sabato 17 febbraio 2007

Vizi e Peccati

"Nient’altro infatti è il peccato che un atto disordinato e malvagio"

S . Tommaso d’Aquino

Per San Tommaso i sette vizi capitali sono capitali perché ne originano altri. E dunque, di peccato capitale spesso si macchia la grande narrativa quando crea emblematici personaggi “viziosi”, dai quali discendono un numero infinito di emuli — o, come si direbbe oggi, di cloni letterari — e tutta un’ampia varietà di peccatori eccellenti. Molti studiosi di sociologia e di psicologia, molti teologi e antropologi ci hanno trasmesso la propria opinione sui peccati capitali e su come, in diverse epoche, ne è mutata l’accezione e la percezione di gravità sociale. Interessante è, a nostro avviso, tentare lo stesso esame percorrendo — pur velocissimamente e arbitrariamente — una strada che attraversi i vizi immortalati dalla letteratura.
SUPERBIA (o della brama d’eccellenza)
"La superbia imita l’eccellenza, mentre tu solo, o Dio, sei l’eccelso al di sopra di tutte le cose"
S.Agostino - Confessioni

Era invidia o superbia quella che mosse Lucifero a ribellarsi a Dio? A ben vedere è invidioso colui che non può insuperbirsi a causa dell’eccellenza delle qualità altrui, o per i beni che vorrebbe invano possedere. Chi è convinto della propria eccellenza, a torto o a ragione, non si macchia, di solito, del peccato di invidia. Ma poiché la superbia presuppone implicitamente un concetto di relatività (io sono più ricco di te, ho più potere, appartengo a una razza o a una classe migliore della tua…), è quasi inevitabile che i vizi della superbia e dell’invidia convivano prima o poi nello stesso individuo. Infatti, la convinzione di essere migliore di qualcuno o superiore a qualcosa — identificativa del vizio della superbia — spesso conduce al confronto-scontro con ciò che ci appare ancora superiore, e, di conseguenza, l’autoconvincimento dell’eccellenza dei propri attributi è destinato a sfaldarsi in un sentimento di invidia bruciante e impotente. Detto questo, in letteratura il superbo ha spesso connotati luciferini proprio perché l’ultimo ostacolo al perfetto innalzamento di sé è la divinità. Come non pensare alle parole che Milton mette in bocca al Demonio ne Il Paradiso perduto: «Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso»?
Oggi la realtà scientifica ha superato qualsiasi fantasia letteraria in materia di emulazione della natura, e quindi della divinità: Frankenstein perciò è divenuto perfettamente verosimile e la copia della sua creatura, molto più sofisticata dell’originale romanzesco, sta probabilmente vivendo e sviluppandosi in qualche celatissimo laboratorio. Spesso però la superbia si concretizza in una drammatica sfida con se stessi. Il confine da valicare ad ogni costo non sta nell’altro da noi, di cui disprezziamo i limiti, bensì nel nostro io e nella nostra identità cui non vogliamo riconoscere limiti umani e perciò eguagliabili. Meravigliosa, a questo proposito, l’allegoria di Conrad in La linea d’ombra, dove il giovane Capitano, paradossalmente, si riscatta dall’accidia e dalla disperazione, nelle quali stava precipitando, proprio con un atto di indicibile superbia: il protagonista, infatti, non sfida le forze occulte del destino e del mondo non visibile, bensì le proprie paure e il proprio umanissimo desiderio di fuga e di rinuncia.
