouachkott sia quello di Algeri hanno ritirato il loro ambasciatore da Bamako in reazione alla concessioni fatte da quest'ultimo nel corso delle trattativa per l'ostaggio francese nelle mani dei terroristi. Algeria si sarebbe addirittura ritirata dalla mediazione tra i ribelli del Nord del Mali e il governo centrale.

giovedì 4 marzo 2010

Togo al voto per le presidenziali. Gnassingbe in cerca del secondo mandato

Sono oltre 3 milioni, su una popolazione di 6,6 milioni di abitanti, gli aventi diritto al voto che oggi si recheranno alle urne in Togo dove si vota per le presidenziali. I seggi sono stati aperti alle 7 ora locale, le 8 italiane. Sono 6 i candidati che sfidano il presidente uscente Faure Gnassingbe appoggiato dal 'Raggruppamento del popolo togolese', Rpt. Faure è il figlio del generale Gnassingbe Eyadema, dittatore nel Paese per 47 anni fino al 2005, anno della sua morte. Il principale sfidante del presidente uscente è Jean-Pierre Fabre candidato dell'opposizione sostenuta dall' 'Unione delle forze per il cambiamento', UFC. Quel partito il cui leader è Gilchrist Olympio il figlio del primo presidente del Paese, Sylvanus Olympio destituito e ucciso nel 1963 in un golpe che portò al potere nel Paese africano Gnassingbe padre. A Olympio figlio, come era stato escluso dallo scrutinio 5 anni prima, così 5 anni dopo gli è stato nuovamente impedito di candidarsi. La commissione elettorale gli ha contestato di non aver riempito correttamente un certificato medico. Nonostante tutto la tornata elettorale odierna è vista come un test per la democrazia e la stabilizzazione nel Paese. In Togo è ancora vivo il ricordo delle violenze scoppiate nel 2005 quando l'opposizione contestò i risultati elettorali che decretarono l'elezione a presidente di Gnassingbe figlio. Elezioni organizzate dall'esercito per legalizzare l'imposizione di Faure come successore del padre. L'opposizione denunciò possibili brogli elettorali che gli osservatori internazionali confermarono. I disordini post-elettorali provocarono 500 morti. La campagna elettorale si è svolta in maniera molto tranquilla. Tanto da convincere a rientrare nel Paese, appena la scorsa settimana, dopo averlo lasciato nel 1992 in seguito ad un tentativo di assassinio a cui sfuggi per miracolo, anche il settantatreenne Gilchrist per sostenere il suo candidato. L'odierno appuntamento elettorale segue quello per le politiche del 2007 in cui non si sono registrati incidenti ne contestazioni. A monitorare il voto osservatori dell'Unione Europea, Ue, dell'Unione Africana, Ua, e della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale, ECOWAS. Faure Gnassingbe punta ad un secondo mandato, ma soprattutto a legittimare il suo ruolo dopo le accuse di frodi del 2005. Gnassingbe figlio, come rottura con il passato, ha fatto sparire il suo cognome dai manifesti elettorali come anche il simbolo del suo partito, l'Rpt che era anche il partito del padre. E per tentare di dissipare del tutto le ombre e i fantasmi del passato, ha anche annullato la tradizionale parata militare del 13 gennaio con cui nel Paese si celebrava il colpo di Stato che portò al potere il padre. Si guarda con attenzione al voto in Togo anche perchè si svolge in un momento di massima tensione per l'intera area dell'Africa occidentale. Il recente golpe in Niger, le violenze in Costa D'Avorio a causa dell'ennesimo rinvio delle elezioni generali e la grave instabilità in Guinea mettono in piena luce quanto sia incandescente la situazione nell'area.

Elezioni Iraq. Gli iracheni al voto tra paura e voglia di partecipare

Ancora una giornata di sangue a pochi giorni dall'Election Day in Iraq. Domenica 7 marzo infatti, si terranno nel Paese le seconde elezioni politiche dall'intervento statunitense nel 2003. Sono stati 3 gli attentati compiuti, in poche ore, nella capitale Baghdad nel giorno del voto anticipato per le legislative di domenica. Puntuali e in parte anche attesi in quanto lo scorso mese di febbraio, il ramo iracheno di al Qaeda aveva promesso che avrebbe impedito con ogni mezzo le elezioni. E con l'approssimarsi dell'appuntamento elettorale, i terroristi sono infatti, tornati a colpire e, in grande stile. Il mese scorso, il numero delle persone uccise in tutto il Paese, secondo le cifre ufficiali, è stato di oltre 350. A gennaio erano state 190, mentre a dicembre, dopo una raffica di attentati contro edifici istituzionali nella capitale, erano state oltre 300. Stamani una bomba è esplosa poco lontano da un seggio, e poco dopo 2 attentatori suicidi si sono fatti esplodere davanti a 2 seggi. Il bilancio è stato di almeno 14 morti, di cui 9 agenti e 5 civili, tra i quali 4 bambini, mentre i feriti sono stati almeno 50. Nel primo attentato l'ordigno è esploso nel quartiere nord-occidentale di al Hurriya colpendo dei civili. Gli altri due attacchi compiuti da terroristi suicidi, sono invece, avvenuti uno davanti al seggio organizzato in una scuola nel quartiere di Bab al-Mouazam, nel centro della città colpendo i soldati in fila per votare e l'altro accanto a dei militari in fila davanti ad un seggio nel quartiere Mansour, nella parte occidentale della capitale. Gli attentati di oggi sono avvenuti all'indomani di un quadruplo attentato suicida, di cui uno diretto contro le ambulanze impegnate a soccorrere i feriti, avvenuto a Baquba, capoluogo della provincia di Diyala al confine con l'Iran, abitata sia da sunniti sia sciiti. Un attacco che ha provocato almeno 33 morti e 48 feriti. Con questa spada di Damocle sulla testa sono comunque iniziate le operazioni di voto anticipato presso i 450 seggi elettorali aperti in tutte le regioni dell'Iraq. Domani invece, saranno chiamati al voto gli iracheni all'estero. Sono queste, prove tecniche di democrazia, ma anche una sorta di prova generale per tutti prima dell'appuntamento elettorale vero e proprio del 7 marzo prossimo a cui parteciperanno ben 306 liste, di cui 12 sono coalizioni. Di queste poi, le principali sono 6: l''Alleanza per lo stato di diritto' del premier Nuri al Maliki, una lista sciita, una lista laica dell'ex premier Allawi, i sunniti, i curdi dell'Alleanza per il Kurdistan e la lista laica di Allawi e la lista trasversale 'Unity for Iraq alliance'. Al Maliki si è detto certo della vittoria della sua lista, ma il premier si sta giocando la sua credibilità proprio sulla sicurezza, che in queste settimane sta venendo ripetutamente messa a dura prova. Domenica saranno tutti gli iracheni ad essere chiamati a rinnovare il Parlamento da cui uscirà il nuovo governo di Baghdad. Dovranno eleggere i 325 deputati che siederanno in parlamento. Sono queste elezioni definite cruciali per il futuro dell'Iraq e su cui grava il timore di una nuova esplosione della violenza nel Paese. Stamani sono stati chiamati al voto circa 800mila elettori tra detenuti, ammalati, militari e funzionari del ministero degli Interni. Il resto dei circa 20 milioni degli aventi diritto al voto si recheranno invece, nei circa 64mila seggi distribuiti in tutto il Paese, domenica prossima. Una serie di attacchi armati e l'infiammarsi dello scontro politico hanno alimentato negli ultimi giorni tutte le preoccupazione della vigilia. Mentre la campagna elettorale dei circa 6200 candidati continua fino a domenica, la commissione elettorale irachena, che da tempo ha preparato le schede e i timbri necessari per l'espletamento del diritto al voto anticipato, è già in piena attività. Le autorità irachene prevedendo da tempo una nuova ondata di attacchi terroristici, lanciata contro il processo democratico nel Paese, hanno predisposto un dispositivo di sicurezza fin da una settimana prima dell'appuntamento elettorale del 7 marzo. Un dispositivo completamente affidato alle forze di sicurezza irachene. Una sorta di fiducia supplementare che il governo iracheno, sulla base dell'esperienza di precedenti elezioni parlamentari e provinciali, ha dato alle sue forze governative. Cosa questa sottolineata dal generale Aydin Khalid, vice ministro degli interni e capo di uno speciale Comitato creato apposta per l'evento. Sono almeno 600mila gli agenti e i membri delle forze di sicurezza mobilitati per proteggere i seggi predisposti in tutto il Paese e gli elettori che vi si recheranno per votare. Predisposto un piano di sicurezza che prevede tre cerchi di protezione: ai seggi, nei quartieri e nei confini cittadini. A gestirli la polizia locale, la polizia federale e l'esercito. Le forze americane resteranno invece, nelle loro basi e interverranno solo nel caso in cui siano le autorità irachene a chiederne l'intervento. Attualmente i soldati USA nel Paese sono 96mila di cui la metà saranno ritirati entro il primo settembre 2010. Gli accordi siglati a dicembre 2008 tra Baghdad e Washington prevedono il ritiro totale delle truppe alla fine del 2011. Oggi la polizia irachena ha arrestato anche alcune persone sospettate di aver partecipato agli attentati di ieri a Baquba. La notizia è stata resa nota dalla Tv irachena.

