sabato 25 febbraio 2012

Pirati somali: la strategia militaristica è fallita ora prevale la difensiva

I sempre più numerosi successi dei team di sicurezza imbarcarti a bordo delle navi commerciali, a loro ‘difesa’ dagli attacchi pirati, l’ultimo stamani, stanno dimostrando in maniera inequivocabile che il ‘difendersi’ dai pirati somali è possibile e anche in maniera vincente.
A dimostrazione il fatto che il 2011 si è chiuso con il numero minimo storico di cattura e dirottamento di mercantili da parte dei pirati somali. Questo perché sempre più armatori ricorrono alla ‘difesa’ delle loro navi. Una difesa dal costo medio di 40-50 mila dollari a viaggio per nave che spendono volentieri a fronte di costi più elevati in caso di cattura della nave.
Facendo una rapida stima la nascente ‘economia della sicurezza’ rende a chi se ne serve e a chi la offre. Infatti, il mercato è così vasto che mediamente gli armatori spendono, tutti insieme, in team di sicurezza circa 3,5 ml di dollari al giorno.
E’ ovvio che per gli armatori, già stretti nella morsa tra pirati e assicuratori, ad entrambi si sono ritrovati a pagare milioni di dollari l'anno, pagare un servizio di sicurezza a bordo delle loro navi non è un problema specie se questo comporta maggiori certezze del buon fine del viaggio. Il costo rimane sempre irrisorio rispetto a quello che perdono in caso di sequestro della loro nave.
Ad essere catturate dai pirati somali, facendo una rapida statistica, annualmente sono il 2 % delle imbarcazioni commerciali che navigano nell’area a rischio pirati. Infatti sono 40mila le navi che ogni anno solcano le acque lungo le quali corre la rotta che unisce l’Asia all’Occidente passando per il Canale di Suez. Finora di queste ne sono stata catturate ogni anno mediamente un centinaio. Questo almeno fino allo scorso anno quando la cattura di navi si è dimezzata perché gran parte di queste navi commerciali sono ora ‘difese’ da guardie armate private o da militari della Marina del Paese di bandiera della nave.
Si tratta di team di sicurezza che sono presenti direttamente a bordo delle navi e che quindi possono intervenire in maniera diretta e soprattutto immediata in caso di attacco pirata. Il solo fatto che ci sono dissuade i predoni del mare dal loro intento.
Questi ultimi, potrebbero anche affrontarli, visto che per numero li superano, i team di sicurezza sono al massimo di 6-7 uomini, i pirati assalitori anche 15-20. Però, lo scontro comporterebbe perdere tempo e darlo invece, ad una nave da guerra che avrebbe modo di raggiungere la zona e agevolmente intervenire con i mezzi a disposizione per annullare la minaccia. Per cui prevale la ragione e non la paura.
Finora infatti, un assalto pirata si consumava al massimo in 10 minuti, il tempo di far capire ai marittimi a bordo della nave assalita chi comandava, e quando sopraggiungeva una nave da guerra in soccorso ormai i pirati erano a bordo del mercantile e si servivano dei marittimi come scudi umani prendendosi anche gioco dei militari con sberleffi e atteggiamenti di sfida che non potevano certo essere raccolti.
Oltre alla cattura e dirottamento dei cargo, più redditizia, i pirati della Somalia non disdegnano di catturare anche Yacht con a bordo velisti turisti. La loro cattura mediamente gli frutta tra i 400-500 mila dollari a velista e costituisce un ripiego in caso di ‘caccia’ infruttuosa in quanto sono prede più facili.
Detto questo è ovvio che i fatti dimostrano che quella strategia militaristica sostenuta fortemente dalla comunità internazionale è praticamente fallita. Un fallimento che è ben visibile dalla smorfia di delusione disegnata sul volto di chi credeva in questa strategia. Qualcuno però, spera ancora di cambiare la realtà dei fatti e forse, i recenti e inediti successi che le navi da guerra in missione di contrasto ai pirati somali stanno facendo registrare, potrebbe essere il loro colpo di coda.
Il contrasto militare al fenomeno della pirateria marittima, promosso dal 2008 da diversi Paesi, è stato di fatto innegabilmente un flop costato solo milioni di dollari spesi inutilmente e forse anche con smoderatezza.
Alla fine un manipolo di uomini, sono poco più di un migliaio i pirati somali, hanno messo in scacco le Marine Militari di almeno 25 Paesi che o in missione internazionale o in maniera individuale cercavano di contrastarli militarmente.
Ovviamente questo contrasto, o meglio il modo di attuarlo, è variato da Paese a Paese.
Tra quelli che hanno assunto l’atteggiamento più aggressivo nei confronti dei pirati somali figura l’India come anche la Corea del Sud. Mentre molti altri Paesi si sono ‘limitati’ a pattugliare le aree loro assegnate.