INVIDIA (o dell’inadeguatezza)
"…infatti invidiare è cattivo e opera dei perversi"
Aristostotele - Retorica

Tutta la storia letteraria — cominciando dalla più imponente delle opere storico-romanzesche, la Bibbia — ci parla di invidie “funeste”. Da quella di Adamo nei confronti del suo Creatore, a quelle “fraterne” di Caino ed Esaù, a quella degli amici di Giobbe ferocemente invidiosi della sua precaria fortuna. Fino a giungere al Nuovo Testamento, che, dopo averci narrato, attraverso la parabola del Figliuol prodigo, un’istruttiva vicenda di invidia di un fratello nei confronti dell’altro (chi non si è sentito almeno una volta solidale con il maggiore?), si conclude, nella sua parte più nota, con lo scellerato tradimento di Giuda; peccato il suo che, manifestamente, non fu dettato da cupidigia o interesse, bensì da un furibondo risentimento nei confronti di un uomo di virtù infinitamente — diremmo divinamente — superiori. Dei sette vizi capitali l’invidia è tra quelli che hanno stimolato maggiormente la fantasia dei letterati e, forse, la più affascinate figura di invidioso l’ha disegnata Shakespeare con il suo Iago: dalla furiosa e tragica invidia di questi avranno origine, a cascata, molti altri delitti, primo tra tutti l’ira omicida di Otello e il suo stesso suicidio. Altro indimenticabile ritratto letterario di invidioso è senza dubbio Uriah Heep, di Dickens: qui il personaggio sembra non avere altra ragione d’essere al di fuori del proprio livore e del proprio senso di inadeguatezza. Si tratta di un invidioso puro, succube totalmente del proprio vizio e che proprio da esso dipende per poter trovare un riscontro esistenziale. Ma se, come afferma Tommaso d’Aquino, «l’invidia è tristezza per il bene d’altri in quanto ostacolo alla propria superiorità», dunque non è altro che un’atipica, oscura, ma più che mai emblematica figura di invidioso, anche quella di Javert, ne I miserabili. In Javert, a prima vista, la spasmodica rincorsa e l’accerchiamento di Jean Valjean potrebbero essere confusi con altre urgenti tensioni, quali il senso di impotenza, l’uso intollerante del potere, l’inaccettabilità della sconfitta — quindi con la superbia —; in realtà essi altro non nascondono, se non un’incontenibile invidia per un uomo in tutto superiore a lui, nel bene e nel male.
ACCIDIA (o del disgusto del bene)
"La loro anima ha respinto ogni nutrimento"
Salmo CVI
Accidia, ovvero “l’antivizio”: paradossalmente l’accidioso non si macchia di nessuna colpa perché non vive pienamente né il bene né il male. A ben vedere però, giuridicamente l’accidia si identifica con la figura dell’omissione; moralmente con l’ozio della coscienza. Letterariamente invece si rivela come un vizio molto proficuo perché è quasi sempre accostato al concetto di noia, di spleen, e, da che mondo è mondo, nulla è più artisticamente prolifico della malinconia, della noia esistenziale, e, caratterialmente, nessun personaggio è più affascinante di colui che trova banale e inadeguata a sé la normalità dell’esistenza quotidiana. In questo senso, spesso l’accidioso in letteratura si riveste di un’aura di snobismo, di raffinatezza intellettuale, e difficilmente lo percepiamo come fastidioso o deprecabile.
Gli accidiosi in letteratura sono numerosissimi ed è difficile identificarne uno che superi tutti gli altri in bassezza morale, e al tempo stesso in magnificenza artistica — con l’esclusione ovviamente di Oblomov, che fin dalla sua nascita rimane il punto di riferimento per ogni personaggio romanzesco che si macchi di accidia e di ignavia esemplare —.
Al tempo stesso, nella narrativa italiana, forse nessuno ha mai superato Moravia — come non pensare a Gli indifferenti, a La noia, a La vita interiore….) nella descrizione di personaggi annoiati, inquieti, tenacemente inetti e refrattari a qualsiasi spinta al riscatto sociale e morale.
S. Natoli, nel Dizionario dei vizi e delle virtù, ci presenta l’accidia come una sorta di qualunquismo, di disfattismo. L’ozio pervicace, ci permette la critica, la maldicenza, la verbosità sterile. In pratica, il contrario del famoso motto sessantottino: I care.
