L'iran è ormai una polveriera e la rivolta dei seguaci di Moussavi, scatenati contro i fondamentalisti al potere potrebbe avere conseguenze al momento assolutamente imprevedibili. Tutto è cominciato all'indomani dell’ufficializzazione della vittoria del conservatore Mahmoud Ahmadinejad alle presidenziali del 12 giugno ai danni del candidato moderato Mir Hossein Moussavi, considerato il

favorito della vigilia. I dati ufficiali delle decime elezioni presidenziali della Repubblica Islamica, emessi dal ministero dell'Interno di Teheran, hanno attribuito la vittoria ad Ahmadinejad con il 63 per cento delle preferenze e con un distacco di 29 punti, 11milioni di voti, dal leader riformista Moussavi. A seguito della diffusione di questi risultati ufficiali, Moussavi ha denunciato brogli elettorali, rivendicando la presidenza della Repubblica Islamica. Da quel momento in Iran sono nate innumerevoli manifestazioni di protesta seguite da pesanti scontri tra manifestanti pro-Mousavi e forze dell'ordine iraniane, coadiuvate dai reparti paramilitari fedeli al governo, i Basij. Qualcosa non ha funzionato. Forse l'annuncio dei risultati è stato dato troppo in fretta e il risultato è sembrato incredibilmente esagerato da scatenare la protesta. In verità le manifestazioni si sono svolte in maniera pacifica per diversi giorni ed hanno visto la partecipazione di centinaia di migliaia di oppositori del presidente Ahmadinejad e pro Moussavi. Poi improvvisamente la violenza è esplosa e le strade della capitale iraniana si sono tinte del sangue dei manifestanti. Lo scorso sabato, settima giornata di protesta, è stato il giorno più violento e funestato da un bagno di sangue. Alla base della protesta vi è il fatto che i manifestanti ritengono che le elezioni siano state rese nulle da brogli compiuti su vasta scala e pertanto ne chiedono l’annullamento. Il Consiglio dei Guardiani che è l’organo consultivo che fa riferimento all'Ayatollah Alì Khamenei, guida spirituale del Paese, nei giorni scorsi però si è già espresso in merito autorizzando un riconteggio parziale delle schede pari al 10 per cento del totale. Facendo naufragare del tutto la speranza di una ripetizione del voto specie per Moussavi che però nei giorni scorsi si è detto intenzionato a voler continuare la protesta e di essere anche pronto al martirio. Il leader moderato è più volte sceso in strada per unirsi ai manifestanti mostrandosi indifferente al divieto invece posto dalle autorità. La protesta di Moussavi che si basa sulla sua convinzione che le elezioni siano state viziate da brogli, e che questi erano stati addirittura pianificati mesi prima del voto è contestata dall’Ayatollah Alì Khamenei. Il quale parlando alla preghiera del venerdì, ha fortemente negato che questo fosse potuto avvenire e che il voto non era stato viziato da irregolarità di rilievo. Ahmadinejad era presente alla preghiera, insieme alle altre massime autorita' dello stato. Mentre mancava l'ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, ritenuto il principale sponsor di Moussavi. Un segnale preciso delle divisioni all'interno del regime e della forte difficoltà che vive Kamenei. A dimostrazione di questo, Moussavi, nei giorni scorsi ha anc

