Nel momento di maggiore tensione interna in Iran e mentre si stanno celebrando i processi ai riformisti davanti alla

Corte rivoluzionaria accusati di aver partecipato e sostenuto le manifestazioni post elettorali nel Paese nate come protesta contro la rielezione del presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad lo scorso 12 giugno. Accuse a cui si associano quelle di aver collaborato con giornalisti occidentali ed ambasciate dei Paesi colonizzatori, abusando del sostegno dei candidati sconfitti per lanciare un colpo di stato strisciante. Stamani, a sorpresa, la televisione di Stato iraniana ha reso noto una dichiarazione della Guida Suprema dell'Iran, l'Ayatollah Ali Khamenei che ha tanto il sapore di una sorta di ripensamento su una teoria sostenuta fortemente finora. Finora Khamenei sosteneva che i leader delle proteste post elettorali, Mir Hossein Moussavi e Mehdi Karroubi e altri, erano stati aiutati e spinti dalle potenze straniere a ribellarsi al loro presidente. Oggi la Guida Suprema avrebbe affermato che: “Non accuso i leader dei recenti incidenti di essere al servizio di Paesi stranieri, come gli Usa e la Gran Bretagna, perchè questo secondo me non è stato provato. L'accusa di un'ingerenza straniera è stata, fin dall’inizio delle manifestazioni, sostenuta anche dallo stesso presidente Ahmadinejad e dal suo staff. Nel frattempo l'ex presidente riformista iraniano Mohammad Khatami è passato al contrattacco dopo l'apertura ieri, della quarta udienza del processo contro i manifestanti e i leader dell'opposizione. Ieri sul banco degli imputati sedevano diversi suoi collaboratori, alti esponenti politici, diversi giornalisti e studiosi iraniani. Tra i tanti l'ex viceministro dell'Interno, Mostafa Tajzadeh, l'ex vice mi

nistro degli Esteri, Mohsen Aminzadeh, l'ex portavoce del governo, Abdollah Rzamezanzadeh, e l'ex vice ministro dell'Intelligence, Saeed Hajjarian, uno degli ispiratori del movimento riformista iraniano, oggi disabile a seguito di un attentato subito nel 2000. Sul banco degli imputati sono comparsi inoltre Behzad Nabavi, uno dei cervelli del movimento riformatore ed ex ministro del governo dell'ex premier e candidato sconfitto alle presidenziali del 12 giugno scorso, Moussavi. Inoltre alla sbarra anche l'intellettuale iraniano-americano Kian Tajbakhsh, Saeed Leylaz, noto giornalista riformatore, Mohammad Ghooshani, caporedattore di ‘Etemad Melli’, il giornale dell'altro ex candidato sconfitto Karroubi. Un processo che di fatto ha messo sotto accusa l'intero movimento riformista iraniano fin dalle sue origini, 12 anni fa. Finora nel Paese sono già state processate circa 140 persone per reati connessi alle manifestazioni di massa e alle violenze di strada a seguito della contestazione della vittoria elettorale del president

e Ahmadinejad. Si tratta soprattutto di riformatori, attivisti politici, ma anche di stranieri come la francese Clotilde Reiss, oltre che di due dipendenti dell'ambasciata britannica e francese questi ultimi però nel frattempo scarcerati. Finora non è stata pronunciata alcuna sentenza. I responsabili dell'opposizione e dalla comunità internazionale hanno definito tutto questo ‘un mega processo farsa’. Per le autorità iraniane sono 2mila le persone arrestate durante le proteste post elettorali e 300 di loro sono ancora in carcere. Mentre sarebbero solo 30 le persone che hanno perso la vita negli scontri. Cifre queste fortemente contestate dall'opposizione. Molti degli imputati al processo hanno confessato le loro colpe chiedendo perdono. Come il leader del ‘Fronte di partecipazione islamica dell'Iran’ Hajjarian che ha ammesso pubblicamente di aver compiuto gravi errori e ha chiesto scusa. Anche se si registra una voce fuori del coro quella di Ramezanzadeh il quale con un raro atteggiamento di sfida, ha invece dichiarato di fronte al tribunale di essere contrario al governo del presidente Ahmadinejad e di non accettare le accuse formulate contro di lui. Decine di familiari degli imputati hanno protestato all'esterno del tribunale, fino a quando non sono stati dispersi dalle forze d

i sicurezza. Per l’ opposizione queste confessioni sono state estorte e paragonano il processo in corso ai processi contro gli oppositori politici organizzati da Stalin in Unione Sovietica negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. “Le confessioni degli imputati, ha affermato oggi Khatami, non sono valide perchè estorte in condizioni straordinarie, e sono infarcite di menzogne”. Dello stesso parere Mehdi Hashemi, uno dei figli dell'ex presidente moderato Akbar Hashemi Rafsanjani, che è stato chiamato in causa dalle dichiarazioni di Hamseh Karami, uno dei riformisti processato ieri. Karami, dopo essere stato sottoposto ad un regime di isolamento carcerario per 70 giorni, ieri nel corso del processo, aveva affermato che il figlio dell’ex presidente iraniano avrebbe avuto un ruolo in una campagna volta a far credere, falsamente, che il voto è stato viziato da brogli e avrebbe sostenuto il candidato moderato Moussavi con denaro prelevato dalle casse dell'Università privata Azad, di cui è uno dei dirigenti. Il figlio di Rafsanjani ha chiesto uno spazio alla televisione di Stato per rispondere a queste accuse e nel contempo ha confermato che la sua famiglia ha dato il via all'azione giudiziaria che era stata preannunciata dai familiari di Rafsanjani già prima del voto. Ossia è stata presentato una querela per diffamazione co