Se accidioso è dunque anche colui che pensa e specula, ma non ne ricava alcun costrutto, ecco che, come ben suggerisce T. Pynchon, Amleto fu un accidioso di grandissima levatura intellettuale, ma non per questo più giustificabile. D’altra parte, se l’accidia è descritta da Tommaso come la repulsione e l’inerzia verso ciò che è buono e caritatevole, oggi, ci suggerisce Galimberti riferendosi ai giovani, tale vizio è divenuto somma espressione di un disagio generazionale, un vuoto, un’assenza di prospettive etiche e sociali. E, come spesso avviene nel presente momento storico, anche l’accidia si trasforma in atteggiamento amorale, piuttosto che immorale. In questo senso vanno intesi quasi tutti i vizi dei protagonisti della nuova letteratura giovanile e della narrativa pulp o trash. Si perdono i contorni del bene e del male, non si riconosce a nessun essere umano, o sovrumano, il diritto di giudicare e di punire, non si nutre alcun ideale estroflesso da sé, e perciò non si agisce altro che per la soddisfazione dei propri bisogni, contingenti e sempre diversi. Nessun bene, nessun male, perciò: nessun vizio, che li presupporrebbe necessariamente entrambi. Ecco perché la “non viziosità” dell’accidia è riconoscibile in quasi tutti gli eroi letterari contemporanei, solo episodicamente scossi da qualche pulsione autenticamente viziosa o virtuosa. Un esempio tra tanti: la giovane Belinda del libro di Veronesi Gli sfiorati, alla quale il protagonista riconosce il vizio dell’accidia al massimo grado, coniando per questo addirittura il neologismo di: schiumevolezza.
IRA (o del vuoto della ragione)«Adiratevi ma non peccate...»Paolo - Lettera agli Efesini
Si dice che all’ira e all’invidia non si sottraggano nemmeno gli dei. Lo stesso Gesù, a giudicare dall’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio, perse almeno per una volta il proprio assoluto controllo di sé. Questo dovrebbe portarci a considerare la definizione di vizio come esasperazione di una virtù, piuttosto che mancanza di essa: Cristo infatti non mancò della virtù della pazienza, bensì esercitò quella della giustizia e la condanna dell’iniquità. I metodi utilizzati, e solo quelli, potrebbero quindi distinguere l’esercizio di una virtù dal suo contrario, ovvero dal suo eccesso. Ma più semplicemente: l’ira è viziosa soltanto se irragionevole. Dice Gregorio Magno: «Bisogna avere la massima cura affinché l’ira, che viene presa come strumento di virtù, non prevalga sulla mente, né la domini come signora… allora infatti più fermamente si erge contro i vizi quando, sottomessa, si mette a servizio della ragione».
Che dire allora dei tanti iracondi consapevoli e lucidi di cui ci parla la letteratura? Come classificare Charles Alavoine nella Lettera al mio giudice di Simenon, che dichiara di voler essere giudicato come assassino che ha premeditato un delitto, pur essendo, senza alcun dubbio, in preda a una crisi d'ira irrefrenabile alla vista della donna che ama oltre ogni dire, ma che ritiene schiava di un passato a lui odioso? Per alcuni studiosi la distinzione può essere cercata solo nella motivazione dell’atto collerico. Chi si adira per una giusta causa non è vizioso, chi lo fa per motivi iniqui ed egoistici lo è. In pratica: chi si infuria senza trascendere il limite del rispetto altrui ed esercitando la virtù della equità non è iracondo in senso stretto.
Ed ecco l’esempio stupefacente della collera trattenuta, eppure tutt’altro che insignificante, di Padre Cristoforo ne I promessi sposi, subito dopo l’infruttuoso colloquio con Don Rodrigo. Lo stesso Cristoforo che, anni prima, dalla propria collera mortale — e questa volta peccaminosa — aveva tratto motivo di resurrezione.