Pakistan. Scontri tra militari e ribelli nella regione tribale del nord ovest del Paese

Sono almeno 37 i militanti talebani uccisi oggi nel corso di due diversi scontri in Pakistan. Trenta mujaedin sono stati uccisi a Chamarkand, nel distretto tribale di Mohmand, nel corso di un attacco ad checkpoint dei 'Frontier Corps', le guardie di frontiera pachistane. I combattenti Talebani erano armati di fucili d'assalto e lanciagranate RPG. Un militare è morto e altri 4 sono rimasti feriti. L'attacco ha avuto luogo nella zona di Chamarkand, nella regione tribale di Mohmand, in prossimità della frontiera afghana. Due giorni fa, l'esercito di Islamabad nell'annunciare di aver sconfitto i talebani e gli uomini di al Qaida, dopo più di un anno e mezzo di combattimenti nella regione tribale di Bajur, che confina con la zona di Chamarkand, avevano anche messo in guardia che alcuni militanti avrebbero cercato di fuggire verso altre regioni. Altri 7 combattenti talebani sono rimasti invece, uccisi in un raid aereo nel nord ovest del Paese. L'attacco aereo è avvenuto a Dabori, una cittadina di montagna a Orakzai dove le autorità militari pachistane ritengono vi siano diversi nascondigli dei ribelli. Oggi le forze di sicurezza pachistane hanno anche catturato l'uomo che era stato a capo del governo talebano in Afghanistan alla fine degli anni novanta, il Mullah Agha Jan Mutasem, considerato anche lo stratega politico e militare dei Talebani. Mutasem è anche il genero del Mullah Omar. A diffondere la notizia l'emittente televisiva locale 'Sama', che ha precisato che l'uomo è stato arrestato con altri 2 persone nella zona di Sohrab Goth della città pachistana di Karachi.

Rifiuti. Corte di Giustizia Ue condanna Italia per caso Campania

La Corte di giustizia Ue del Lussemburgo ha emesso oggi a Lussemburgo una sentenza di condanna dell'Italia per la violazione della direttiva Ue sui rifiuti in Campania.
Nella sentenza, la Corte ha evidenziato che l'Italia ha messo in pericolo la salute umana e recato pregiudizio all'ambiente nella regione Campania. Questo perchè non ha creato una rete adeguata ed integrata di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti nelle vicinanze del luogo di produzione. Un deficit strutturale di impianti, a cui non è stato possibile rimediare. Oltre a non aver adottato tutte le misure necessarie allo smaltimento dei rifiuti nella regione Campania. La corte ha sentenziato che l'Italia è venuta quindi meno agli obblighi che le incombono in forza della direttiva Ue sui rifiuti del 5 aprile 2006. Tale direttiva fissa obiettivi di protezione dell'ambiente e di tutela della salute umana. Non specifica però il contenuto concreto delle misure che devono essere adottate e lascia agli Stati membri un certo potere discrezionale. Per quanto riguarda quest'ultimo obiettivo la Corte però, ha precisato che esso ha una funzione preventiva nel senso che gli Stati membri non devono esporre la salute umana a pericolo nel corso di operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti, cosa che, secondo la corte, non è avvenuto in Campania. Per la Corte Ue, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, in Campania 55mila tonnellate di rifiuti riempivano le strade, almeno 110mila tonnellate di rifiuti erano in attesa di trattamento presso i siti comunali di stoccaggio e le popolazioni locali, esasperate, avevano incendiato i cumuli di spazzatura. Una fatto questo che ha anche provocato inconvenienti da odori e danneggiato il paesaggio, rappresentando così un pericolo per l'ambiente. D'altra parte, l'Italia stessa ha ammesso la pericolosità della situazione per la salute umana, esposta ad un rischio certo, ha ribadito la Corte affermando anche che “L'Italia ha peraltro ammesso che, alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, gli impianti esistenti e in funzione nella regione erano ben lontani dal soddisfare le sue esigenze reali. “Ne' l'opposizione della popolazione, ne' gli inadempimenti contrattuali e neppure l'esistenza di attività criminali costituiscono casi di forza maggiore che possono giustificare la violazione degli obblighi derivanti dalla direttiva e la mancata realizzazione effettiva e nei tempi previsti degli impianti”, ha ribadito la Corte Ue nella sentenza pronunciata stamani con cui di fatto i giudici hanno accolto il ricorso presentato della Commissione europea nel luglio 2008. Allora scaturito dalla situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania nel 2007. La Commissione aveva infatti, proposto un ricorso per inadempimento contro l'Italia, criticando la mancata creazione in quella regione di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica.

