Vicenda marò: gli indiani ogni volta riaprono il caso in maniera sfavorevole all’Italia
Gli indiani hanno, ogni volta che l’Italia ha
avanzato una questione, una motivazione, per ottenere il rilascio dei due marò,
riaperto la vicenda in maniera sfavorevole all’Italia. Così è stato anche
stavolta. Alla richiesta di poter far rientrare in Patria, per motivi di
salute, uno dei due marò trattenuti in India, Massimiliano LaTorre, perché
colpito da Ischemia, immediatamente si è messa in moto la macchina indiana
antitaliani. Come è capitato in altre occasioni, la stampa indiana ha tirato
fuori dal cilindro storie inverosimili. Stavolta è stato scritto di pressioni
subite dal comandante della nave su cui erano imbarcati i due militari, Enrica
Lexie, Umberto Vitelli, da parte dei marò. Si tratta solo di fantomatiche
rivelazioni secondo cui Vitelli avrebbe dichiarato, convinto dai marò, alle
autorità indiane di aver visto che alcuni pescatori presenti sul peschereccio
erano armati. In verità il comandante non ha mai rilasciato alcuna
dichiarazione, come confermato dall’Armatore della nave. Vitelli al momento dei
fatti era impegnato nella manovra e si trovava in una parte della nave dove non
vedeva ne il team di sicurezza in azione ne i presunti assalitori. Testimone
oculare della vicenda fu invece, il secondo di Vitelli, Carlo Noviello che in
fase di inchiesta ha confermato agli inquirenti indiani quanto dichiarato dai
marò. Di questo ovviamente, la stampa indiana si è ben guardata di scriverlo.
Salvatore Girone e Massimiliano LaTorre sono
due militari della marina italiana che dal
mese di febbraio del 2012 sono ‘ostaggi’ in India. E’ questo il loro status e non quello di detenuti. Questo,
in quanto essi erano li inviati dallo Stato italiano. Il loro era un cosiddetto
rapporto di immedesimazione organica. Pertanto, essi nel momento in cui è accaduto il presunto
incidente al largo delle coste meridionali dell’India rappresentavano lo Stato
italiano e quindi, godevano di immunità funzionale. Questa è una certezza almeno
dal lato giuridico. Per gli indiani invece, senza ombra di dubbio, sono loro i
responsabili della morte di due pescatori indiani uccisi in mare per errore il
15 febbraio del 2012. Finora però, a sostegno di questa tesi non è stata
presentata dall’India alcuna prova. Anzi gli indiani hanno cercato di
costruirsele o cancellando quelle a discolpa. Ad esempio la perizia balistica
delle armi sequestrate ai marò è risultata alterata. Il peschereccio Sant’Antony
invece, di essere tenuto in custodia giudiziaria è stato lasciato marcire e
poi, inspiegabilmente è andato distrutto in un incendio. Sempre il fuoco ha
cancellato altre prove a discolpa possibili ricavabili dai corpi dei due pescatori
morti. Essi infatti, sono stati inspiegabilmente e frettolosamente cremati dopo
una dubbia autopsia. Da quel momento l’Italia ha cercato, a ragione, ma forse
con uomini e modi sbagliati, e forse anche troppo assecondando gli umori degli indiani,
di far rientrare in Patria i due marò. Purtroppo la logica italiana è andata a
scontrarsi con l’ostinatezza degli indiani. Di incidenti in mare in cui pescatori
indiani sono stati uccisi, perché scambiati per pirati, fino a quel momento se
ne erano registrati numerosi e ancora se ne registrano. Però, mai le autorità
indiane erano riuscite a mettere le mani su qualcuno dei responsabili o
presunti tali. Quale occasione migliore per dimostrare all’opinione pubblica
indiana, specie delle aree costiere, esasperata da queste morti in mare senza
colpevoli, che si sarebbe fatto pagare una volta per tutti, e in maniera
esemplare, ai due marò la loro presunta colpa. Da quel momento è stata messa in
moto senza freni una macchina propagandistica contro i due italiani. Di fatto gli
indiani, o meglio alcuni che da tutto ciò ne potevano trarre vantaggi, hanno
dato vita ad una vera e propria ‘caccia alle streghe’. La vicenda è stata
soprattutto strumentalizzata dalla politica e dai sindacati dei pescatori. La comunità di pescatori
che popolano il Kerala è di oltre 3 mln di individui. In quello
stato federale indiano nel mese di marzo del 2012 erano previste elezioni
suppletive per coprire un seggio vacante, quello del distretto di Piravom, per
la morte di un deputato di maggioranza. Per cui era in corso la campagna
elettorale e il ‘Left Democratic Front’, praticamente il partito comunista indiano,
voleva vincere per ritrovare il ruolo perso dopo essere stato spodestato l’anno
precedente da quello del partito allora al governo, il National Congress di Sonia Ghandi nata Maino. Un’italiana che
aveva sposato l’indiano Rajiv figlio di Indira. Questo era per l’opposizione punto
di attacco per colpire il nemico politico di fronte all'opinione pubblica del Paese asiatico, specie quella del Kerala.
