venerdì 16 dicembre 2011

Pirateria somala: il 2011 anno di magra

Quello in corso è un anno di magra per i pirati somali. Al largo della Somalia gli atti di pirateria marittima pur raggiungendo un livello record dall'inizio dell'anno, almeno 200, in pochi sono andati a buon fine, solo 24.
Per questo motivo le gang del mare tendono a gestire in maniera più ferma le trattative, anche ci sono stati casi in cui hanno anche svenduto, per ottenere il massimo realizzo dal rilascio delle navi e marittimi che hanno già in mano.
A dimostrazione il fatto che seppure abbiano ‘lavorato’ di meno, mentre nel 2010 avevano incassato almeno 110 mln di dollari, nel 2011 incasseranno almeno 190 mln di dollari.
Il motivo per il quale gli attacchi pirati si concludono sempre più spesso con dei fallimenti è da ricercare nell’aumento e rafforzamento dei modi e misure di contrasto e difesa.
Questi due fattori hanno fortemente ridotte le possibilità di successo nell’assalto alle navi nel mare del Corno D’Africa e Oceano Indiano.
I pirati somali ora sono disperati e questo li rende pericolosi.
Il fatto che diventa sempre più difficile dirottare le navi non dimostra però, che i predoni del mare abbiano perso la capacità di farlo per cui il rischio e il pericolo di un attacco pirata rimane comunque alto.
L'obiettivo dei pirati somali è quello di prendere la nave, l'equipaggio e il carico intatti per poi poter chiedere un riscatto in cambio del loro rilascio.
L’incasso di riscatti milionari ha fatto, nel corso degli anni, di questa attività criminale un vero e proprio business. Il sentiero che il denaro proveniente dai riscatti percorre è ormai ben definito e consolidato. Uomini d’affari lo riciclano e lo investono attraverso i Paesi sviluppati e spesso anche attraverso quelli ricchi di petrolio. Esiste un vero e proprio mercato che ruota intorno al fenomeno. L'intero processo è gestito quasi come una borsa con quotazioni che salgono e scendono a secondo del successo o fallimento degli abbordaggi delle varie gang del mare che agiscono come delle vere e proprie imprese private.
I pirati somali operano nei pressi del Corno d'Africa e nell’Oceano Indiano.
Di recente è cresciuta, da parte loro, il ricorso all’utilizzo delle navi catturate come ‘Nave-madre’. Si tratta di una nave pirata che viene utilizzata come unità di supporto di lungo raggio per condurre attacchi pirati con i barchini in profondità nell’Oceano Indiano. Barchini, uno o due, che carichi di 6 -7 uomini ciascuno tentano l’arrembaggio di una nave più grande.
Il ricorso sempre più frequente però, ai team di sicurezza armati a bordo delle navi, da parte degli armatori, ha indotto i predoni del mare a dei cambiamenti.
Si tratta di guardie armate che hanno lo scopo di consentire il passaggio sicuro di una nave attraverso le acque infestate dai pirati somali. La loro funzione è quindi prettamente di difesa e la loro presenza ha lo scopo di scoraggiare, piuttosto che provocare i pirati. Comunque, in caso di attacco questi uomini, che sono degli specialisti della sicurezza marittima, possono anche attaccare per difendersi.
A causa di ciò, le piccole imbarcazioni pirate ora sono alimentate con 7-10 uomini a bordo per dare più forza d’urto agli arrembaggi. In questo modo si spera, con più uomini, di riuscire a sopraffare l'equipaggio della nave attaccata. Un accorgimento che ha dato risultati positivi quando ad essere attaccata è stata una ‘nave indifesa’ ossia senza team di sicurezza a bordo.
Questo ha finito per alimentare la fiducia dei predoni del mare e spingerli a compiere ulteriori tentativi. Tentativi che però, si sono scontrati con la nuova realtà.
I membri dell'equipaggio di una nave sono dei semplici lavoratori del mare e non sono addestrati a combattere. I team di sicurezza armati a bordo delle loro navi sono invece, tiratori eccezionali ed ex militari e per di più provenienti dalle forze speciali d'elite come US NAVY SEALS o BRITISH SBS. Per cui finora ogni attacco pirata è stato sempre respinto, con gravi perdite da parte degli attaccanti, e nessuna nave è caduta più nelle mani dei predoni del mare.