L'area a rischio pirati da pattugliare, che inizialmente era di 2,5 milioni di miglia quadrate, è lentamente, nel corso degli anni, praticamente raddoppiata perché i predoni del mare si sono sempre di più spinti al largo ricorrendo all’appoggio di ‘navi madri’.
Se prima era quasi impossibile per le 40 o più navi da guerra, che si alternano in missioni periodiche della durata di circa tre mesi, pattugliarlo a questo punto era praticamente inconcepibile poterlo fare.
Tanto è vero che mentre un’unità navale da guerra si trovava da una parte dell’Oceano Indiano dall’altra i pirati somali abbordavano e catturavano il mercantile ‘adocchiato’ e praticamente indifeso.
In questo modo per mesi e anni, dal 2008 al 2010, i pirati somali sono arrivati a sequestrare decine e decine di mercantili nonostante queste missioni militari di contrasto. Le navi catturate sono state poi, sempre dirottate verso le aree costiere del Puntland, nel nord della Somalia, dove si trovano i principali covi pirati.
Finora centinaia di mercantili e diverse migliaia di marittimi di diverse nazionalità, tra cui anche europei, sono finiti nelle loro mani. Lavoratori del mare che sono stati trattati dai pirati somali come ostaggi per i quali chiedere in cambio del loro rilascio il pagamento di riscatti milionari. Il riscatto medio è fra i 5 e i 10 mln di dollari. La prigionia in Somalia è un vero e proprio calvario per i marittimi ostaggi che devono sopportare ogni forma di abuso. Maltrattamenti fisici e psicologici possono includere anche violenza fisica e finte esecuzioni. In alcuni casi, i marittimi degli equipaggi delle navi catturate sono rimasti separati dalle loro famiglie anche per lunghi periodi di tempo esponendo gli ostaggi e i loro familiari allo stress dell’incertezza sulla loro sorte.
Il fenomeno è stato con molta probabilità affrontato nel modo sbagliato perché forse ha scatenato ‘paure’ improprie nella comunità internazionale fino a portare a decisioni, prese all’unanimità, da assisi internazionali che hanno gettato le premesse giuridiche per una repressione armata della pirateria marittima.
Le prime e importanti decisioni, in quanto hanno dato il via a tutto il resto, sono state le risoluzione ONU 1814 e 1816 del giugno 2008. A queste hanno fatto seguito poi, altre.
La 1814 autorizza le navi delle marine da guerra di Paesi terzi a entrare nelle acque somale per inseguire i pirati in forza di una volontà di contrasto del fenomeno della pirateria nell'Oceano Indiano e sulla terra ferma.
La 1816 tratta gli atti di pirateria come ‘atti di guerra’ a norma del diritto internazionale.
Con la 1814 è stata istituita una missione navale militare di contrasto conosciuta con il nome di dispositivo anti pirateria del Pentagono e gestito dalla V Flotta USA, il Combined Task Force, Ctf-151. Una flotta militare con il compito di contrastare il fenomeno della pirateria marittima e proteggere le navi in transito nel Golfo di Aden, soprattutto quelle con gli aiuti del Programma Alimentare Mondiale, PAM.
Alla missione prendono parte Gran Bretagna, Germania, Grecia, Italia, Turchia e Stati Uniti. Una missione autorizzata per la prima volta il 9 ottobre 2008.
Oltre a queste risoluzioni esiste anche la risoluzione approvata dal Parlamento europeo nell’ottobre del 2008 che nel condannare la pirateria marittima, riconosce la pirateria marittima come un ‘atto criminale’ internazionale. Da essa nasceva una missione militare anti pirati denominata 'Atalanta' a guida Ue.
Oltre a queste è operativa anche la missione internazionale dell’Alleanza Atlantica, NATO, denominata ‘Ocean Shield’. Vi sono poi, altre navi da guerra che operano in modalità individuale a difesa degli interessi del Paese di bandiera per contrastare il fenomeno.
I costi di queste missioni navali militari sono altissimi. Si stima in totale 2 mld di dollari l’anno. La sola missione Ue Atalanta ha un costo di circa 2 mln di euro al giorno pari a 720 mln all’anno. L’Italia spende, per circa tre mesi di missione di un’unità navale della Marina Militare, circa 9 mlni di euro.
Questo costo grava tutto sul bilancio dello stato impegnato nella missione ed in tempo di crisi economica il fatto pesa e molto.
Inoltre questo costo è anche molto più alto di quanto costi alla comunità internazionale, in pagamenti di riscatti, la pirateria marittima, la cui stima è 200 – 250 mln di dollari l’anno.
Inoltre, è da registrare anche la doppiezza del contrasto.
Infatti, molti dei Paesi che hanno inviato navi da guerra per combattere i pirati somali poi, pagano anche i riscatti che essi chiedono per il rilascio di una nave catturata.
Il pagamento di un riscatto oltre ad essere vietato vuol dire anche legittimare la pirateria marittima.