he lanciato una dura accusa nei confronti della guida suprema del Paese. Nessun politico iraniano aveva mai osato tanto da quando Khamenei lo era diventato nel 1989. In una lettera, diffusa sul suo sito, il leader moderato, pur senza mai nominarlo esplicitamente, ha criticato pesantemente Khamenei accusandolo di voler imporre un nuovo sistema politico nel Paese alterandone il carattere repubblicano. Nel frattempo dopo all'avvertimento di porre fine alle manifestazioni lanciato sempre lo scorso venerdì dalla Guida suprema, le forze di sicurezza, appoggiate dai Basij orami intervengono immediatamente ad ogni accenno di raduno dei sostenitori di Moussavi. E il risultato è stato che sabato si sono verificate ore di battaglia nelle strade tra le forze anti sommossa e i miliziani Basiji schierati contro i manifestanti. Scontri a cui hanno fatto seguito morti e feriti e arresti. Nel frattempo, come ogni sera dai tetti e dalle terrazze di molte case continuano a levarsi le grida di 'Hallah Akbar' (Dio e' grande) e di 'Morte al dittatore', come ai tempi della rivoluzione di 30 anni fa. Continua anche da parte del regime degli Ayatollah la sua offensiva diplomatica contro i Paesi occidentali e in particolare contro la Gran Bretagna che nei giorni scorsi era già stata indicata come una potenza malvagia. Stati Uniti e Gran Bretagna sono stati invitati da Ahmadinejad a non interferire negli affari interni del Paese dopo che il ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki aveva, nei giorni scorsi, accusato Londra di aver pianificato per due anni il sabotaggio delle elezioni. Il suo omologo britannico, David Miliband, ha respinto le accuse che i manifestanti siano manipolati o incitati dai Paesi stranieri e ha denunciato quello che a suo parere è lo sforzo dell'Iran di trasformare la controversia elettorale in una battaglia con il mondo esterno. Nella repubblica islamica è stata stretta anche la morsa della censura sui media internazionali e nazionali. Il dipartimento per la stampa estera del ministero della Cultura di Teheran ha diramato una circolare indirizzata a tutti gli uffici dei media stranieri chiedendo di evitare la copertura di ogni evento che non sia autorizzata dal ministero stesso. A seguito delle proteste scoppiate nel Paese contro la vittoria di Ahmadinejad i giornalisti stranieri a Teheran sono stati fatto oggetto di pressioni e intimidazioni da parte delle autorità iraniane. L'intento reale è chiaro! Impedire che al mondo esterno giungano notizie o immagini della dura repressione. Un giro di vite del regime contro la libera d’informazione che non permette soprattutto ai media stranieri di non poter coprire le proteste. Un giornalista canadese che lavora nel Paese per Newsweek è stato arrestato senza precise accuse dalle autorità iraniane, mentre il corrispondente della Bbc ha ricevuto l'ordine di partire entro 24 ore. “Siamo preoccupati per la libertà di stampa. Alcuni giornalisti molto importanti sono stati espulsi e questo è qualcosa che non possiamo accettare”, con queste parole l'alto rappresentante per la politica estera e sicurezza della Ue, Javier Solana, ha commentato gli ultimi sviluppi della situazione in Iran. Finora sono almeno 467 le persone che sono state arrestate durante i violenti scontri di sabato a Teheran, nei quali hanno perso la vita almeno 10 persone. L'opposizione guidata dal candidato alle presidenziali sconfitto Moussavi intanto continua a sfidare il regime nonostante la durissima repressione delle autorità, con l'ex premier che ieri ha invitat

o i suoi sostenitori a rimanere fermi nella loro protesta. In un chiaro sostegno alle manifestazioni, Moussavi ha dichiarato: “Nelle vostre proteste astenetevi dalla violenza. Io, come una delle persone in lutto per le uccisioni di sabato, invito il mio caro popolo alla moderazione. La nazione vi appartiene”. La televisione di stato ha li ha accusati di essere dei terroristi per i disordini di sabato, nei quali sono inoltre rimaste ferite un centinaio di persone mentre sarebbero 40 i poliziotti rimasti feriti e 34 gli edifici governativi danneggiati. Oggi sono continuati i pattugliamenti da parte della polizia e dei membri della milizia islamica Basiji delle aree chiave di Teheran, ma non ci sono state manifestazioni dell'opposizione. Nel frattempo le autorità' iraniane hanno ammesso oggi che i voti ufficiali delle ultime elezioni presidenziali superano di 3milioni il numero degli aventi diritto, secondo stime effettuate in oltre 50 città del Paese. Il Consiglio dei Guardiani, l'organo della Repubblica Islamica che vigila sulle correttezza delle consultazioni, ha comunque tenuto a precisare che il divario tra voti reali e elettori potenziali non è provato che possa cambiare profondamente i risultati elettorali. Abbas Ali Kadkhodaei, portavoce del Consiglio dei Guardiani, ha negato le dichiarazioni di Mohsen Rezaei, uno dei quattro candidati alle elezioni, il quale aveva denunciato irregolarità nel voto in oltre 170 distretti su 366. Secondo i dati in possesso ai candidati ci sarebbe stata un'affluenza superiore al 100 per cento in un numero di distretti compreso tra 80 e 170. Il portavoce ha spiegato che un'affluenza così alta c’è stata solo in 50 distretti e si può spiegare con il fatto che gli elettori possono esercitare il loro diritto in qualsiasi seggio del Paese. Fino ad ora il regime sembra reggere l'urto della protesta, ma gli sviluppi delle ultime ore non implicano affatto che la situazione possa risolversi felicemente per la fazione al potere. E' chiaro che è in atto una frattura all'interno del potere iraniano, sono in corso dei tentativi di golpe e di contro-golpe 'istituzionali' sull'onda della spinta o