Questa forma di difesa, dai banditi del mare, si è dimostrata in breve tempo molto più valida di altre che da anni sono state adottate.
Infatti, il ricorso a tutte le tecnologie disponibili anti pirati come cannoni ad acqua, cannoni sonori (LRAD), reti, filo spinato, filo elettrificato, sapone, manovre evasive, e navi da guerra in pattugliamento costiero internazionale e guardia costiera nazionale non hanno sortito lo stesso effetto.
Ben consapevoli della ‘forza’ dei team di sicurezza i pirati somali hanno comunque tentato di attaccare le navi protette, ma ne sono usciti con le ‘ossa rotte’.
Questo però, ha dimostrato che oltre che essere audaci sono appunto disperati e la disperazione potrebbe rivelarsi la nuova arma dei predoni del mare ed un pericolo per tutti.
Nonostante infatti, che negli ultimi 36 mesi sono stati uccisi almeno 64 pirati somali e almeno altri 24 sono rimasti feriti, mentre almeno 500 sono stati catturati, le loro fila non si sono assottigliate.
A chi vuole essere pirata viene promesso denaro, cibo, protezione e altro. Tutto questo è allettante per chi vive in Somalia e conosce la miseria più nera.
Ora si rischia che mentre finora i pirati somali si sono armati solo con fucili d’assalto, russi o cinesi, lancia granate, pistole. Armi che sebbene hanno una portata di 500 metri ed sono utilizzati dai barchini, e quindi non davano una stabilità di tiro e di precisione, comunque sortivano un effetto intimidatorio nei confronti dei marittimi membri degli equipaggi delle navi attaccate. E’ solo una questione di tempo poi, di certo essi ricorreranno ad armi più sofisticate e potenti dovendosi ora confrontare con gli uomini della sicurezza equipaggiati con armi di precisione in grado di colpire obiettivi a 800- 1800 metri di distanza e sparando dal ponte di una grossa nave che è molto più stabile.
Per il fatto che, nonostante tutto, non mancheranno mai braccia per l’industria del crimine collegata con la pirateria marittima i governi della regione fanno pressione più sulla cattura e detenzione dei pirati somali che sul combatterli apertamente e anche ucciderli.
Per molti, il pensiero di dover trascorrere anche pochi anni in una prigione, specie in un Paese del Corno D’Africa, rende meno attraente l’idea di diventare pirata.
La lotta contro la pirateria marittima somala è però, ricca di problemi giuridici e pratici.
Il quadro giuridico è inadeguato e le leggi contro la pirateria risalgono a più di 200 anni fa. La convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del mare, che definisce la pirateria come crimine internazionale, non è stata infatti, recepita da tutti i Paesi.
Sono appena 17 i Paesi che hanno messo sotto processo un migliaio di pirati somali. Tra questi primeggiano Olanda, Francia e Spagna e ultima Italia.
Mentre negli USA nel 2010, dopo quasi due secoli, è stato celebrato un processo per pirateria marittima, il primo di una lunga serie.
Però, ad essere stati condannati a pene detentive sono finora solo un centinaio di predoni del mare.
Questo perché i loro avvocati riescono a trovare dei cavilli legali o per la mancanza di prove. Ancor peggio perché non ci sono Paesi pronti ad accoglierli nelle loro prigioni.
Il costo della prigionia dei pirati somali e della loro persecuzione per i reati compiuti è costato alla comunità internazionale, nel 2010, almeno 31 milioni di dollari.
Processare i pirati catturati è di pertinenza del Paese dell'imbarcazione attaccata o della nave da guerra intervenuta per sventare l'assalto. Però, possono processare i pirati anche Paesi che abbiano altri legami con il caso, ad esempio la nazionalità di membri dell'equipaggio attaccato.
Quasi sempre questi Paesi si rifiutano di processare i pirati o fanno sapere di non poterlo fare nei tempi richiesti.
