Il capo spirituale dei buddisti tibetani il Dalai Lama, nei giorni scorsi, dal suo esilio a Dharamsala, nel nord dell’India dove si è rifugiato da 49 anni dopo essere fuggito dal Tibet occupato dai cinesi, ha denunciato le inimmaginabili ed enormi violazioni dei diritti dell’uomo commessi dalla Cina in Tibet. Proprio da Dharamsala, la piccola città sull’Himalaya indiano, e loro roccaforte in India, lo scorso lunedì sono partiti migliaia di tibetani che hanno formato un corteo di protesta contro la Cina. La manifestazione è stata fatta coincidere con lo stesso giorno in cui ricorreva l’anniversario della rivolta di Lhasa, scoppiata il 10 marzo del 1959 a seguito dell’occupazione del Tibet da parte dell’Esercito Popolare di Liberazione cinese avvenuta nel 1951. La rivolta di Lhasa si concluse con una sanguinosa repressione e
l’esilio volontario in India del Dalai Lama. Le proteste di questi giorni hanno coinvolto anche oltre 300 monaci buddisti di Lhasa, la capitale del Tibet, dove però le truppe cinesi hanno circondato e chiuso, per impedire ai monaci ogni contatto con l’esterno, i tre più grandi monasteri della città: Drepung, Sera e Ganden. Due monaci del monastero di Drepung, per protesta, hanno tentato di suicidarsi autopugnalandosi e recidendosi le vene dei polsi, ora sono in fin di vita. Da allora, gli altri monaci hanno iniziato uno sciopero della fame. Molte altre manifestazioni pro Tibet contro la Cina sono in corso da giorni nel mondo: in Grecia, un gruppo di atleti tibetani ha fatto partire la ‘fiaccola dei diritti umani’ che nelle loro intenzioni dovrebbe attraversare una ventina di Paesi per poi giungere l’8 agosto, giorno in cui inizieranno i giochi olimpici di Pechino, alla frontiera con la Cina. Mentre dalla cittadina indiana dell’Himalaya sono partiti, sventolando le bandiere gialle, blu e rosse del Tibet, esuli tibetani per dar vita alla ‘marcia del ritorno’, che dovrebbe concludersi col il loro rientro in Tibet sempre l’8 agosto prossimo. Una marcia organizzata dal ‘Tibetan Youth Congresso’ (Tyc), e da altre organizzazioni non governative tibetane con sede in India e in Europa. Tra i partecipanti alla marcia anche una delegazione dei radicale italiani:Matteo Mecacci, Marco Perduca vice presidenti del Prt, e Sergio d’Elia segretario di ‘Nessuno tocchi Caino’ e deputato radicale. I tre erano nella cittadina indiana per incontrare il primo ministro del Governo tibetano in esilio Sogyal Rinpoche. D’Elia ha affermato che: “sostenere questa marcia è un dovere per tutti coloro che amano la libertà”. Il Tyc reclama l’indipendenza del Tibet e giudica troppo morbida la politica del Dalai Lama, che chiede per la regione l’autonomia. I colloqui che tenutisi tra esponenti del leader tibetano e del gove
rno cinese, tra il 2002 e il 2006, si sono conclusi con un nulla di fatto. In questi giorni il capo spirituale dei buddisti tibetani ha ripetuto che non intende deviare da quella che chiama la via di mezzo, ovvero un onorevole compromesso con la Cina. Il Dalai Lama, che nel 1979 ha ricevuto il premio Nobel per la pace, ha negato di voler sabotare le Olimpiadi, cosa della quale è invece accusato da Pechino ed ha aggiunto che esse rappresentano un’occasione d’oro per la comunità internazionale per denunciare il maltrattamento dei tibetani da parte della Cina. Il Parlamento tibetano in esilio, eletto democraticamente dai tibetani della diaspora, si è unito alle denunce del loro capo spirituale, affermando che dal 2002, quando sono ripresi i contatti con la Cina, non si è registrato in Tibet alcun miglioramento La reazione cinese alle manifestazioni pro Tibet era prevedibile in quanto la Cina attraverso le Olimpiadi di agosto vuole rilanciare la sua immagine di Paese moderno alla comunità internazionale. L’intervento delle autorità cinesi contro i manifestanti è stato pesante. Oltre cento dei dissidenti tibetani che partecipavano alla ‘marcia del ritorno’, sono stati arrestati. Nonostante i severi provvedimenti presi dalle autorità cinesi, la protesta pro Tibet è dilagata, imponendosi agli occhi del mondo come la più vasta protesta contro la Cina mai registrata negli ultimi 20 anni ed in particolare è esplosa a Lhasa. Pechino è stata costretta a fare anche pressioni sul governo indiano per fermare i manifestanti partiti da Dharamsala. Per evitare che la protesta imbarazzasse il governo di Pechino, le autorità indiane hanno impedito ai manifestanti tibetani di lasciare il distretto di Kangra, dove si trova la città di Dharmsala,. La marcia è stata fermata nella città di Dehra, al confine del distretto, e i manifestanti, che sventolavano bandiere e foto con il volto di Ghandi e del Dalai Lama, sono stati fatti salire su autobus. Ai manifestanti è stato chiesto di firmare un documento con cui si sarebbero impegnati a non svolgere altre attività politiche ma nessuno ha accettato anzi si sono ribellati iniziando lo sciopero della fame. In molti per non aver firmato il foglio, rimarranno in carcere per almeno 14 giorni. Anche il gruppo dei radicali italiani e altri stranieri, anche se non arrestati, hanno incominciato uno sciopero della fame. Nonostante gli arresti, gli organizzatori intendono continuare la marcia e la loro squadra di avvocati sta cercando di trattare con la polizia. Intanto, il deputato radicale Sergio d'Elia, con un’interrogazione urgente rivolta al ministro degli Esteri Massimo D’Alema, ha sollevato la questione della brutale repressione di alcune manifestazioni nonviolente avvenuta in questi giorni in Tibet da parte delle autorità cinesi. Chiedendo al ministro osa intenda fare per acquisire informazioni sulle condizioni delle persone arrestate e come pensa di porre la questione del rispetto dei diritti umani delle minoranze in Cina secondo quanto previsto dalla Costituzione.

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