mercoledì 3 marzo 2010

Iran. La morsa del regime iraniano. Arresti e condanne per motivi politici

Dopo le presidenziali del 12 giugno 2009, che hanno decretato la rielezione di Mahmud Ahmadinejad a presidente dell'Iran, ha preso corpo nel Paese il più grande movimento anti-governativo nella storia della Repubblica islamica. Da allora Teheran ha inasprito la repressione in tutto il Paese, per neutralizzare questa opposizione politica e ridurre al silenzio le voci critiche. Tante le pubblicazioni che sono state messe al bando. Le autorità di Teheran hanno evitato di arrestare i leader dell'opposizione, ma sono stati rinchiusi in carcere artisti, fotografi, studenti, i figli degli attivisti e decine di giornalisti. Mentre sono quasi mille gli oppositori che sono stati arrestati negli ultimi 2 mesi. Arrestandoli in massa, il regime iraniano ha puntato a diffondere paura e intimidazioni, attuando una sorta di regno del terrore, per dissuadere i manifestanti dallo scendere in piazza. Dai dati forniti dalla 'Campagna internazionale per i diritti umani in Iran' e 'Reporter senza frontiere', al momento si trovano in carcere almeno 60 giornalisti, il maggior numero che in ogni altro Paese al mondo. Il loro arresto non ha nulla a che fare con atti specifici che hanno commesso, ma con le loro idee e i loro modi di pensare. Su tutto questo poi, primeggia la figura del boia che in Iran lavora senza sosta, almeno 400 le esecuzioni capitali eseguite in un anno. Anche giovani oppositori sono stati condannati alla pena capitale. Sentenza che per ora non è stata ancora eseguita. L'obiettivo, almeno in parte solo paventato, di queste barbare esecuzioni, è ovviamente quello di creare, ancora una volta, un clima di terrore e di paura nel Paese e di preparare il terreno per la repressione della rivolta del popolo. In particolare le minacce di esecuzioni mirano ad aumentare il clima di intimidazione nel Paese specie in vista della nuova protesta di massa organizzata dall'opposizione per il 16 marzo prossimo, giorno della tradizionale Festa persiana del Fuoco. Nel frattempo, dopo che il 28 gennaio scorso il regime ha giustiziato, per impiccagione, due giovani legati al movimento monarchico: Arash Rahmani Pour, 20 anni, e Mohammad Reza Ali Zamani, 37. I due erano accusati di essere dei 'moharebeh', nemico di Dio. Oggi la magistratura iraniana, per la stessa colpa, ha confermato in appello la condanna alla pena capitale dello studente di 20 anni Mohammad Amin Valian, membro dell'Associazione degli studenti islamici di Damghan ed aveva militato attivamente per Mir Hossein Moussavi durante la sua campagna presidenziale. A differenza dei due che erano militanti accusati di appartenere ad un gruppo monarchico ed erano stati arrestati prima dei moti post elettorali, Valian aveva preso parte alle manifestazioni anti-governative del 27 dicembre scorso ed aveva tirato dei sassi contro le forze di sicurezza. Quelle manifestazioni si conclusero con il tragico bilancio di 8 morti, decine di feriti e di centinaia di arresti. Tutti i condannati a morte sono stati anche accusati di aver cercato di rovesciare il governo e di appartenere a gruppi clandestini fra cui quello dei Mujaheddin del Popolo.
Il reato di 'moharebeh', passibile in Iran della pena di morte, è stato contestato a numerosi oppositori arrestati nelle manifestazioni post-elettorali dell'estate scorsa. Altri 9 manifestanti infatti, di cui 5 arrestati durante i disordini avvenuti in occasione dell'Ashura, 3 uomini e 2 donne, sono stati condannati a gennaio anch'essi a morte con lo stesso capo d'accusa degli altri oppositori. Da tempo la Resistenza iraniana lancia un appello al Segretario Generale dell'ONU, al Consiglio di sicurezza e all'intera comunità internazionale affinché adottano misure urgenti e vincolanti per impedire l'esecuzione delle sentenza di morte emesse e che, secondo la legge iraniana potrebbero essere eseguite in qualsiasi momento, e ottenere anche il rilascio di tutti i prigionieri politici.
Nel frattempo non si arresta la morsa del regime iraniano anche nei confronti degli artisti e degli intellettuali dissidenti. L'ultimo, ma solo in ordine di tempo, è stato il regista di fama internazionale, Jafar Panahi autore di 'Il Cerchio' e 'Oro rosso' e vincitore nel 2000 del Leone d'oro al Festival di Venezia. Il regista è stato arrestato ieri a Teheran insieme con la moglie e la figlia. L'estate scorsa Panahi era già stato fermato dopo aver partecipato alla commemorazione per Neda Agha Soltan, la giovane uccisa durante le manifestazioni post elettorali della scorsa estate. A febbraio poi, gli era stato negato il visto per lasciare il Paese e partecipare alla 'Berlinale'. Secondo quanto riferito dal sito dell'opposizione 'Rahesabz' alcuni agenti in borghese avrebbero fatto irruzione nell'abitazione del regista, noto sostenitore dell'opposizione al regime, e lo avrebbero portato via insieme anche a ospiti che in quel momento si trovavano in casa del regista. Tra questi altri 3 registi iraniani: Mohammad Rasoulov, Mahnaz Mohammadi e Rokhsareh Ghaem-Maghami e il cameramen Ebrahim Ghafari. Rasoulov è anch'egli noto per essere critico del regime. Ha in più occasioni denunciato all'estero la censura nella Repubblica islamica e lamentato l'esistenza di una dittatura nel suo Paese. Quando il procuratore generale di Teheran, Abbas Jafari Dolatabadi, ha confermato l'arresto di Panahi, ha escluso che dietro vi siano motivazioni politiche. “Panahi, ha detto Dolatabadi, è sospettato di aver commesso alcuni reati”. Anche se le autorità iraniane non hanno specificato quali siano questi reati. E' certo che Panahi sia stato arrestato perchè stava realizzando un film sulle proteste post-elettorali nel suo Paese. L'ha rivelato oggi il sito dell'opposizione 'Rahesabz'. Nei giorni scorsi le autorità iraniane avevano anche compiuto un nuovo giro di vite contro la stampa d'opposizione nel Paese. Il Consiglio per la supervisione della stampa ha revocato la licenza di pubblicare, non precisando però i motivi della decisione, al quotidiano di Teheran 'Etemad-e Melli', diretta dal figlio del leader riformista Mehdi Karroubi, e ad altri 2 settimanali, 'Iran Dokht' e 'Sina', anch'essi vicini all'esponente dell'opposizione. 'Etemad-e Melli' già nell'agosto scorso aveva subito una chiusura temporanea ed è il giornale che aveva provocato l'ira degli ayatollah per aver pubblicato dichiarazioni di Karrobi secondo cui alcuni manifestanti dell'opposizione avevano subito violenze in carcere. Mentre il direttore del settimanale 'Iran Dokht',
Akbar Montajabi era già finito in carcere dallo scorso 8 febbraio. Dalla fine del mese di febbraio scorso invece, sono stati rilasciati diversi giornalisti su cauzione. Tra questi Abdolreza Tajik, Mashallah Shamsolvaezin, Mohammad Javad Mozafar e Behrang Tonkaboni che erano detenuti nel famigerato carcere di Evin, a Teheran. Rilasciati anche alcuni esponenti dell'opposizione, Ali Hekmat e Behrang Tonekaboni. Anche Mohammad Sadeq Rabbani, un professore in pensione dell'Università di Teheran è ritornato in libertà. Si tratta di una una concessione simbolica per festeggiare il nuovo anno iraniano, il 21 marzo secondo il calendario persiano.

Pirateria. Stagione dei monsoni finita. I pirati somali riprendono l'attività

Pirati somali di nuovo in azione nel Golfo di Aden, catturata una petroliera saudita. A cadere nelle mani dei predoni del mare è stata questa volta la 'Al Nisr al Saudi', una petroliera di oltre 5mila tonnellate di stazza, in navigazione dal Giappone verso Jeddah. Al momento della cattura le stive della nave erano però vuote. Oltre all'imbarcazione, catturati anche i membri dell'equipaggio. Si tratta di 13 marinai cingalesi e il capitano, un greco. La petroliera è stata dirottata verso il porto di Garacad, una delle roccaforti dei pirati somali lungo la costa. Sembra che la nave non viaggiasse seguendo una rotta coperta dalla sorveglianza della missione navale del'Ue, Atalanta. Dopo un periodo di riposo forzato, a causa della stagione dei monsoni. Le varie gang del mare che imperversano nell'Oceano Indiano, assaltando le navi commerciali che incappano nella loro rete, per catturarle e chiedere poi, un riscatto di almeno un milione di dollari per il loro rilascio, stanno di nuovo entrando in azione. E' questo infatti, il periodo dell'anno in cui le condizioni atmosferiche nel mare dei pirati migliorano e sarà così per tutto marzo, aprile, maggio e parte di giugno. Nei giorni scorsi, in previsione della ripresa di questa attività criminale legata al fenomeno della pirateria marittima, la coalizione internazionale composta da unità navali da guerra di decine di Paesi ha intensificato i controlli e la vigilanza nel mare al largo della Somalia e nell'Oceano Indiano. Lunedì scorso nel corso di una di queste operazioni una nave da guerra della NATO aveva affondato una nave madre pirata proprio nelle acque antistanti la Somalia. La nave in questione è la fregata danese 'Absalon' che opera nell'ambito dell'operazione antiprateria 'Ocean Shield' dell'Alleanza Atlantica. La nave pirata era stata localizzata fin dal mattino di domenica scorsa subito dopo che aveva lasciato una dei tanti covi pirati lungo la costa somala, divenuta ormai una moderna Tortuga. Il comando della missione NATO aveva presentato il successo ottenuto nell'operazione condotta dalla 'Absalon' come un forte segnale di monito lanciato ai pirati. Evidentemente i pirati somali che hanno assaltato e catturato la petroliera saudita non l'hanno capito. Le navi madri pirate sono quelle imbarcazioni utilizzati dai pirati in alto mare come base di partenza dei loro barchini con i quali poi, conducono gli attacchi contro i mercantili. In genere per questo 'ruolo' i pirati scelgono delle imbarcazioni non molto grandi max 35-40 metri. A volte le stesse navi catturate, in genere preferiscono i pescherecci per il fatto che questo tipo di imbarcazione sono facilmente camuffabili. I pirati somali si servirono proprio di due pescherecci egiziani, catturati il giorno prima, per assaltare e catturare l'11 aprile scorso il rimorchiatore d'altura italiano 'Buccaneer' con a bordo 16 uomini di equipaggio, di cui 10 italiani. La nave, dopo una snervante trattativa durata quasi 4 mesi e "magistralmente" condotta dalla diplomazia italiana guidata dal ministro degli esteri Franco Frattini, venne liberata il 9 agosto successivo e senza che fosse stato pagato alcun riscatto. Questo è almeno quanto afferma, e ribadisce tuttora, il capo della Farnesina e la società armatrice della nave, la Micoperi di Ravenna. Fatto questo che pone l'Italia come unico Paese al mondo a non aver pagato un riscatto per riottenere indietro dai pirati somali una sua nave e il suo equipaggio. Finora tutti hanno pagato nessuno escluso. I pirati protagonisti del sequestro del Buccaneer da parte loro hanno sempre affermato di aver ricevuto in cambio del rilascio della nave e dei 16 membri d'equipaggio un forte riscatto, anzi affermano di aver ricevuto più del richiesto.