La maggior parte dei pirati sono catturati dalle navi da guerra delle missioni internazionali.
In quello che è stato ribattezzato ‘il mare dei pirati’ sono infatti, dispiegate navi da guerra di almeno 25 Paesi. Oltre agli USA e i suoi alleati della NATO e Europa, anche quelle della Russia, Cina, India, Giappone, Pakistan, Corea del Sud, Malesia, Arabia Saudita, Iran, Egitto, Filippine, Australia e altri.
Un dispositivo antipirateria suddiviso in diverse missioni internazionali come quello creato dal Pentagono e gestito dalla V Flotta USA, il ‘Combined Task Force, Ctf-151’, quella dell’Alleanza Atlantica ‘Ocean Shield’ e la missione 'Atalanta' a guida Ue.
Persino l’ONU è coinvolto nella lotta alla pirateria marittima. La prima missione navale internazionale in chiave antipirateria marittima venne infatti, proprio autorizzata dal Consiglio di Sicurezza con la risoluzione 1838 del 5 ottobre 2008. Una risoluzione che autorizzava qualsiasi nave a perseguire le navi pirate nelle acque territoriali somale.
Di fatto qualsiasi nave da guerra di un Paese che dichiara di voler combattere la pirateria marittima può indiscutibilmente navigare in lungo e in largo nel mare del Corno D’Africa e non solo.
Però, questi Paesi, sono gli stessi che si affannano a voler dimostrare l'efficacia della loro politica di non negoziare con i pirati somali e di non aver, almeno ufficialmente, pagato mai un riscatto.
Questi stessi Paesi ora pagano milioni di dollari l’anno per mantenere le loro navi da guerra dispiegate nel ‘mare dei pirati’.
Ogni nave da guerra infatti, costa al proprio Paese, al giorno, circa 100mila dollari.
Il computo per difetto del costo della sola missione Ue ‘Atalanta’ è di circa 2 milioni di euro al giorno pari a 720milioni all’anno. All’Italia una missione di circa tre mesi di un’unità navale della Marina Militare costa circa 9 milioni di euro.
Appare immediatamente chiaro che mentre, da un lato si cerca di non pagare ai pirati somali quei circa 100-200 mln di dollari in riscatti, questo è il ricavo stimato dei pirati somali annualmente, dall’altro poi, si spendono migliaia di milioni di dollari per combatterli, almeno 5 mld l’anno.
Un costo altissimo da cui si ricevono pochi benefici.
Ed è forse anche per questo che stanno crescendo i ricorsi ai team di sicurezza a bordo delle navi. Anche in considerazione del fatto che il ricorso a queste squadre di sicurezza armate a bordo delle navi consente anche un ritorno economico. Infatti, si risparmia sui costi per il carburante, in quanto la nave procede a bassa velocità, e anche perché, si riducono i tempi della navigazione in quanto non si deve fare un giro più largo per evitare le aree a rischio. Inoltre le assicurazioni riconoscono uno sconto sui premi assicurativi.
In molti casi il risparmio oltre a compensare il costo dei team di sicurezza a volte si tramuta anche in guadagno.
L’unica cosa che si deve tenere conto è che bisogna rivolgersi alla compagnie marittime di sicurezza giuste. Nel mondo ne operano solo una dozzina per l più inglesi.
Anche EUNAVFOR è la principale responsabile del crollo dell’attività criminale dei pirati somali. Si tratta di una delle missioni navali internazionali di contrasto alla pirateria marittima al largo della Somalia. La missione europea ATALANTA. Una missione che in tre anni di attività di contrasto ha colpito duramente i pirati somali ‘beccandosi’ anche accuse per il comportamento duro dei suoi militari verso i predoni del mare. L’Alto comando EUNAVFOR si è però, difeso spiegando che la legge vale per tutti anche per i militati e che nessun crimine è stato commesso. Però, ha anche spiegato, che in questa circostanza si è dovuto agire con polso fermo. Le accuse rivolte derivano dal fatto che in molti casi quando un’unità navale militare della missione ha incrociato in mare aperto una barca con degli uomini a bordo e l’ha fermata per controlli. Quando i militari della