E così, per consolazione di qualcuno dei lettori, è assai improbabile che chi si macchia del vizio dell’ira possa contemporaneamente dolersi di quello dell’accidia. Uno dei più begli esempi letterari di ira nefasta e ingiustificabile, pur rivestita dal fascino ambiguo dell’inesorabilità e della fatalità che non può essere contrastata in alcun modo dall’umano volere, è quella di Nanni, amante e genero della Lupa verghiana. Così certamente, nell’intero movimento letterario del Verismo — non solo italiano (si pensi ai personaggi di Zola) — si possono trovare un gran numero di sanguigne e indomite figure di mirabili iracondi.
AVARIZIA (o dell’accumulazione)
"L’avarizia è un amore smodato di possedere"
Cicerone — Tuscolane
Galimberti, nel suo saggio I vizi capitali e i nuovi vizi, sostiene che l’avarizia altro non sia che il denaro visto come fine e non come mezzo. Troppo facile, secondo questa pur esatta definizione, sarebbe dunque citare tra gli esempi letterari L’avaro di Molière: rappresentazione paradigmatica di un vizio che trascende se stesso per diventare simbolo feroce e ambiguo di un coacervo di difetti umani tra i più fastidiosi. Così come è sottinteso che di avarizia — ironicamente e furbescamente rappresentata — si macchiano molte maschere della Commedia dell’Arte, prima, e di Goldoni in seguito.
Crediamo invece che si possa estendere la definizione di avarizia a tutto ciò che concerne la sterile accumulazione di beni, non necessariamente materiali. Avarizia quindi come mancanza di carità, ossia conservazione egoistica di qualsiasi bene ci appartenga, sia esso concreto o spirituale. Ne consegue che può definirsi avaro anche chi considera esclusivi e non divisibili con altri i propri talenti e le proprie conoscenze. L’avarizia è quindi, in un certo senso, il compendio di ogni vizio, e l’antitesi del precetto evangelico «Ama il prossimo tuo».
Quanta grettezza e superbia insieme, in tanti veri o presunti intellettuali letterari: dall’insipiente Don Ferrante manzoniano, al luciferino Jorge de Il nome della rosa! E come non ricordare Scrooge, di Canto di Natale, più avaro di sé che di denaro? Così come evangelicamente avari appaiono quasi tutti i protagonisti del Racconto di Natale di Buzzati, i quali presumono di poter gelosamente conservare per loro stessi, non cedendola a nessuno, la propria “parte” di Dio.
Strano è che non sia previsto tra i sette quel vizio che in apparenza potrebbe sembrare l’altra faccia della medaglia dell’avarizia: la prodigalità. Non la generosità, beninteso, o la carità e la benevolenza, bensì lo spreco e la dilapidazione dei beni di cui disponiamo. E dire che Cristo ha trasformato in un modello negativo colui che si è macchiato di tale colpa dedicandogli una delle parabole più note, e se n’è servito poi per ricordarci la magnanimità del perdono divino. In realtà, chi dilapida i beni che ha ricevuto in sorte o che si è conquistato non è diverso dal goloso: egli, infatti, trae piacere dall’eccesso di un consumo che per altri versi potrebbe considerarsi apprezzabile. E se lo fa compulsivamente, in preda a un demone interiore, come quello del gioco (si pensi a Il giocatore, di Dostoevskij), ricade — secondo l’attuale modo di intendere tali eccessi — nella accezione di malato, piuttosto che in quella di vizioso.
GOLA (o dell’insaziabilità)«Chi è, Signore, che non mangia del cibo, un poco oltre i limiti del necessario?»Agostino — Confessioni
Se tutti i vizi capitali possono essere considerati come il deteriorarsi di una virtù, o il venir meno di un limite, oppure, genericamente, come l’opposto della virtù della temperanza (uno strabordare di ciò che di per sé sarebbe buono, in impulso incontrollato), la gola può definirsi tout court il vizio dell’eccesso. E, per suo completamento, si aggiunge il vizio della lussuria inteso come sovrabbondanza sessuale: in fondo quasi una sottospecie o una variante del vizio della gola; infatti, mentre cinque peccati riguardano un atteggiamento deviato dello spirito, questi ultimi due si riferiscono indiscutibilmente a una “cupidigia” del corpo.