ntro il presidente Ahmadinejad che in un dibattito televisivo pre-elettorale aveva accusato i figli di Rafsanjani di corruzione. Mehdi Hashemi ha a sua volta lanciato un’accusa nei confronti di Ahmadinejad. “Ci spieghino piuttosto dove sono finiti i 3.400 miliardi di rial, circa 340 milioni di dollari, che sono spariti dal bilancio del Comune”, ha aggiunto il figlio di Rafsanjani, riferendosi a quando l’attuale capo dello stato era sindaco di Teheran, tra il 2003 e il 2005. Nel frattempo per quanto riguarda gli accertamenti sulle violenze subite dai dimostranti durante la repressione delle proteste seguite al voto del 12 giugno scorso, stamani è caduta un’altra testa. E’ stato rimosso dal suo incarico il direttore del cimitero ‘Behesht Zahra’ di Teheran, Mahmud Rezaian. Nei gironi scorsi un dipendente del cimitero aveva denunciato che vi erano state eseguite sepolture in segreto e in forma anonima di decine di cadaveri. Rezaian lunedì scorso aveva smentito la notizia ma questo non l’ha aiutato. Il funzionario interpellato dopo la diffusione della notizia del suo licenziamento ha affermato che si è trattato invece delle sue dimissioni, ma senza fornire i motivi. Era stato, nei giorni scorsi, il sito riformista ‘Norooz News’ a diffondere la notizia della sepolt

ura dei corpi senza nome di 28 persone sepolti il 12 luglio scorso nel blocco 302 e di altre 16 il 15 luglio. Nella sua edizione odierna il quotidiano riformista ‘Etemad’ attraverso le sue colonne ha denunciato l’arresto di una giornalista riformista, Fariba Pajuh, che è stata rinchiusa nel carcere di Evin a Teheran. La reporter scrive per l'agenzia riformista ‘Ilna’ ed era collaboratrice del quotidiano ‘Etemad-e Melli’, dell'ex candidato riformista alle presidenziali Mehdi Karroubi, chiuso dalle autorità lo scorso 17 agosto dopo che aveva pubblicato le denunce di stupri subiti in carcere da alcuni delle migliaia di arrestati. La giornalista è anche una militante del ‘Mosharekat’, il più importante partito riformista iraniano, i cui leader sono comparsi come imputati al processo di ieri a Teheran. Al Mosharekat infatti appartengono la maggior parte dei 21 imputati comparsi ieri in aula. Tra di loro, lo stesso segretario generale del partito, Mohsen Mirdamadi, già presidente della commissione Esteri del Parlamento durante la presidenza di Khatami. Un processo che ha visto la sua giornata clou ieri quando alcuni degli imputati hanno ammesso di avere orchestrato una campagna per denunciare falsamente irregolarità nelle elezioni e per spingere i loro sostenitori ad una 'rivoluzione di velluto'. Il pubblico ministe

ro ha puntato il dito contro l'attività dei riformisti anche negli anni passati, compreso il periodo in cui erano al governo durante la presidenza Khatami, dal 1997 al 2005. Ad uno degli imputati, il sociologo con doppia cittadinanza iraniana e americana Kian Tajbakhsh, sono state attribuite dichiarazioni secondo le quali Khatami avrebbe incontrato il miliardario americano George Soros durante un viaggio a New York nel 2006. Lo stesso Tajbakhsh lavorava come ricercatore per una fondazione di Soros, che le autorità iraniane accusano di avere sostenuto la 'rivoluzione di velluto'. In un comunicato diffuso oggi, Khatami definisce iniziativa immorale e senza precedenti la diffusione di tali false accuse, con le quali ci si propone di distruggere la sua immagine. Khatami, da sempre si è mostrato molto critico sull'azione politica dell'attuale presidente Ahmadinejad ed ha più volte bollato i processi contro i manifestanti antigovernativi com

e violazioni della costituzione iraniana, mentre gli altri leader dell'opposizione riformista, Moussavi e Karroubi, hanno denunciato che le confessioni dei dissidenti sono state spesso dovute alle violenze subite in carcere. Nel frattempo secondo il quotidiano riformista ‘Etemad’, il presidente Ahmadinejad avrebbe organizzato una festa 'Iftar', la scorsa domenica, per rompere il digiuno del ramadan. Ma il quotidiano rivela che solo 20 dei 290 parlamentari invitati hanno accettato l’invito. Presto la commissione parlamentare incaricata di investigare sul trattamento degli oppositori arrestati in Iran riferirà al presidente dell'assemblea, Ali Larijani, e al capo dell'apparato giudiziario, l'ayatollah Sadeq Larijani, in merito alle denunce di stupri avvenuti in carcere, presentate dal leader riformista Karroubi. Secondo il sito ‘Etemad Melli’ di Karroubi, 4 ex detenuti vorrebbero sporgere denuncia per le violenze subite, ma temono per la loro vita.
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