fferta dalla manifestazioni di piazza promosse dai coraggiosi iraniani stanchi di un trentennio di dittatura clericale, e che avevano colto in queste elezioni l'ultima occasione possibile per una svolta. La rivolta si sviluppa su diversi piani e non è detto che la piazza, fino ad ora illuminata dalla rete, sia il campo di battaglia decisivo. Uno scontro fondamentale è in corso all'interno del Consiglio degli Esperti, su impulso di Rafsanjani che lo presiede, l'unico organo che può rimuovere il supremo leader Khamenei che per la prima volta, è stato contestato nella sua autorità sia nelle piazze sia all'interno delle stesse istituzioni clericali. Ed ora sembra che sia scattata addirittura la conta tra i suoi fedeli e quanti lo vedrebbero volentieri in pensione, è stato fatto anche il nome di un eventuale sostituto: l'Ayatollah Montazeri. Di notevole interesse sono i colloqui in corso a Qom, il Vaticano sciita, ai quali parteciperebbero, oltre ai membri del consiglio, i principali leader religiosi, tra i quali al Sharistani e anche il “Papa” sciita, l'iracheno al Sistani. La sola esistenza di colloqui del genere segnala la possibilità di una soluzione “istituzionale”, tutta interna alla teocrazia. Nello scontro tra le due fazioni la religione c'entra poco, c'entra invece moltissimo l'equilibrio fondato proprio sulla modesta figura di Khamenei, che negli anni si è trasformato da brutto anatroccolo nel perno di un sistema che degrada sempre di più verso l'estremismo religioso e il populismo. A questo proposito propri

o l'arresto della figlia di Rafsanjani, avvenuto a ridosso della richiesta dell'ex-presidente Khatami per la liberazione di tutti gli arrestati. Se dalla repressione in corso si può trarre l'impressione che il regime intenda giocare la partita fino in fondo, l'arresto della figlia di Rafsanjani e di molte personalità a lui vicine, rischia di segnare veramente il punto di non ritorno di un conflitto che molto difficilmente potrà vedere le due fazioni trovare punti d'accordo o d'equilibrio. Oltre ad essere indubbiamente provocatorio e offensivo per il padre, l'arresto rischia di mobilitare davvero la potenza economica della sua fazione che di fronte ad un attacco diretto e brutale potrebbe considerare venuta la necessità di giocarsi il tutto per tutto. Se lo scontro istituzionale dovesse finire ai coltelli non è facile prevedere chi ne uscirà vincitore. Dalla parte di Ahmadinejad e Khamenei ci sono gli apparati di sicurezza, anche se non è chiaro con quale compattezza, visto che si sono verificate parecchie defezioni recentemente. Il presidente e il leader supremo possono anche contare su un vasto sostegno popolare, che però non sembra in grado di portare le masse amiche nelle strade contro gli avversari. Una cosa che non sembra potersi il regime è la repressione incontrollata, lo dimostra la reazione fino ad oggi, che nonostante la brutalità sembra molto al di sotto del “necessario”, segno della volontà e dell'impossibilità della repressione militare e radicale. Accanto ai loro oppositori sembra che ci sia un numero sempre maggiore di iraniani, la repressione e i lutti non hanno sicuramente migliorato l'immagine del potere e già ora la protesta sembra aver raggiunto dimensioni con la quale il potere fatica a confrontarsi. L'Ayatollah Montazeri ha chiesto agli iraniani una veglia funebre per i prossimi mercoledì e venerdì, un'iniziativa che ricorda i tempi della rivoluzione. Furono proprio gli scioperi e le veglie funebri a fiaccare il regime e a costringere il sovrano iraniano alla fuga dal paese, se queste proteste riuscissero a toccare l'animo della minoranza silenziosa, quella che non è ancora scesa in piazza, il regime non potrebbe che rinunciare alla repressione o andare allo scontro totale in drastica minoranza. Intorno allo scontro in atto in Iran, inatteso quanto insperato, i Paesi vicini e lontani trattengono il fiato. Non è chiaro l'esito dello scontro e non è chiaro nemmeno se sia nell'interesse di altri Paesi disturbarlo. Gli stessi Stati Uniti hanno scelto un profilo molto basso, seguiti da molti altri Paesi che per giorni hanno ufficialmente ignorato le vicende iraniane. Tutto questo però fa sperare che in Iran possa avvenire una transizione del potere che conduca seppure lentamente alla democrazia.
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