ARRIVA L’EUFOR MENTRE SALE LA TENSIONE IN DARFUR E SI COMBATTE IN TUTTA LA REGIONEDa martedì, è ripreso il dispiegamento della Forza di pace dell’Unione europea (Eufor) nel Ciad e Repubblica Centrafricana. La missione aveva subito uno stop a causa dei violenti scontri in corso fra ribelli e governativi intorno alla capitale N’Djamena. Il Sudan e l’intera regione circostante intanto, appaiono ormai in uno stato di guerra aperta e non più strisciante, nel confinante Ciad, dove con un raid alla capitale, i ribelli avevano tentato di rovesciare, all’inizio del mese, il presidente Idriss Deby, finora sono giunti solo 150 militari, di cui 120 francesi. In breve tempo dovranno essere 3700, 2.100 dei quali francesi. All’Eufor parteciperanno anche truppe di altri 15 Paesi comunitari.

La Forza di pace dell’Ue ha l’incarico, su mandato dell’Onu, di proteggere i circa mezzo milione di profughi fuggiti dai combattimenti in Darfur, la regione occidentale del Sudan. Per ora il contingente di pace europeo ha il mandato per un anno. L’Ue auspica di poter cedere il suo mandato alle Nazioni Unite al termine dei 12 mesi di missione. Contro l’arrivo dei peacekeepers europei si sono pronunciati i ribelli che combattono contro il presidente del Ciad Deby, che hanno detto di non credere alla neutralità di una Forza essenzialmente composta da truppe francesi, e posta sotto il comando della Francia. Il rischio che si corre è che dall’insurrezione contro il presidente ciadiano, si passi ad una guerriglia contro le forze europee. Nel martoriato Darfur intanto, alla fine della scorsa settimana, aerei di Khartoum hanno bombardato tre città, provocando almeno 150 morti, e generando 12.000 disperati che si sono riversati nel confinante Ciad, da dove nel frattempo, durante l’insurrezione contro Deby, erano fuggite circa 8.000 persone riversatesi in Camerun. Paese in cui si trovano già circa 500.000 scappati dagli orrori del Darfur e le autorità locali hanno detto di non essere più in grado di accogliere altri profughi. Il 23 febbraio prossimo compirà quattro anni l’insurrezione armata scoppiata in Darfur contro il regime di Khartoum. Una rivolta repressa nel sangue, che ha causato 250.000 morti ed oltre due milioni di rifugiati stando ai dati delle organizzazioni internazionali, mentre le autorità sudanesi contestano tali cifre e parlano di soli 9 mila morti. Nella regione sudanese è atteso da mesi il dispiegamento della forza di interposizione di pace mista Onu-Unione Africana: 26.000 uomini, che il Palazzo di Vetro ha deciso di inviare in Darfur. Purtroppo la missione per una ragione o per un’altra, non decolla; e il governo di Khartoum, se formalmente, dopo lunghi rifiuti, l’ha accettata, continua ad innalzare un muro di gomma. Lo stesso Paese ex protettorato inglese non riesce a risolvere i suoi problemi interni, che anzi sembra si stiano incancrenendo sempre più. In Sudan si è combattuto una guerra civile durata circa un ventennio tra Nord e Sud che dopo la firma, nel 2003, di un accordo di pace sembrava essere superata. Purtroppo la tensione resta invece altissima soprattutto nella regione di Abey, ricchissima di petrolio dove negli ultimi giorni si sono verificati degli scontri. Qui vi opera un gruppo nomade tribale, i Misseryia, legato a Khartoum, Sudan del Nord, con incursioni violente. Già in dicembre e gennaio c’erano stati violenti combattimenti tra tali nomadi e le truppe del Sudan del Sud. Rischi di effetti domino sempre più evidenti, che possono portare al rinascere del conflitto, solo sopito, perfino tra Nord e Sud del Sudan, il che farebbe esplodere tutta la regione senza via di ritorno. In questi giorni l’attenzione è puntata soprattutto sul Ciad dove dallo scorso venerdì migliaia di rifugiati provenienti dal Darfur hanno attraversato il confine rifugiandosi nella parte orientale del Paese. “I rifugiati sono in fuga dagli attacchi contro i villaggi del Darfur occidentale sferrati dai miliziani sostenuti dalle forze armate sudanesi, i Janjaweed”. E’ quanto si legge in una nota dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). I rifugiati provengono soprattutto dalle aree di Sirba, Sileah e Abu Suruj, a circa 50-70 chilometri a nord di El Geneina, la capitale del Darfur occidentale: l’area è nota come roccaforte del gruppo di opposizione sudanese Movimento per la Giustizia e l’Uguaglianza (Justice and Equality Movement, JEM). Il Ciad di fronte a questa nuova ‘invasione’ ha minacciato di espellere i 300mila sfollati in fuga dalla regione di confine. Ipotesi che se concretizzata costituirebbe una violazione delle leggi internazionali e della Convenzione di Ginevra. Purtroppo l’aggravarsi, di giorno in giorno, della situazione umanitaria determinata dalle migliaia di profughi che senza sosta si rifugiano in Ciad dal Darfur potrebbe portare le autorità del Ciad a prendere una tale decisione. “Noi non siamo in grado di accogliere altri rifugiati, che ci creano problemi, ha detto il primo ministro Nouradine Delwa Kassire Coumakoye”. “Noi siamo aggrediti dal Sudan a causa di tali profughi che fanno del male al nostro popolo, ha aggiunto il capo del governo, l’arrivo di profughi altro non fa che creare insicurezza al nostro popolo”. Sono almeno 12 mila, secondo fonti dell’Onu, i profughi fuggiti dal Darfur verso il Ciad nell’ultimo fine settimana. Questi sfollati vanno ad aggiungersi agli oltre 240 mila rifugiati del Darfur già passati in territorio del Ciad negli ultimi quattro anni, e ospitati in ben dodici campi profughi. Il capo del governo di N’Djamena ha lanciato un appello alla comunità internazionale invitandola a intervenire su tale grave problema. “Che sia la comunità internazionale, che è così accondiscendente con il presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir, a trovare un altro Paese per la loro accoglienza, ha osservato il premier”. La grave situazione in corso, e la crescente tensione fra Sudan e Ciad, ripropone, quanto mai la questione del dispiegamento della Eufor in Ciad e soprattutto nella Repubblica Centrafricana. Il suo dispiegamento potrebbe, infatti, favorire nuove ondate di decine di migliaia di profughi dal Darfur, alla ricerca di un rifugio sicuro e di cibo.
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