Caucaso russo. Inguscezia annientato cellula terroristica

Un intero gruppo terroristico annientato in Inguscezia. Sei militanti uccisi e altri 15 catturati, mentre 5 poliziotti sono rimasti feriti. Questo è il risultato finale dell'operazione delle forze di sicurezza condotta nel distretto di Nazran in Inguscezia, nel Caucaso russo. Quella stessa regione dove violenze e tensioni sono all'ordine del giorno, e specie contro le forze dell'ordine e le autorità governative. I militanti sono stati identificati, alcuni di loro sono ritenuti i responsabili dei recenti attacchi armati nel Paese. Erano mesi che i governativi, coadiuvati anche dall'intelligence, gli stavano dando la caccia. Il loro covo è stato individuato nel villaggio di Ekazhevo, nel distretto di Nazran in Inguscezia. Immediatamente la zona è stata circondata e poi, è stato dato l'assalto. Nel nascondiglio rinvenuto un vero e proprio arsenale: 2 lanciagranate, 8 fucili d'assalto Kalashnikov, un mitra, granate, una grande quantità di armi di piccolo calibro e 5mila munizioni. Nel corso dell'operazione è stata sequestrata anche quasi mezza tonnellata di esplosivo destinato alla produzione di ordigni per gli attentati. Da mesi la situazione in Inguscezia, come anche nelle altre due repubbliche caucasiche russe, Daghestan e Cecenia, è diventata instabile in quanto il Paese è stato investito da un’ondata di violenze che proseguono inarrestabili e segnate da una lunga scia di sangue. Una nuova ribellione armata sembra ormai che abbia preso piede nella regione, ma forse è sempre la stessa solo che non è mai stata spenta, ma solo nascosta da Mosca. In Inguscezia in particolare, i movimenti islamisti agiscono in un sottobosco di bande in lotta tra loro e alleate contro le autorità locali e il tentativo di Mosca di controllare la situazione. Anche nel confinante Dagestan il quadro è molto simile. Mentre in Cecenia è in corso una nuova guerra per il potere, che vedrebbe in difficoltà l'uomo forte scelto dal Cremlino, Ramzan Kadyrov. Il gruppo terroristico annientato a Ekazhevo era ritenuto il responsabile della serie di esplosioni verificatesi, lo scorso 19 febbraio, a Nazran, l'ex capitale della repubblica caucasica russa dell'Inguscezia. Nel corso dell'attacco terroristico erano rimaste uccise 2 persone, di cui uno il capo del dipartimento Affari interni della città, Kazbek Latyrov, vero obiettivo dell'attentato. Mentre erano rimaste ferite 35 persone, di cui 22 agenti di polizia e 13 civili. Nel frattempo sembrerebbe che le autorità russe siano sulle tracce dei responsabili dell'assassinio di Natalya Estemirova, la giornalista e attivista del gruppo Memorial per i diritti umani rapita a Grozny in Cecenia lo scorso mese di luglio e ritrovata morta, crivellata di proiettili in Inguscezia.

martedì 2 marzo 2010

Terremoto Cile. Il governo intensifica gli sforzi per la sicurezza interna

La situazione nel Paese sud americano continua a restare instabile. Sia per il ripetersi delle scosse, i sismografi stamani hanno registrato almeno tre scosse di rilevo, due delle quali sopra il quinto grado della scala Richter, sia per la mancanza di sicurezza. Questo rende impossibile accettare soccorsi internazionali. Tra le priorità del governo cileno, alla luce dei disordini e dei saccheggi verificatisi in alcune delle zone più colpite dal violento terremoto di sabato notte, vi è quindi la sicurezza interna. Per arginare i saccheggi da parte dei sopravvissuti, oltre a Concepcion, città vicina all'epicentro della prima devastante scossa, altre 3 città sono state sottoposte nella notte a coprifuoco. Si tratta di Talca, Cauquenes e Constitution, tutte nella regione del Maule. L'ordine pubblico è stato affidato a oltre 7mila soldati dispiegati nelle regioni di Maule e Concpcion. I militari svolgeranno attività di assistenza alla distribuzione di aiuti umanitari e dovranno garantire la sicurezza nelle aree gravemente colpite dal sisma, cercando di evitare nuovi saccheggi. Le regole di ingaggio sia dei militari sia della polizia prevedono l'uso delle armi, ma solo come estrema risorsa.
A 4 giorni dal sisma si continua a scavare tra le macerie alla ricerca dei dispersi, i morti accertati sono circa 800 morti. Un bilancio che è ancora provvisorio. Per i sopravvissuti la situazione si fa sempre più difficile. In molte delle zone colpite dal sisma manca ancora l'elettricità e comincia a scarseggiare cibo e acqua. Il governo cileno ieri ha chiesto aiuto alla comunità internazionale. Mentre oggi è giunta a Santiago il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Domani sarà invece, parzialmente riaperto l'aeroporto internazionale 'Comodoro Arturo Merino Benítez' di Santiago del Cile che aveva subito gravi danni. L'attività dovrebbe riprendere al 15 per cento e sarà normalizzata del tutto a partire da venerdì ha promesso le autorità aeroportuali. Questo evento potrebbero permettere l'arrivo dei primi voli con gli aiuti internazionali. Nel frattempo già dalla vicina Argentina, attraverso le Ande, è in arrivo un ospedale da campo e c'è l'impegno a fornire mezzo milione di litri di acqua potabile. Mentre il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha annunciato l'invio di squadre di soccorso e di un ospedale da campo. L'Australia ha deciso di inviare 4,5 milioni di dollari di aiuti, l'Unione Europea 3 milioni, stessa cifra il Giappone e la Cina 1 milione. Gli USA hanno inviato una fornitura di telefoni satellitari, necessari per ristabilire le comunicazioni con molte delle zone colpite. Cuba ha pronta una squadra medica composta da 27 operatori e la Bolivia sta inviando 60 tonnellate di aiuti umanitari e acqua potabile. La Russia invece ha pronti due aerei con aiuti umanitari comprese tende, coperte e generatori elettrici. Una prima stima dei danni causati dal terremoto è stata quantificata intorno ai 30 miliardi di dollari. La Rsa, una società britannica proprietaria della più grande compagnia assicurativa cilena, la 'Seguros Chile', ha dichiarato che dovrà versare ai propri clienti colpiti dal terremoto fino a 30 milioni sterline. Il violento terremoto che ha colpito il Cile ha provocato uno spostamento dell'asse di rotazione terrestre e un corrispondente accorciamento della durata del periodo di rivoluzione del pianeta. In parole povere avrebbe accorciato la durata del giorno. E' questo il risultato di studi effettuati dal 'Jet Propulsion Laboratory', Jpl, della Nasa. L'alterazione della durata del giorno sarebbe poco più di un milionesimo di secondo e lo spostamento dell'asse terrestre di 2,7 millesimi di secondo d'arco, corrispondente ad uno spostamento lineare di circa 8 centimetri. Quelle del Jpl però sono ipotesi teoriche. Le misure vere e proprie, a livello mondiale, le sta coordinando l'Italia, attraverso il 'Centro di Geodesia Spaziale dell'Agenzia Spaziale Italiana', Asi, a Matera.

Per la stampa algerina la Mauritania non accetterà il ricatto di al Qaeda

Ieri è scaduto, senza che siano state esaudite le loro richieste, l'ultimatum lanciato lo scorso 6 febbraio dall'Aqmi, il gruppo terroristico maghrebino legato ad al Qaeda, per il rilascio dei due italiani, Sergio Cicala e la moglie Philomene Kaborè. I due sono stati sequestrati lo scorso dicembre in Mauritania. Per il loro rilascio, i terroristi hanno chiesto la liberazione di 4 loro compagni detenuti in Mauritania. La vicenda sta facendo salire la tensione tra i vari Paesi dell'area. In particolare tra Algeria, Mali e Mauritania, che sono i Paesi coinvolti nel sequestro degli ostaggi occidentali. Secondo la stampa maliana, Algeri si sarebbe ritirata dalla mediazione tra i ribelli del Nord del Mali e il governo centrale, rompendo, almeno per il momento, l''Accordo di Algeri'.
Nella sua edizione odierna il quotidiano filo-governativo algerino 'el-Khabar' ha trattato la vicenda attraverso le sue colonne con un'attenta disamine. Già il titolo dell'articolo parlava chiaro: “L'organizzazione di al Qaeda ha giocato una carta sbagliata con la Mauritania”. Secondo il giornale, le autorità di Algeri stanno seguendo con grande interesse il modo in cui il governo di Nouakchott risponderà alle richieste del gruppo terroristico al Qaida per il Maghreb islamico, Aqmi, e in particolare per quanto riguarda la liberazione dei due ostaggi italiani. “Si piegherà la Mauritania alle richieste di al Qaeda come ha fatto il Mali? Eserciterà l'Italia delle pressioni sulla Mauritania in questo senso come la Francia ha fatto col il Mali?”, si chiede il giornale. Nei giorni scorsi l'Algeria, come la Mauritania, aveva fortemente protestato con il Mali per essere scesa a patti con i terroristi. Le autorità di Bamako infatti, avevano accettato di rilasciare 4 terroristi, arrestati nell'aprile 2009 nel nord del Mali, detenuti nel Paese in cambio della liberazione dell'ostaggio francese, Pierre Camatte. Sia le autorità di Nouachkott sia quelle di Algeri hanno ritirato il loro ambasciatore da Bamako in reazione alla trattativa per l'ostaggio francese. Tra i 4, oltre ad un mauritano e uno del Burkina Faso, vi erano anche 2 algerini. Il governo algerino ha accusato quello del Mali della mancata osservanza della convenzione bilaterale di cooperazione giudiziaria. In nome della quale aveva inoltrato la richiesta di estradizione dei 2 cittadini algerini liberati, perchè perseguiti nel loro Paese per atti terroristici. La richiesta era stata formulata nel settembre 2009 e ribadita nel febbraio 2010, secondo il portavoce del ministero degli Esteri di Algeri. “A differenza della situazione relativa all'ostaggio francese, in Mauritania non si vedono significative attività diplomatiche straniere, come abbiamo visto invece in Mali”, scrive il giornale.
A differenza della Francia, che ha esercitato pressioni sulla sua ex colonia 'costringendola' alla fine ad accettare le condizioni dei terroristi, l'Italia è infatti, concentrata nell'intrattenere invece, rapporti e contatti all'interno della Mauritania, lavorando sul campo per salvare la vita dei suoi connazionali.
Ieri è stato diffuso su internet un messaggio audio dell'ostaggio che ha lanciato un disperato appello al premier Silvio Berlusconi: “Spero tanto che mi possa aiutare e che possa aiutare mia moglie”, ha detto Cicala con voce rotta dall'emozione. L'audio era accompagnato da una foto che mostrava l'italiano inginocchiato davanti a un gruppo di uomini armati di kalashnikov e con il volto coperto. Un segnale questo che le trattative sono ferme ed un modo, per i terroristi, per spingere. Sull'intera vicenda la Farnesina continua a mantenere la linea di riservatezza scelta già all'inizio del sequestro e che ha seguito anche in precedenti vicende. Ultimamente questa linea ha dato ottimi risultati nella gestione del sequestro del rimorchiatore Buccaneer. La nave venne catturata insieme al suo equipaggio dai pirati somali nel golfo di Aden, e rilasciata dopo 4 mesi e senza pagare alcun riscatto. Uno caso, questo, unico al mondo. Finora tutti i Paesi coinvolti nel fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia hanno sempre pagato un riscatto per ottenere il rilascio dei loro connazionali sequestrati. Dopo il messaggio audio di Cicala, postato ieri sui siti jihadisti, i terroristi ora hanno preso altri 25 giorni di tempo per attendere una risposta dal governo italiano. Nel frattempo sembra che anche i negoziati per il rilascio dei 3 ostaggi spagnoli, rapiti dallo stesso gruppo appartenente al braccio nordafricano di al Qaeda, sono ad un punto morto. I 3 volontari, membri della Ong catalana 'Acciò Solidaria', sono stati rapiti il 29 novembre scorso e trasferiti nelle zone settentrionali del Mali. Nei giorni scorsi anticipazioni della stampa spagnola, davano per certo il loro rilascio in quanto sembrava che il governo di Madrid avesse accettato di pagare il riscatto di 5 milioni di dollari richiesto dai sequestratori per il loro rilascio.

