Quella appena trascorsa è stata una settimana molto proficua dal punto di vista economico per i pirati somali che hanno incassato i riscatti richiesti per il rilascio di navi tenute da loro in ostaggio insieme ai loro equipaggi. Non è dato sapere con precisione quanto sia stato pagato di riscatto dai Paesi interessati per ottenere il rilascio delle loro navi e dei loro equipaggi, da ricordare che si tratta di navi commerciali o da pesca e che i loro marinai sono marittimi e non militari. Una sola cosa è certa, il riscatto per il rilascio di navi e uomini è stato pagato. Finora nessuna imbarcazione è stata mai rilasciata senza il pagamento di una somma in denaro in cambio. Solo un Paese al mondo non ha pagato. Esso è l'Italia che, per bocca del suo ministro degli Esteri Franco Frattini, ha sempre affermato, almeno finora, pubblicamente che per il rilascio del rimorchiatore italiano, Buccaneer e del suo equipaggio non è stato mai pagato un riscatto. Una negazione che continua ostinatamente anche se gli stessi autori dell'atto di pirateria marittima hanno fin dall'inizio dichiarato di aver ricevuto una forte somma di denaro per il rilascio del Buccaneer. La nave venne rilasciata lo scorso 9 agosto, a 4 mesi dalla sua cattura. Un episodio avvenuto a più di 100 miglia dalla costa somala nel Golfo di Aden e compiuto da parte di pirati somali a bordo di due pescherecci egiziani catturati il giorno prima, il 10 aprile. A bordo dell'imbarcazione 16 marittimi di cui 10 italiani e 5 rumeni e un croato. Tutti i successivi episodi legati al fenomeno della pirateria avvenuti al largo della Somalia portano a credere più ai predoni del mare somali che al capo della diplomazia italiana. Il fatto che si neghi il pagamento del riscatto potrebbe portare a pensare che si vogliono nascondere forse, delle responsabilità inconfessabili. La vicenda ha dimostrato numerose carenze da parte del governo italiano e delle sue istituzioni all'Estero. Il rilascio degli ostaggi è stato giustificato sulla base di una presunta collaborazione di mediatori, inventatisi tali al momento, e a quella del governo somalo di Mogadiscio. Quest'ultimo avrebbe convinto i pirati a rilasciare gli ostaggi. Una convincimento che non sarebbe scaturito dal pagamento di un riscatto ne con la forza. Quest'ultima ipotesi è molto meno probabile delle altre. Questo perchè il governo somalo vive con precarietà la sua esistenza. Esso sopravvive, giorno dopo giorno, a stento agli attacchi dei miliziani islamici filo al Qaeda degli 'al Shabaab' che ormai controllano il 90 per cento del territorio nazionale strappato a quello delle autorità di Mogadiscio. Un governo quindi, in agonia che ha poco peso in casa sua figuriamoci in casa degli altri. Tante le navi ancora nelle mani dei predoni del mare somali. Dopo l'ultima nave catturata, esse sono almeno 12 con un totale di marinai tenuti in ostaggi pari ad almeno 150 marittimi di diversa nazionalità tra cui filippini, ucraini, rumeni, indiani, egiziani, cinesi e anche alcuni europei come due sfortunati coniugi inglesi. A cui poi, vanno aggiunte altre navi catturate e mai denunciate perchè erano navi fantasma ossia non registrate. L'unico motivo per cui navi e uomini non vengono rilasciati è che per il loro rilascio nessuno vuole pagare il riscatto richiesto dai predoni del mare che li hanno catturati. E quindi ancora una volta arriva implicitamente la conferma che nessuna nave è stata rilasciata finora senza che vi sia stato il pagamento di un riscatto. Gli uomini sequestrati dai pirati somali sono persone che non hanno voce ne peso nella comunità internazionale. Pertanto essi non beneficiano di alcuna iniziativa mondiale che tenda a ridare loro la libertà e fargli riabbracciare i loro cari che da mesi li aspettano trepidanti e soffrendo. Tra essi anche dei minori, mozzi a bordo di pescherecci egiziani catturati dai pirati somali nel mese di aprile dello scorso anno e di cui nessuno, nemmeno l'agenzia ONU per l'infanzia, Unicef, ha mai speso una parola per chiederne il rilascio immediato. Le navi catturate sono quasi sempre catturate e poi tenute alla fonda lungo i porti situati nei 345 km della costa della regione del Galmudug nel sud del Puntland dove i pirati somali hanno costituito le loro roccaforti trasformando di fatto quelle coste in una sorta di moderna Tortuga. Ovviamente essa costituisce per i pirati una zona franca dove nessun estraneo vi ha mai messo piede. I predoni del mare vivono a bordo delle navi catturate insieme agli uomini del suo equipaggio. Una promiscuità forzata che conduce anche a situazioni esasperanti dal momento che i somali sono molto dediti a consumare grandi quantità di droghe e a bere molto con relative conseguenze. La drammaticità del sequestro viene vissuta intensamente dai marittimi membri dell'equipaggio delle navi mercantili che entrano nel mirino dei pirati somali. I pirati raggiungono l'area di azione prescelta a bordo di navi madri e da queste poi, si staccano a bordo di barchini veloci su cui vi salgono non meno di 5, armati con armi automatiche e lanciagranate RPG. Raggiunto l'obiettivo prescelto o meglio la vittima, l'assaltano a colpi di kalanschikov e lanciando scale a rampino e ancoraggi. A nulla servirebbe la reazione dell'equipaggio che dal momento in cui scatta l'allarme si rifugia sottocoperta in attesa degli sviluppi dell'attacco che in genere si conclude con la presa della nave senza colpo ferire da parte dei pirati somali che poi, la dirottano verso i loro covi sulla costa del Puntland.
