
Oggi il termine pirata pur evocando immagini d'altri tempi: bandiere nere con il teschio e le ossa incrociate, arrembaggi e scorrerie e ormai tutt'altra cosa. I moderni bucanieri che infestano i mari sono sempre di più dotati di mezzi moderni e hi tech, e rappresentano, al pari dei loro predecessori, una minaccia molto seria per i commerci e il turismo via mare. I pirati sanno adoperare internet e i sistemi satellitari di rilevamento e sono in grado di compiere transazioni bancarie e hanno contatti internazionali che gli consentono di riciclare i proventi dei loro arrembaggi. Oggi le zone del mondo più colpite dal fenomeno sono: il Corno d'Africa e l'Oceano Indiano.
I predoni del mare somali sono facilitati nella loro attività dal vuoto di potere e dal caos che da 1991 regna in Somalia. In un Paese privo di istituzioni legittimate dal popolo la pirateria ha finito per incontrare enormi consensi pop

Recentemente è avvenuto anche il sequestro di una nave statunitense, il primo dopo due secoli. Il presidente americano, Barack Obama, ha promesso di voler risolvere il problema della pirateria, lungo quella che è una rotta fondamentale per il commercio marittimo mondiale. Anche il suo omolgo francese Nicolas Sarkozy ha lanciato un appello alla mobilitazione internazionale per bloccare il fenomeno. Finora la comunità internazionale ha dislocato nell'area una forza navale internazionale in chiave anti pirata. Una coalizione navale che però, non ha avuto finora grande effetto nel contenere quella che è stata definita la principale minaccia che colpisce interessi politici, strategici e commerciali di tutto il mondo. Finora l'Onu ha approvato delle risoluzioni che autorizzano le marine da guerra di Paesi terzi a entrare nelle acque somale per inseguire i pirati e consentono loro l’utilizzo della forza. Dallo scorso dicembre il Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione europea ha inviato in quelle acque una missione navale europea a difesa del traffico marittimo al largo della Somalia, nel Golfo di Aden, nell'oceano Indiano e nel mar Rosso infestati dai pirati, la 'missione Atalanta'. Alla missione vi partecipano Italia, Belgio, Francia, Grecia, Olanda, Svezia, Spagna, Gran Bretagna e Germania. Dall'inizio dell'anno è operativo anche un dispositivo anti pirateria creato dal Pentagono e gestito dalla V Flotta, il 'Combined Task Force', Ctf 151. Inoltre il Golfo di Aden è pattugliato anche da navi milita

Finora l'informazione fornita dai media sul fenomeno è stata piuttosto selettiva. Una dimostrazione è data in occasione del recente sequestro del rimorchiatore italiano, Buccaneer, con a bordo 10 marinai italiani. Solo in questo caso il fenomeno della pirateria ha trovato spazio ed è stato riportato dai media italiani. Sulla loro liberazione si tratta ed è stata presa in considerazione l'ipotesi di un blitz, se non come ultima ed estrema opzione. Naturalmente la fregata della Marina militare italiana 'Maestrale', che partecipa alla missione europea antipirateria 'Atalanta', con 220 uomini a bordo, è pronta ad ogni evenienza. In caso di blitz, secondo la prassi ricorrente, sono le forze del Paese interessato ad intervenire, pertanto saranno i due elicotteri e gli incursori di Marina imbarcati sulla fregata ad entrare in azione, naturalmente insieme e in coordinamento con gli alleati.
Se si guarda in profondità in questo fenomeno si legge un messaggio. I pirati lo hanno lanciato da tempo. Un messaggio che però non è piaciuto e allora quasi nessuno si è incaricato di trasmetterlo alle opinioni pubbliche occidentali. Il fenomeno della pirateria in Somalia nasce dalla necessità di voler sopravvivere e i pirati non sono altro che i pescatori somali che sono rimasti senza lavoro a causa di responsabilità da ricercare nell'ambito nazionale e internazionali. Per quasi vent'anni nessuno si è preoccupato di tenere sotto controllo le acque territoriali della Somalia. Questo ha permesso per primo che il mare somalo fosse invaso fin sotto costa dai pescherecci dei Paesi industrializzati che lo hanno depredato di ogni sua ricchezza. Poi, che venisse invaso dai rifiuti dei Paesi industrializzati trasformandolo in un immondezzaio internazionale. Quando in seguito, nell'Oceano Indiano si verificò lo tsunami, l'onda anomala arrivò anche in Somalia e fece risalire a galla il micidiale cocktail di rifiuti tossici che era stato mandato a fondo. I villaggi dei pescatori già senza pesce, si ritrovarono anche con le falde acquifere inquinate. Nel Paese nessuno si preoccupò, come era ovvio, di monitorare la situazione. Migliaia di somali, che popolavano le coste, morirono e molti altri oggi soffrono di malattie da contaminazione industriale in un Paese dove invece non esistono industrie. In un certo modo disturba pensare che quella stessa comunità internazionale che non si è mai preoccupata di soccorrere queste persone e nemmeno di proteggere le coste somale dalla depredazione e distruzione oggi invece, ha assunto una posizione dura contro la pirateria. Che di fatto è l'unica attività possibile a cui i pescatori somali possono dedicarsi. Se si è giunti a questo punto è solo per il fatto ch

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