Alla fine tutti hanno chiesto a voce alta una
condanna esemplare per i, presunti, responsabili della morte dei due
pescatori. Da quel momento, visto il successo riscosso, è stato strumentalizzato
tutto sempre di più in maniera antitaliana. Per il fatto che la disputa
politica è andata, purtroppo, ad intrecciarsi con la vicenda dei due marò
italiani è stato totalmente negativo per quest’ultimi. L’opposizione politica ha
trasmesso all’opinione pubblica, che l’ha totalmente recepito, con forza il
messaggio che i due italiani non sarebbero stati puniti e sarebbero stati
presto rimandati a casa. A rafforzare questo anche l’idea trasmessa che essendo
il governatore dello Stato del Kerala, Oommen Chandy, appartenente al ‘Partito
del Congresso’, tutto sarebbe stato reso più facile. Di sicuro tutto questo ha
condizionato tutte le successive azioni delle autorità locali indiane compiute nei
confronti dei due militari italiani. Si trattava, a quel punto, di dimostrare
all’opinione pubblica locale, che chiedeva giustizia, che quanto affermato
dall’opposizione non aveva fondamento ed ecco anche perché la vicenda ha avuto
un continuo e ci sia tutto questo lungo
tergiversare da parte indiana. Gli indiani si saranno resi certamente
conto dell’impossibilità di poter sostenere a lungo la loro teoria, ma per il
fatto che sono stati messi in condizione di predominio rispetto all’Italia
dagli eventi susseguitisi e gestiti male dopo quell’ormai lontanissimo mese di
febbraio fino ad oggi continuano a dettare loro le regole del gioco. Per questo
motivo fin da subito è stato ben chiaro a tutti il prospettarsi dell’inizio di
un’infinita telenovela che man mano che si svolge è anche condita da
scenari e colpi di scena inverosimili. I due sottoufficiali di marina facevano
parte di un team di sicurezza antipirateria, rispettivamente il capo team e il
suo vice, imbarcato a bordo di una petroliera battente bandiera italiana,
l'Enrica Lexie. Una nave della
società armatrice dei F.lli D’Amato di Napoli. La nave effettivamente il
15 febbraio del 2012 incappò in un probabile attacco pirata nell'Oceano Indiano
che venne prontamente annullato. I presunti pirati vennero dissuasi dal
perseguire nel loro intento, secondo le regole d'ingaggio, dal team di
sicurezza. Queste regole si basano sul principio di autodifesa, cioè al ricorso
dell'uso della forza solo se è necessario e non dopo avere seguito la procedura
standard che prevede avviso e dissuasione. I marò descrissero la presunta nave
pirata di colore blu e della lunghezza di circa 12 m. Una nave quindi completamente
diversa dal peschereccio indiano, il Sant’Antony, su cui erano imbarcati, tra
gli altri, i due pescatori morti. Questi era infatti, di colore bianco con due
striature longitudinali nere sulle fiancate. Per l’India invece, pur non avendo
ne prove ne testimoni oculari, dalla Enrica Lexie venne deliberatamente e senza
ragione, fatto fuoco sul peschereccio. Non hanno voluto nemmeno tenere conto
del fatto che nella stessa aerea era presente anche un’altra nave. Questa era la
greca ‘Olympic Flair’, di proprietà della società armatrice greca ‘Olympic
Shipping & Management S.A e che anch’essa denuncio un presunto attacco
pirata respinto. Si tratta di un’imbarcazione molto simile, per sagoma e colori, a quella
italiana. Nei convulsi momenti, che hanno seguito la sparatoria avvenuta
in mare quel maledetto 15 febbraio, i pescatori indiani
superstiti hanno riferito alle autorità indiane che al momento dei fatti
erano a dormire sotto coperta e una volta saliti hanno trovato i compagni morti
e visto una nave rossa e nera che si allontanava. Anche l’armatore-comandante
del peschereccio St. Anthony, Freddy Bosco raccontò di non essere riuscito a
leggere il nome della nave da cui sparavano e di averne saputo il suo nome solo
quando gli venne detto una volta rientrato sulla terraferma. L’Enrica Lexie si
trovava, già al largo, in piene acque internazionali, quando le autorità
indiane invitarono il suo comandante, Umberto Vitelli, a rientrare nelle acque
territoriali indiane. Il comandante Vitelli acquisita l'autorizzazione
dell'Armatore obbedì e cambiò rotta. In questo modo non fece altro che gettarsi