Nucleare. Gli USA discutono il ritiro delle armi atomiche dall'Europa

Compiuto il primo passo verso la richiesta di ritiro delle armi atomiche statunitensi attualmente collocate sul territorio del Vecchio Continente. Ieri il quotidiano 'New York Times' aveva anticipato la notizia. Con un editoriale aveva rivelato che l'amministrazione Obama stava discutendo informalmente, con gli alleati europei la questione del ritiro o meno delle armi nucleari tattiche dai Paesi europei che le ospitano. Oggi è stato reso noto che Germania, Lussemburgo, Belgio, Norvegia e Olanda hanno chiesto alla NATO di aprire un dibattito sulla sua 'politica nucleare'. Le armi nucleari USA, circa 240, sono stoccate in 7 basi dell'Alleanza Atlantica dislocate in 6 Paesi europei: Belgio, Germania, Italia, Olanda, Turchia e Regno Unito. La richiesta è stata inviata al segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, lo scorso venerdì. Rasmussen si è detto disponibile a discuterne, stabilendo che il dibattito avverrà alla riunione dei ministri degli Esteri prevista per il 22 aprile prossimo a Tallin in Estonia. Questa iniziativa non è in contrasto con le intenzione dell'amministrazione americana. Il presidente americano, Barack Obama infatti, aveva già preannunciato un Summit sulla non proliferazione nucleare per il 12 e 13 aprile prossimi a Washington. Un vertice in cui vuole discutere sulla riduzione dell'arsenale nucleare americano. Un arsenale di circa 10mila testate nucleari di cui almeno 5mila sono mantenute in status operativo mentre le altre sono tenute di riserva. Le testate divise in strategiche e in tattiche. Queste ultime sono montate su missili 'Cruise Tomahawk', e bombe nucleari B61. Parte di queste bombe B61 sono dislocate in Europa. Nell'aprile scorso il presidente americano Barack Obama e il suo omologo russo Dmitri Medvedev si sono impegnati a ridurre il numero delle testate nucleari attive, nel nuovo accordo destinato a subentrare al vecchio Start, ad una fascia tra 1.500 e 1.675 entro il 2012. Il negoziato, in corso da tempo a Ginevra, sembra molto vicino alla conclusione.

Caso Battisti. L'assordante silenzio dell'Italia sulla sua ritardata estradizione