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Un bambino del Darfur

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aiuta ad aiutarlo sostieni le iniziative pro Darfur
In Darfur dal 2003 ad oggi sono state compiute esecuzioni, anche di massa, stupri, soprattutto di massa, nei confronti di donne, uomini e bambini e interi villaggi sono stati rasi al suolo. Il terrore è stato usato come pratica generalizzata e a sfondo razziale mentre lo stupro è diventato una vera e propria arma da guerra.
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.

Il pianto di un innocente a Gaza

Il pianto di un innocente a Gaza
Ancora una volta il mondo intero si dovrebbe vergognare!!!
La guerra chi puo raccontarla? E' difficile farlo ma tutti possiamo immaginare come sia il sentire l'odore dei morti abbandonati nelle strade o sotto le macerie, il vedere i bambini che muoiono di fame accanto al cadavere della madre, il sentire il lamento dei feriti e lo strazio dei sopravvissuti, di chi si vede impotente e maledice chi gli ha portato via tutto.
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran
Sono solidale con i persiani che manifestano

Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!


i 44 presidenti degli Usa

i 44 presidenti degli Usa
da www.patrickmoberg.com/blog/id:420/november-4-2008

The President United States of America

The President United States of America
Barack Obama

E' morta Miriam Makeba

E' morta Miriam Makeba
Addio Mama Afrika....io continuerò a sognare...

Notes

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Italia. Violenza sessuale è allarme sociale


Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.

***

La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'

Esprimo la mia piena solidarietà con tutti coloro che protestano contro la Legge 133/08 la cosidetta 'Riforma Gelmini'....

Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.

...

ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'

C’è un detto che dice: "meglio poco che niente!".
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!

***

Parole....di Abraham Lincoln

Non si può arrivare alla prosperità

scoraggiando l'impresa.
Non si può rafforzare il debole
indebolendo il più forte.
Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.
Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.
Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.
Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.
Non si può promuovere la fratellanza umana
predicando l'odio di classe.
Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.
Non si può formare carattere e coraggioto
gliendo iniziativa e sicurezza.
Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello che potrebbe
e dovrebbe fare da sola.

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

marito e padre

i due rivali

genere umano

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO
da peacereporter

23/02/2002 - 02/07/2008 Ingrid Betancourt è stata liberata!

23/02/2002 - 02/07/2008                  Ingrid Betancourt è stata liberata!
faccio mia la gioia di tutti!

Finalmente liberi!!!

Finalmente liberi!!!

Grazie a loro la Betancourt è libera

Grazie a loro la Betancourt è libera
il ministro della Difesa colombiano Santos e il generale Montoya

Grazie Uribe!!

Grazie Uribe!!
La Betancourt ha incontrato il presidente colombiano Uribe che vinse le elezioni del 2002

madre e figlia!

madre e figlia!
Yolanda Pulecio e Ingrid Betancourt

le due Betancourt

le due Betancourt
Ingrid abbraccia la madre Yolanda

La gioia della libertà riconquistata

La gioia della libertà riconquistata
Ingrid Betancourt dopo la liberazione