La principale preoccupazione della comunità internazionale è stata quello di creare una flotta navale militare internazionale con il compito di proteggere le navi cariche di aiuti umanitari e capace anche di contrastare il fenomeno della pirateria marittima nel mare del Corno d'Africa. L'intervento è iniziato nel 2008 e, continua tuttora, condotto attraverso missioni internazionali NATO, Ue e di altri Paesi e anche in forma indipendente. Questo però, vuol dire, per i Paesi che vi prendono parte, dover mettere a rischio le proprie navi e uomini. Per ovviare a questo si sta sempre di più ricorrendo a pattugliamenti aerei anche con droni, gli aerei senza pilota, che hanno una lunga autonomia e capaci di operare sia di notte sia di giorno. Dall'inizio del loro impiego, da qualche mese, grazie al loro operato è stato possibile catturate due navi madri pirate e una dozzina di predoni del mare. Nel frattempo sembra che lo Yemen insieme alla Francia, che ha una sua base militare navale a Gibuti, abbiano deciso di costruire un porto a Myon scelto per la sua posizione strategica, si trova infatti al largo delle coste yemenite davanti al mar Rosso. Un porto che dovrebbe permettere l'ancoraggio alle navi della coalizione internazionale antipirateria impegnate nell'Oceano Indiano.
La pirateria da prima si è andata sviluppando nelle acque al largo delle coste somale e poi si è allargata a tutto l'Oceano Indiano. Un fenomeno esploso in tutta la sua drammaticità nel 2009, ma che aveva già fatto capolino, in maniera meno marcata, fin dal lontano 2005. Già nel 2008 i pirati somali con i loro atti predatori avevano compiuto almeno 130 attacchi, tra portati a compimento e non, ad altrettanti navi al largo della Somalia. Nel 2009 questi atti criminali sono aumentati del 200 per cento. L'azione dei predoni del mare nel Golfo di Aden è stata resa possibile dall'assenza soprattutto in Somalia di un autorità costituita, ma anche dall'incapacità, per mancanza di mezzi e uomini, della guardia costiera yemenita di fronteggiare le varie gang del mare che agivano indisturbate nel golfo. A pattugliare quel mare per molti anni, tanti, sono rimaste solo 3 guardiacoste dello Yemen e questo ha favorito il rapido e indisturbato sviluppo del fenomeno della pirateria. Quello stesso Yemen che finora non ha concesso alle navi della flotta internazionale anti pirateria di poter inseguire i pirati nelle sue acque territoriali cosa che invece, permettono gli altri Paesi che si affacciano sul mare dei pirati. L'assenza di contrasto per così tanto tempo ha reso il tratto di mare del Golfo di Aden il più pericolo al mondo. Il fenomeno della pirateria marittima è nato certamente per primo, come un'occasionale modo di cercare di contrastare la pesca illegale nelle loro acque territoriali da parte dei pescatori somali. Poi come un modo, sempre occasionale, di cercare di procurarsi del cibo, visto che a poche centinaia di miglia dalle coste transitavano indifesi cargo carichi di aiuti umanitari del PAM. Il tutto poi, ha perso il suo indirizzo originario e, abilmente organizzato e orchestrato, è finito per diventare un favoloso e indefinito modo di lucrare. E' stato stimato che i somali attivamente impegnati in questa attività criminale siano un manipolo di uomini, appena 1200. Di essi un centinaio sono finiti nella rete della forza navale internazionale e poi, sono stati affidati al giudizio e custodia delle autorità del Kenya. Con questo Paese africano infatti, prima gli USA e poi altri Paesi occidentali hanno stipulato un accordo bilaterale che prevede che ogni pirata catturato sia affidato alle autorità giudiziarie kenyane.
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