Cesare Battisti è detenuto nel carcere di Papuda a Brasilia. L'ex terrorista rosso dei Proletari Armati per il Comunismo, Pac, ha chiesto asilo politico al Brasile che glielo ha accordato nel gennaio 2009. Nei suoi confronti però, l'Italia ha presentato una richiesta di estradizione in virtù del trattato firmato tra i due Paesi nel 1989. Il governo del Paese sud americano si è riservato di dare una risposta a quello italiano al più presto. Dopodiché è davvero impressionante il silenzio assordante che è calato sul caso.
Finora la vicenda si è sviluppata in maniera controversa. Per meglio dire in maniera equivoca.
In Italia Cesare Battisti è stato condannato all'ergastolo in contumacia come responsabile di 4 omicidi compiuti durante gli anni di piombo. Tre come concorrente nell'esecuzione, uno co-ideato ed eseguito da altri: Il 6 gennaio 1978 a Udine viene assassinato a bruciapelo e alle spalle mentre passeggiava con moglie e figli, Antonio Santoro, maresciallo della polizia penitenziaria. Dell'omicidio Battisti fu accusato dal pentito Pietro Mutti che poi, si assunse la responsabilità diretta dell'azione. Battisti avrebbe avuto solo un ruolo di copertura. La colpa di Santoro era quella di presunti maltrattamenti ai danni di detenuti. 16 febbraio 1979 a Santa Maria di Sala (Ve) viene ucciso Lino Sabbadin macellaio di Mestre. Anche in questo caso Battisti fece da copertura armata all'esecutore materiale Diego Giacomin. La colpa di Sabbadin essersi opposto con le armi ad un tentativo di rapina nel suo esercizio commerciale. 16 febbraio 1979 a Milano viene assassinato PierLuigi Torregiani un gioielliere. Battisti fu condannato come co-ideatore e co-organizzatore. Nel corso nell'agguato a Torreggiani venne coinvolto nella sparatoria anche suo figlio Alberto, che da quel giorno vive paralizzato su una sedia a rotelle. Torregiani era colpevole di aver ucciso il 22 gennaio precedente un rapinatore durante una tentata rapina in una pizzeria in cui si trovava con i gioielli che aveva mostrato ad una vendita televisiva. 19 aprile 1979 a Milano venne assassinato Andrea Campagna un agente della DIGOS. L'omicidio avvenne davanti a testimoni che riconobbero Battisti come l'esecutore materiale. La colpa di Campagna era di aver partecipato ai primi arresti legati al caso Torregiani. Per i fatti sopracitati Battisti si è sempre dichiarato innocente. Recentemente si è anche detto pronto ad incontrare i parenti delle vittime degli omicidi a lui contestati e ha dichiarato di avere già avuto un rapporto epistolare di amicizia, sincerità e rispetto con Alberto Torregiani. Circostanza questa, confermata da Torregiani il quale ha aggiunto che ha risposto come avrebbe fatto con chiunque altro gli avesse scritto.
Sulla mancata estradizione dell'ex terrorista dei Pac il governo italiano sembra chiudere entrambi gli occhi come se volesse accettarla dandola per scontata. Possibilità che appare come implicitamente confermata dalle ricostruzioni fatte in questi mesi da alcuni giornali brasiliani. Giornali, come il 'Fohla de Sao Paulo', che danno per certa la conferma dello status di rifugiato 'per ragioni umanitarie' all'ex terrorista. Il 'FSP' a gennaio aveva rivelato dalle sue colonne che il capo di Stato brasiliano avrebbe elaborato una 'strategia' al fine di giustificare il prolungamento dell'asilo politico per il terrorista italiano impedendone l'estradizione. Secondo quanto riportava la testata latinoamericana, sarebbe stato adottato un pacchetto di misure giuridiche e mediatiche per sostenere la tesi umanitaria.
Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nei prossimi giorni sarà in visita ufficiale in Brasile. Una visita programmata da tempo, prevista in un primo momento per il 18 febbraio è poi, posticipata al 9 marzo prossimo. In quell'occasione il capo del governo italiano incontrerà il presidente brasiliano, Luiz Ignacio Lula da Silva. Di certo i due affronteranno tra gli altri anche il caso Battisti. Nel frattempo però, sembra quasi che Lula voglia prendere tempo circa la decisione che dovrà prendere sulla vicenda dell'ex terrorista rosso. Alla fine dello scorso anno infatti, il Supremo Tribunal Federal brasiliano, Stf, ha votato a favore dell'estradizione lasciando però, l'ultima parola, sul controverso caso, al capo dello Stato che non si è ancora pronunciato in merito. Il presidente brasiliano continua a posticipare la decisione finale che l'Alta Corte gli ha affidato. Tutto questo sembra, secondo alcuni analisti, faccia parte di una elaborata strategia. L'Stf si pronuncia a favore dell'estradizione, ma lascia la decisione finale a Lula. A questo punto due sono le possibilità o Lula decide di lasciare Battisti nel Paese, concedendogli l'asilo politico, oppure da il via libera alla sua estradizione avanzata da tempo dall'Italia. Come è stata concepita la cosa, in ambedue i casi il Brasile non viola il trattato di estradizione firmato tra Italia e Brasile. Questo perchè, anche se il capo dello Stato decide di lasciare Battisti in Brasile, il processo comunque potrà essere riaperto.
Di fronte a tutte queste incertezze che lasciano la porta aperta a tante soluzioni anche quelle che vanno nel senso opposto alla volontà dell'Italia. Il silenzio assordante del governo italiano si fa sempre più forte.
“C'è da augurarsi che non siano vere le notizia riferite dalla stampa brasiliana circa l'intenzione del presidente Lula di non estradare il terrorista Cesare Battisti in Italia, come del resto gli stessi organi supremi della giustizia brasiliana hanno deciso. L'ostruzionismo in atto è già preoccupante. L'intenzione poi di farsi beffe dell'Italia avrebbe nefaste conseguenze sui rapporti tra l'Italia e il Brasile”. Con queste parole, lo scorso 11 gennaio, il presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri commentava la notizia diffusa dal quotidiano 'Fohla de Sao Paulo'. Dopodiché più nulla fino a qualche giorno fa quando il presidente dell'UdC Rocco Buttiglione, in vista del viaggio di Berlusconi in Brasile ha affermato che: “Il premier Berlusconi...ha il dovere morale e istituzionale di incalzare il presidente Lula perchè proceda all'estradizione di Cesare Battisti. Ben vengano i rapporti economici e commerciali tra Italia e Brasile, ma la dignità dell'Italia non ha prezzo”. “Il quotidiano 'Avvenire' ha riportato le ricostruzione del giornale brasiliano 'Folha de Sao Paulo' in base alla quale ci sarebbe un accordo a far slittare la decisione di Lula un mese dopo la visita di Berlusconi, e questo perchè tale decisione sarebbe nella direzione di confermare lo status di rifugiato per motivi umanitari a Battisti, condannato in Italia per quattro omicidi”. “Sarebbe una decisione inaccettabile, ha continuato Buttiglione, cui il premier Berlusconi non deve sottostare ne' tantomeno deve dare l'impressione di un assenso”. “La mancata estradizione di Battisti sottintende che l'Italia negli anni del terrorismo, e forse anche adesso, non abbia rispettato i diritti civili. Al contrario noi ci gloriamo che l'Italia abbia battuto il terrorismo sul terreno della legalità, e chiunque lo neghi reca un grave affronto all'Italia e non è amico del nostro Paese”, ha aggiunto il presidente dell'UdC. “Non vorremmo che per ottenere qualche commessa in più si umiliasse la dignità della nazione, il dolore delle vittime e dei loro familiari, nonchè la nostra giustizia delegittimando platealmente la magistratura italiana. I giudici che hanno condannato Battisti sono onesti servitori dello Stato e il loro prestigio sta a cuore a tutti gli italiani”, ha concluso Buttiglione.
Parole che mostrano il clima che si respira in Italia intorno a questa vicenda e indicano chiaramente l'orientamento della politica italiana in merito. Di fronte a queste scenario sono molti quelli che non sanno che posizione prendere e si limitano ad attendere. Purtroppo però, a volte l'attendismo in cui ci si rifugia può anche condurre ad effetti sfavorevoli.
Lasciano molto pensare anche le recenti dichiarazioni rilasciate da Luis Roberto Barroso, uno delgi avvocati di Cesare Battisti in Brasile. Dichiarazioni che sembrano voler esprimere fiducia sulla possibilità di un 'NO' di Lula all'estradizione del terrorista e poi, anche volerne ribadire l'innocenza. Barroso ha affermato che: “La Francia ha recentemente negato l'estradizione di una ex terrorista italiana dello stesso periodo”, il riferimento è al caso dell'ex brigatista rossa Marina Petrella. L'episodio avvenne nel 2008, ma in quel caso le ragioni erano giustificate dal precario stato di salute della Petrella (ndr). La stessa Francia inoltre negò la prima richiesta di estradizione di Battisti, che rimase sul suolo francese per più di un decennio, il riferimento è al periodo francese quando Battisti, come tanti altri, beneficiò a lungo della dottrina Mitterrand (ndr). Ma non mi pare che tra Francia e Italia le relazioni siano peggiorate”, ha continuato l'avvocato. “Ecco perché penso che non ci sarà nessuna conseguenza negativa nelle relazioni tra Italia e Brasile se Battisti, come credo, non verrà estradato. La decisione finale spetta solo al presidente Lula. Il Supremo Tribunale Federale, la più alta carica brasiliana, ha riconosciuto espressamente che la competenza per questo tipo di decisione spetta al Presidente della Repubblica, che può fare una propria valutazione politica sulla questione. Nel caso il Presidente decida di non consegnare Battisti ci sono diversi appigli consistenti che possono giustificare la Sua decisione. E' importante dire anche che la competenza del Capo del Potere Esecutivo in questa materia è riconosciuta in molti Paesi, ad esempio gli Stati Uniti, la Spagna e la Francia. Non ci sarebbe quindi niente di eccezionale se il Brasile non concedesse l'estradizione di Battisti”, ha concluso l'avvocato Barroso.
Parole chiare, dirette, convinte che non lasciano spazio ad equivoci.
Quindi Cesare Battisti non verrà estradato in Italia? Non è possibile dare ora una risposta sincera e corretta, ma certamente sono in molti che non ne dubitano.
“Se Battisti è così tranquillo che il presidente Lula gli conceda l'immunità io non capisco perchè continui a parlare. Questo dimostra che invece, non ha questa grande sicurezza e che continua invece a fare grosse pressioni”. Le parole sono di Alberto Torregiani, il figlio dell'orefice Pierluigi, ucciso nel febbraio 1979 a Milano dai Pac. L'occasione per pronunciarle è stata un'intervista rilasciata a Cnr media. “Battisti ha il coraggio di venire davanti a me e dire 'Io sono innocente'? Vediamolo!”, ha concluso il figlio di una delle vittime per il cui omicidio Battisti è stato condannato in Italia. Lo scorso mese di gennaio Alberto aveva già commentato le indiscrezione pubblicate dai media brasiliani rilasciando un'intervista a un'intervista a Liberal: “Se la vicenda dovesse avere anche un fondo di verità, chiamerò a raccolta le associazioni delle vittime e scenderemo in piazza a gridare la nostra rabbia”. “Le pallottole di Battisti ci hanno strappato i nostri cari, ma il mancato rientro di un delinquente comune ci strapperebbe per sempre la fiducia nello Stato. E soprattutto la speranza. Sarebbe un tradimento dello Stato. Non si può barattare la dignità per quattro carri armati”. In un'altra intervista rilascita invece, a Cnr media aveva affermato che: “Qui si parla di un assassino, di uno che ha ucciso due persone e ne ha fatte uccidere altre due, uno che si è fatto beffe dell'Italia e della Francia, mi chiedo che cosa bisogna dimostrare ancora per far capire a certi personaggi che cosa deve essere fatto”.
Nel frattempo Battisti, in attesa di una decisione sulla sua estradizione in Italia, continua a dedicarsi all'attività che lo ha reso ricco e famoso, quella di scrittore noir. Un'arte questa acquisita nel corso della sua lunga latitanza. In questi giorni è in uscita in Brasile il suo nuovo libro dal titolo 'Ser bambu', Essere bambù edito dalla casa editrice brasiliana Martins Fontes. Nell'intenzione del suo autore il libro vuole essere una continuazione di 'La mia fuga senza fine', del 2007. Nelle pagine di questo nuova testo Battisti, mescolando finzione e riflessioni autobiografiche, continua a descriversi come un uomo in fuga permanente, con un destino incerto e senza nessuna sicurezza, perseguitato dalla paura e dalla solitudine nel tormento di quello che chiama 'la mia saga'. Tempestivo quanto ricco di significati. Al libro l'ex terrorista affida i suoi pensieri, idee e speranze, prima fra tutte quella di tornare ad essere un uomo libero.
Da ricordare che Battisti nel 2006 ha presentato un ricorso, contro la richiesta di estradizione in Italia, alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo. Ricorso respinto dalla Corte perchè dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sull'intera vicenda pesa anche il pressing attuato su Lula da personalità del mondo politico e sociale internazionali tra questi il presidnete francese Nicolas Sarkozy la cui sensibilità umanitaria nei confronti dell'ex terrorista sembra sia dettata dall'amicizia che lega la First Lady Carla Bruni a Battisti.