marina vi hanno trovato a bordo armi, scale, funi, barili di carburante e altre apparecchiature, le hanno sequestrate e poi, hanno affondato la barca, mentre gli uomini a bordo sono stati condotti sulla terraferma e rilasciati senza essere arrestati. Molti pescatori somali hanno lamentato di essere stati vittima di questa pratica. In Somalia è usanza, tra i pescatori di andare per mare armati. Questo per evitare che qualcuno tenti di rubare loro il pescato. Purtroppo, con i tempi che corrono, chiunque giri armato per il ‘mare dei pirati’ può essere un potenziale pirata. Tanto è vero che l’Alto comando EUNAVFOR giustifica il comportamento dei sui militari della marina con il fatto che gli uomini trovati in mare con armi possono potenzialmente commettere atti di pirateria e per questo sono messi, forse in maniera impropria ma valida, ‘fuori gioco’.
Le regole di ingaggio consentono alle missioni navali internazionali antipirateria di poter arrestare i predoni del mare solo se colti in flagranza di reato o se hanno commesso un crimine provabile.
I pirati somali questo lo sanno bene e quando incappano in una nave da guerra quasi sempre si disfano dei loro ‘attrezzi da lavoro’ gettandoli in mare ed eliminando di fatto le prove del loro crimine.
Non sempre però gli va bene. Lo dimostrano gli oltre mille pirati finora incarcerati o in attesa di giudizio in diverse parti del mondo.
Ci sono comunque anche forze navali provenienti da Paesi come la Russia, India, Corea del Sud, Cina e tanti altri, che contribuiscono in varia misura alla lotta alla pirateria marittima.
Tra questi Paesi l'India e la Corea del Sud sono i più attivi e aggressivi nel perseguire i pirati somali.
I predoni del mare hanno preso atto di questo e hanno cominciato a vendicarsi rifacendosi sui cittadini indiani e sud coreani membri degli equipaggi delle navi che catturano. Da tempo le gang del mare hanno adottato per questi marittimi-ostaggi una prigionia più dura e, sebbene la loro nave venga rilasciata, essi sono trattenuti ulteriormente dai pirati somali. Come di recente è avvenuto per il rilascio della MV Gemini che era stata catturata il 30 aprile scorso con 25 marittimi a bordo. I 4 lavoratori del mare sud coreani non sono stati rilasciati.
Sono almeno 50 i marittimi indiani e una decina quelli sud coreani in mano alle gang del mare somale.
In cambio del loro rilascio i predoni del mare chiedono la scarcerazione dei loro compagni. Più di un centinaio di pirati somali sono ‘ospiti’ delle prigioni indiane e sudcoreane.
La questione con molta probabilità riguarda anche la petroliera italiana ‘Savina Caylyn’ a bordo della quale vi sono 16 marittimi indiani oltre a 5 italiani. La nave è stata catturata lo scorso 8 febbraio e le trattative per il suo rilascio stanno registrando alterne situazioni dettate da diverse condizioni tra cui la presenza a bordo dei marittimi indiani.
I pirati somali hanno finora sequestrato e dirottato decine e decine di navi e raccolto centinaia di milioni di dollari di riscatto nel corso degli ultimi sei anni. Il primo caso di pirateria marittima al largo della Somalia si verificò nel 2005.
Da allora sono caduti nelle mani dei pirati somali migliaia di marittimi e alcuni di loro sono anche morti nel corso di attacchi o in prigionia. Secondo stime non confermate, i lavoratori del mare morti finora a causa della pirateria marittima in tutto il mondo sono almeno 60, di questi una decina sono morti in Somalia. Tra le cause principali di morte le torture, l'esecuzione, il suicidio, le malattie e la malnutrizione.
Attualmente sono prigionieri in Somalia almeno 200 marittimi e anche due velisti-turisti sudafricani.
Per molti di loro la prigionia dura anche da oltre un anno. Si tratta di lavoratori del mare che provengono da Paesi come Italia, Danimarca, India, Ghana, Sudan, Sri Lanka, Pakistan, Indonesia, Filippine, Corea del Sud, Cina, Myanmar, Ucraina, Russia, Yemen e altri ancora.