nelle braccia degli indiani o meglio gettare i marò nelle braccia degli
indiani. Gli indiani infatti, condussero la petroliera nel porto di Kochi,
nello stato federale del Kerala, mettendola in condizione di non poter
ripartire. Pochi giorni dopo, il 19 febbraio, la polizia locale, con la forza,
fece scendere i due marò a terra e li arrestarono. La nave venne lasciata
partire solo il mese di maggio successivo. A bordo però, vi erano solo quattro
dei sei fucilieri del San Marco che componevano il team di sicurezza. Altri due
vennero lasciati indietro in India con l’aspettativa di dover affrontare un
processo per duplice omicidio. LaTorre e
Girone sono ancora trattenuti in India contro la loro volontà e quella
dell’Italia. Con molta probabilità se l’Enrica Lexie non fosse tornata indietro
tutto quello che è accaduto e che deve ancora accadere non si sarebbe mai
verificato. Il perché la petroliera sia tornata indietro mentre non era tenuta
a farlo ancora non è del tutto chiaro. Nessuno ha mai chiarito questa parte
della storia. Il comandante Vitelli e il suo secondo, Carlo Noviello appena la
petroliera attraccò al porto di Colombo, nello Sri lanka, dopo aver potuto
lasciare l’India, vennero fatti sbarcare dall’Armatore e sostituiti nel comando
della nave. Un fatto che destò enorme sorpresa soprattutto per la sua
inusualità. Di loro due non se ne più parlato, almeno fino ad oggi. Eppure
potrebbero chiarire molti aspetti rimasti ancora oscuri delle prime fasi della
vicenda.
Ferdinando Pelliccia
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STOP ALLE VIOLENZE IN SIRIA
Il mondo non può più stare a guardare mentre migliaia di siriani si vedono privati della libertà e della vita.....
DARFUR:NON C'E' PIU' TEMPO DA PERDERE!
IN DARFUR SONO DECINE SE NON CENTINAIA LE PERSONE CHE MUOIONO OGNI MESE...
FAI LORO DEL BENE... AIUTA I RIFUGIATI E I PROFUGHI DEL DARFUR FACENDO UNA DONAZIONE ALL'AGENZIA ONU PER I RIFUGIATI UNHCR CHIAMA LO 0680212304 PER SAPERE COME FARE....
RICORDATI BASTANO 31 EURO PER ACQUISTARE 8 COPERTE, 51 EURO PER UNA TENDA E 200 EURO PER DARE ASSISTENZA MEDICA A 25 FAMIGLIE...
In Darfur dal 2003 ad oggi sono state compiute esecuzioni, anche di massa, stupri, soprattutto di massa, nei confronti di donne, uomini e bambini e interi villaggi sono stati rasi al suolo. Il terrore è stato usato come pratica generalizzata e a sfondo razziale mentre lo stupro è diventato una vera e propria arma da guerra.
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.
La guerra chi puo raccontarla? E' difficile farlo ma tutti possiamo immaginare come sia il sentire l'odore dei morti abbandonati nelle strade o sotto le macerie, il vedere i bambini che muoiono di fame accanto al cadavere della madre, il sentire il lamento dei feriti e lo strazio dei sopravvissuti, di chi si vede impotente e maledice chi gli ha portato via tutto.
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.
Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!?xml:namespace>
Italia. Violenza sessuale è allarme sociale
Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.
***
La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'
Esprimo la mia piena solidarietà con tutti coloro che protestano contro la Legge 133/08 la cosidetta 'Riforma Gelmini'....
Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.
...
ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'
C’è un detto che dice: "meglio poco che niente!".
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!
***
Parole....di Abraham Lincoln
Non si può arrivare alla prosperità scoraggiando l'impresa.Non si può rafforzare il deboleindebolendo il più forte.Non si può aiutare chi è piccoloabbattendo chi è grande.Non si può aiutare il poverodistruggendo il ricco.Non si possono aumentare le pagherovinando i datori di lavoro.Non si può progredire serenamentespendendo più del guadagno.Non si può promuovere la fratellanza umanapredicando l'odio di classe.Non si può instaurare la sicurezza socialeadoperando denaro imprestato.Non si può formare carattere e coraggiotogliendo iniziativa e sicurezza.Non si può aiutare continuamentela gente facendo in sua vece quello che potrebbee dovrebbe fare da sola.
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