lunedì 1 marzo 2010

Ripreso il processo a Karadzic accusato di pulizia etnica durante la guerra di Bosnia

Oggi è ripreso all'Aja il processo all'ex presidente serbo-bosniaco Radovan Karadzic. Dopo aver boicottato le prime udienze l'ex uomo forte di Bosnia-Ezegovnia stamani si è invece, presentato davanti al Tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia, Tpi. L'Alta Corte venne istituita nel 1993 dal Consiglio di sicurezza dell'ONU come un organo ad hoc con mandato limitato fino al 2009. Le sue funzioni però, sono state prolungate fino al 2014. Entro tale data però, dovranno essere conclusi gli ultimi giudizi pendenti a carico di Karadzic, incluso l'eventuale processo di appello. Quella di oggi era la quarta udienza del processo che vede il Tpi impegnato in un vero e proprio travagliato avvio di un procedimento penale a carico di Karadzic. Questo dibattimento processuale vede l'ex numero uno della Repubblica serba di Bosnia imputato che deve rispondere a 11 capi d'imputazione tra i quali genocidio, crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Tutti i capi dell'accusa sono stati compiuti nel corso della guerra di Bosnia del 1992-95, che causò 100mila morti e 2,2 milioni di profughi. Una guerra terminata solo con la sigla degli Accordi di pace di Dayton, del 1995, che riconobbero dignità statuale alla Repubblica Srpska fondata da Karadzic, contrapposta all'interno della Bosnia alla Federazione croato-musulmana. Un riconoscimento che l'ex presidente non potè godersi in quanto si dovette dare alla macchia. Karadzic in particolare è accusato soprattutto di essere il mandante del massacro di 8mila civili musulmani a Srebrenica, nel 1995 che secondo la difesa non fu un genocidio ma al massimo un crimine di guerra contro dei prigionieri di guerra. Questa vicenda che lo vede coinvolto ha inizio dopo la dichiarazione di indipendenza di Slovenia e Croazia e poi, della Bosnia. E' a questo punto che l'ex psichiatra entra in gioco e viene coinvolto nel conflitto tra musulmani e serbi, quest'ultimi contrari alla secessione della Bosnia. L'ex leader bosniaco insieme al suo braccio armato, l'ex generale Ratko Mladic, ancora oggi latitante, mette a punto il disegno della Grande Serbia con il beneplacito dell'allora presidente serbo, Slobodan Milosevic. L'obiettivo che i tre si prefiggono è quello di riannettere a Belgrado tutta la popolazione e i territori serbi in Croazia e Bosnia. Per raggiungerlo Karadzic e Mladic attuano una vera e propria strategia di pulizia etnica della popolazione non serba secondo l'accusa della Giustizia internazionale. L'ex capo dei serbi di Bosnia fin dall'inizio del dibattimento, nell'ottobre 2009, respinge ogni accusa a suo carico ed ha scelto di assumere personalmente la proprio difesa. Una difesa che basa in gran parte sul fatto di voler riuscire a dimostrare che la fazione nemica, quella musulmana, venne armata illegalmente con il placet di diverse potenze straniere. Fin dal suo arresto, avvenuto a Belgrado nel luglio 2008 dove era vissuto per tutti i 12 anni di latitanza, l'ex presidente serbo-bosniaco ha lanciato violente accuse agli Stati Uniti, alla NATO, all'ONU e agli stessi giudici, colpevoli, a suo dire di aver trasformato il tribunale in un comitato disciplinare dell'Alleanza Atlantica. Stamani Karadzic, come promesso, è subito partito all'attacco avviando la sua autodifesa. “La causa dei serbi di Bosnia durante la guerra era giusta e sacra”, ha detto in aula affermando che: “Solo con la guerra si poteva dividere la Jugoslavia”. “Tutto quello che hanno fatto i serbi viene trattato come un crimine”, ha spiegato Karadzic. “Non c'è mai stata intenzione e ancora meno un piano per espellere i musulmani e i croati dalla repubblica serba di Bosnia. Il solo piano che avevamo era quello di salvare la pelle, i nostri beni e i nostri territori, ha aggiunto l'ex leader serbo-bosniaco. L'udienza è stata poi, aggiornata a domani martedì 2 marzo. Dell'altro grande ricercato Ratko Mladic si è persa ogni traccia. L'ex generale sfugge alla Giustizia internazionale da oltre un decennio. Nel frattempo mentre l'ex presidente parlava davanti ai giudici del Tpi, le madri di Srebrenica manifestavano all'Aja per chiedere giustizia.

Islam. I 'Kamikaze' vanno all'inferno!!

Domani a Londra Muhammad Tahir ul-Qadri emetterà una fatwa, editto religioso, contro il terrorismo. Sarà una condanna dell'estremismo islamico, ma anche un avvertimento che i terroristi suicidi 'vanno all'inferno' per l'azione che hanno compiuto. L'eminente studioso islamico di origine pachistana, seguace della tradizione Sufi, antica corrente dell'Islam che si focalizza sulla pace e sulla tolleranza ha preparato un editto lungo 600 pagine e che, secondo il suo autore, nella formula sarà simile a quelli già emessi da altri musulmani, ma per il contenuto si spinge oltre. Il leader di Minhaj ul-Quran, l'organizzazione internazionale che si occupa dell'insegnamento della tradizione Sufi, è autore di 350 libri sulla religione musulmana e da 30 anni promuove la pace ed il dialogo tra le fedi. E stato ministro in Pakistan ed era vicino all'ex primo ministro Benazir Bhutto assassinata nel dicembre 2007. L'iniziativa è stata accolta positivamente. “Questa nuova fatwa potrebbe davvero servire a influenzare in maniera positiva i giovani musulmani”, ha affermato Tim Winter, professore di studi islamici presso l'università di Cambridge. Winter ha spiegato che gli indecisi, i musulmani non istruiti e arrabbiati, che rispettano gli studiosi, probabilmente ne prenderanno nota.

Assassinio del leader di Hamas. Per la polizia di Dubai sono in Israele tutti i sospettati

AGGIORNAMENTO

Sarebbero negli USA 2 dei 27 sospettati dell'assassinio di Hamas Mahmoud al-Mabhouh. Il dirigente di Hamas venne ucciso a Dubai lo scorso 20 gennaio. Uno sarebbe entrato il 21 gennaio con un passaporto irlandese e l'altro il 14 febbraio con documenti britannici. A rivelarlo il 'Wall Street Journal' smentendo di fatto le dichiarazioni rilasciate ai media dal capo della polizia della capitale degli Emirati Arabi Uniti, EAU, il generale Dahi Khalfan che riterrebbe tutti i sospettati fuggiti in Israele. Per le autorità americane i due uomini non abbiano lasciato il Paese, almeno non con i documenti con cui sono entrati, che è stato spiegato sarebbero stati falsificati. Le autorità degli EAU hanno chiesto un mandato d'arresto internazionale per tutti i sospettati, identificati attraverso le telecamere di sicurezza dell'aeroporto di Dubai e dell'albergo dove è avvenuto il delitto. Il capo della polizia di Dubai si è detto certo che dietro all'operazione ci siano i servizi segreti israeliani senza però, fornire prove. La scorsa settimana il suo ministro degli esteri aveva detto che non ci sono prove contro Israele. Da parte sua il Mossad non ha fatto dichiarazioni. Nel frattempo il generale Khalfan ha annunciato nuove restrizioni. Oltre a chi è solo cittadino dello Stato ebraico anche chi ha doppia nazionalità non sarà più autorizzato ad entrare nel Paese.