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Un bambino del Darfur

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aiuta ad aiutarlo sostieni le iniziative pro Darfur
In Darfur dal 2003 ad oggi sono state compiute esecuzioni, anche di massa, stupri, soprattutto di massa, nei confronti di donne, uomini e bambini e interi villaggi sono stati rasi al suolo. Il terrore è stato usato come pratica generalizzata e a sfondo razziale mentre lo stupro è diventato una vera e propria arma da guerra.
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.

Il pianto di un innocente a Gaza

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Ancora una volta il mondo intero si dovrebbe vergognare!!!
La guerra chi puo raccontarla? E' difficile farlo ma tutti possiamo immaginare come sia il sentire l'odore dei morti abbandonati nelle strade o sotto le macerie, il vedere i bambini che muoiono di fame accanto al cadavere della madre, il sentire il lamento dei feriti e lo strazio dei sopravvissuti, di chi si vede impotente e maledice chi gli ha portato via tutto.
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran

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Sono solidale con i persiani che manifestano

Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!


i 44 presidenti degli Usa

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da www.patrickmoberg.com/blog/id:420/november-4-2008

The President United States of America

The President United States of America
Barack Obama

E' morta Miriam Makeba

E' morta Miriam Makeba
Addio Mama Afrika....io continuerò a sognare...

Notes

***

Italia. Violenza sessuale è allarme sociale


Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.

***

La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'

Esprimo la mia piena solidarietà con tutti coloro che protestano contro la Legge 133/08 la cosidetta 'Riforma Gelmini'....

Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.

...

ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'

C’è un detto che dice: "meglio poco che niente!".
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!

***

Parole....di Abraham Lincoln

Non si può arrivare alla prosperità

scoraggiando l'impresa.
Non si può rafforzare il debole
indebolendo il più forte.
Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.
Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.
Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.
Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.
Non si può promuovere la fratellanza umana
predicando l'odio di classe.
Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.
Non si può formare carattere e coraggioto
gliendo iniziativa e sicurezza.
Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello che potrebbe
e dovrebbe fare da sola.

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

marito e padre

i due rivali

genere umano

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO
da peacereporter

23/02/2002 - 02/07/2008 Ingrid Betancourt è stata liberata!

23/02/2002 - 02/07/2008                  Ingrid Betancourt è stata liberata!
faccio mia la gioia di tutti!

Finalmente liberi!!!

Finalmente liberi!!!

Grazie a loro la Betancourt è libera

Grazie a loro la Betancourt è libera
il ministro della Difesa colombiano Santos e il generale Montoya

Grazie Uribe!!

Grazie Uribe!!
La Betancourt ha incontrato il presidente colombiano Uribe che vinse le elezioni del 2002

madre e figlia!

madre e figlia!
Yolanda Pulecio e Ingrid Betancourt

le due Betancourt

le due Betancourt
Ingrid abbraccia la madre Yolanda

La gioia della libertà riconquistata

La gioia della libertà riconquistata
Ingrid Betancourt dopo la liberazione