Nell'edizione odierna del quotidiano degli Emirati Arabi Uniti 'Al-Khaleej' è stata pubblicata un'intervista al capo della polizia di Dubai, il generale Dhahi Khalfan. Secondo l'alto ufficiale tutti i sospettati nell'inchiesta sull'assassinio a Dubai, del 20 gennaio scorso, di uno dei comandanti di Hamas, Mahmud al-Mabhouh, sono tornati in Israele. Al-Mabhuh si trovava a Dubai per comprare armi quando è stato assassinato in quella che da più parti è considerata un'operazione del Mossad, l'agenzia di intelligence israeliana. Il commando, secondo gli inquirenti, era composto da 27 persone che hanno usato 12 passaporti britannici, 6 irlandesi, 4 francesi, uno tedesco, 3 australiani e uno di un Paese europeo non ancora rivelato. Il possibile coinvolgimento dello Stato ebraico nell'assassinio dell'uomo di Hamas è emerso dall'inchiesta avviata dalle autorità di polizia di Dubai. Sembra che i nomi di almeno 8 dei 27 sospetti corrispondono a quelli di altrettante persone che risiedono in Israele. Si tratta di Philip Carr, Adam Korman, Gabriella Barney, Mark Sklar e Daniel Schnur. A questi vanno aggiunti i nominativi di 2 australiani che vivono in Israele e segnalati dal ministero degli Esteri australiano che sono: Nicole Sandra McCabe e Joshua Daniel Bruce. L'ottavo nome invece, è di Roy Cannon, che corrisponde a quello di un inglese emigrato in Israele nel 1979. Israele finora non ha né confermato e né smentito il suo coinvolgimento nell'omicidio di al Mabhuh. Quasi in contemporanea è giunta stamani da parte del capo della diplomazia iraniana, Manuchehr Mottaki l'invito ai Paesi occidentali i cui passaporti sono stati usati a Dubai dal comando sospettato dell'assassinio del dirigente di Hamas a fare chiarezza i Paesi occidentali. L'occasione per farlo gli è stata data nel corso di un suo intervento al Consiglio dell'ONU per i diritti umani, riunitosi oggi a Ginevra. Mottaki ha accusato i Paesi dell'occidente di fomentare il terrorismo con il falso obiettivo di tutelare i diritti umani e di addestrare i terroristi nella cosiddetta lotta al terrore. Una prima risposta indiretta all'interrogativo di Mottaki era già venuta nei giorni scorsi quando il figlio di Roy Cannon, Raphael, aveva dichiarato che il vero passaporto del padre è in suo possesso e che quello usato a Dubai reca la fotografia di uno sconosciuto. Anche da parte francese era giunta una sorta di dissociazione da quanto avvenuto. Lo scorso giovedì l portavoce del ministero degli Esteri francese, Bernard Valero aveva dichiarato che: “I passaporti francesi che sarebbero stati utilizzati dal comando sospettato dell'assassinio a Dubai dell'alto dirigente di Hamas appaiono chiaramente falsificati e ci sarebbe usurpazione di identità di cittadini francesi”.
Nel frattempo Hezbollah ha dichiarato di aver innalzato la soglia delle misure di sicurezza in seguito all'omicidio di un dirigente di Hamas a Dubai. L'organizzazione militante libanese ha inoltre chiesto alle autorità libanesi di aumentare le misure ai valichi di frontiera per scongiurare l'ingresso nel Paese di potenziali assassini. Anche se i dubbi sul coinvolgimento del Mossad in questa vicenda sono tanti la questione sembra al momento restare nel vivo del dibattito e non accennare ad abbassare i toni della polemica. Questo, nonostante che la scorsa settimana lo scrittore e giornalista Yossi Melman, che ha fama di esperto di servizi segreti israeliani, aveva esternato con valide argomentazioni i suoi dubbi sulle responsabilità dei servizi israeliani nel delitto di Dubai. Un suo editoriale era stato pubblicato dal quotidiano liberale 'Haaretz'. Per Melman già il fatto che per compiere un 'delitto' del genere siano stati impiegati quasi 30 uomini non è nello stile dei servizi israeliani. Aggiungendo poi, che è inconcepibile che dopo l'eliminazione di al-Mabhouh, vi siano stati agenti del Mossad che siono scappati in Iran, che è uno dei peggiori nemici di Israele. “ E' chiaro, spiega il giornalista, che tutto questo lascia pensare che faccia parte di un complotto in cui sono stati seminati elementi di disinformazione”.

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Una fiammella accesa per tutte le persone che soffrono al mondo

Una fiammella accesa per tutte le persone che soffrono al mondo
Nel mondo sono tante le persone che piangono e soffrono a loro dedico un affettuoso pensiero....

Unioni Civili

Unioni Civili
SI ALLE UNIONI CIVILI NO ALLE ADOZIONI

STOP ALLE VIOLENZE IN SIRIA

Il mondo non può più stare a guardare mentre migliaia di siriani si vedono privati della libertà e della vita.....

Tutta la verità sul sequestro del rimorchiatore Buccaneer

Tutta la verità sul sequestro del rimorchiatore Buccaneer

Rivista e libro in vendita al sito www.liberoreporter.it

A tutti quei bravi ragazzi morti per l'Italia

A tutti quei bravi ragazzi morti per l'Italia
Non mi abituerò mai a quest'immagine! Onore ai caduti

Nel mondo ogni giorno vengono compiute carneficine immani in cui le vittime sono inermi civili

Nel mondo ogni giorno vengono compiute carneficine immani in cui le vittime sono inermi civili
in memoria di coloro che hanno versato il loro sangue a causa del terrorismo ed ora sono solo ombre!

sono solidale con gli immigrati clandestini

sono solidale con gli immigrati clandestini
il volto di un immigrato

...a quei bravi ragazzi, figli dell'America di oggi, morti in guerra!

...a quei bravi ragazzi, figli dell'America di oggi, morti in guerra!

DARFUR:NON C'E' PIU' TEMPO DA PERDERE!

IN DARFUR SONO DECINE SE NON CENTINAIA LE PERSONE CHE MUOIONO OGNI MESE...
FAI LORO DEL BENE... AIUTA I RIFUGIATI E I PROFUGHI DEL DARFUR FACENDO UNA DONAZIONE ALL'AGENZIA ONU PER I RIFUGIATI UNHCR CHIAMA LO 0680212304 PER SAPERE COME FARE....
RICORDATI BASTANO 31 EURO PER ACQUISTARE 8 COPERTE, 51 EURO PER UNA TENDA E 200 EURO PER DARE ASSISTENZA MEDICA A 25 FAMIGLIE...

Un bambino del Darfur

Un bambino del Darfur
aiuta ad aiutarlo sostieni le iniziative pro Darfur
In Darfur dal 2003 ad oggi sono state compiute esecuzioni, anche di massa, stupri, soprattutto di massa, nei confronti di donne, uomini e bambini e interi villaggi sono stati rasi al suolo. Il terrore è stato usato come pratica generalizzata e a sfondo razziale mentre lo stupro è diventato una vera e propria arma da guerra.
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.

Il pianto di un innocente a Gaza

Il pianto di un innocente a Gaza
Ancora una volta il mondo intero si dovrebbe vergognare!!!
La guerra chi puo raccontarla? E' difficile farlo ma tutti possiamo immaginare come sia il sentire l'odore dei morti abbandonati nelle strade o sotto le macerie, il vedere i bambini che muoiono di fame accanto al cadavere della madre, il sentire il lamento dei feriti e lo strazio dei sopravvissuti, di chi si vede impotente e maledice chi gli ha portato via tutto.
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran
Sono solidale con i persiani che manifestano

Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!


i 44 presidenti degli Usa

i 44 presidenti degli Usa
da www.patrickmoberg.com/blog/id:420/november-4-2008

The President United States of America

The President United States of America
Barack Obama

E' morta Miriam Makeba

E' morta Miriam Makeba
Addio Mama Afrika....io continuerò a sognare...

Notes

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Italia. Violenza sessuale è allarme sociale


Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.

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La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'

Esprimo la mia piena solidarietà con tutti coloro che protestano contro la Legge 133/08 la cosidetta 'Riforma Gelmini'....

Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.

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ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'

C’è un detto che dice: "meglio poco che niente!".
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!

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Parole....di Abraham Lincoln

Non si può arrivare alla prosperità

scoraggiando l'impresa.
Non si può rafforzare il debole
indebolendo il più forte.
Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.
Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.
Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.
Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.
Non si può promuovere la fratellanza umana
predicando l'odio di classe.
Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.
Non si può formare carattere e coraggioto
gliendo iniziativa e sicurezza.
Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello che potrebbe
e dovrebbe fare da sola.

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

marito e padre

i due rivali

genere umano

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO
da peacereporter

23/02/2002 - 02/07/2008 Ingrid Betancourt è stata liberata!

23/02/2002 - 02/07/2008                  Ingrid Betancourt è stata liberata!
faccio mia la gioia di tutti!

Finalmente liberi!!!

Finalmente liberi!!!

Grazie a loro la Betancourt è libera

Grazie a loro la Betancourt è libera
il ministro della Difesa colombiano Santos e il generale Montoya

Grazie Uribe!!

Grazie Uribe!!
La Betancourt ha incontrato il presidente colombiano Uribe che vinse le elezioni del 2002

madre e figlia!

madre e figlia!
Yolanda Pulecio e Ingrid Betancourt

le due Betancourt

le due Betancourt
Ingrid abbraccia la madre Yolanda

La gioia della libertà riconquistata

La gioia della libertà riconquistata
Ingrid Betancourt dopo la liberazione