Nel mondo occidentale moderno il vizio della gola, inteso come sfrenato soddisfacimento del bisogno fisiologico del cibo, non esiste più. Ad esso spesso si sostituisce, nei Paesi sviluppati, proprio il suo contrario; mangiare troppo non è peccato, bensì disagio mentale e sociale: un problema cui caritativamente porre rimedio. Ed ecco che nascono e divengono comuni i termini di obesità, bulimia, anoressia. In breve, oggi chi è goloso — o soggiace ad altri irrefrenabili bisogni, spesso socialmente indotti, quali il tabacco, l’alcool, o le droghe — è malato e quindi non pecca, ma deve essere curato, o, nel migliore dei casi, è semplicemente giudicato come un individuo che non ha abbastanza cura di sé. Ma non è in fondo proprio questa la peccaminosità del vizio della gola secondo l’Aquinate, e cioè il recare danno a se stessi? Di conseguenza, nella letteratura moderna, è difficile trovare personaggi emblematici del vizio della gola inteso in senso tradizionale. Zeno, di Svevo, in questo senso è uno dei primi peccatori — gola e accidia insieme — riconosciuti dalla letteratura come “malati”.
Dopo Petronio Arbitro e Rabelais, la crapula non è quasi mai oggetto di descrizioni narrative di rilievo e si deve forse cercare nelle visioni dei banchetti rinascimentali — famosi quelli descritti con puntigliosa dovizia di particolari dalla Bellonci — o nella celeberrima immagine delle delizie culinarie che accompagnavano il ballo ne Il Gattopardo per riuscire adimmaginare ancora qualcuno che pecchi del vizio della gola secondo l’accezione tomasiana.
LUSSURIA (o della sfrenatezza dei sensi)«Guardati, o figlio da ogni fornicazione»Tobia
È sintomatico che tra le leggi che Dio impone al popolo ebraico si trovi il divieto di “fornicare”, mentre, tra i vizi capitali, sia contemplata la lussuria e non la fornicazione. Usando un paragone giuridico, si potrebbe ipotizzare che la fornicazione sia un atto illecito isolato e senza reiterazione, mentre la lussuria rappresenti la continuazione del “reato”. La lussuria infatti — come pure la gola — trae origine dall’eccesso di un bisogno naturale, e tale bisogno è per sua natura infinite volte saziabile. Quindi, non lussuriosi i peccatori danteschi Paolo e Francesca — innamorati infelici, quasi costretti all’adulterio da un’iniqua imposizione famigliare e dalla pochezza delle distrazioni —, bensì i lascivi monaci del Decameron. Non lussuriose M.me Bovary e Lady Chatterly, peccatrici cerebrali e autopunitive, ma piuttosto le protagoniste dei racconti della Nin, o i personaggi di H. Miller e di molti romanzi erotici o pornografici, antichi e contemporanei, in cui il vizio della carne è perseguito con sorprendente pervicacia.
Insieme all’invidia e all’ira, la lussuria è vizio amato dai romanzieri di ogni epoca, ma, come detto, risulta difficilmente distinguibile da altre pulsioni più o meno condannate dalla morale sessuale vigente, e comunque mai del tutto riprovevole, purché accompagnato da un qualche coinvolgimento sentimentale che lo affranchi almeno in parte dal presupposto di peccaminosità.
Le grandi cortigiane e prostitute letterarie — un esempio fra tanti: l’indocile Nanà di Zola — sono evidentemente lussuriose, fino a che non si riscattano per mezzo di un innamoramento fatale, che pur non cambiando nella sostanza il loro vizio, lo elevano a espansione corporea di un sentimento più che legittimo. La stessa omosessualità, deviazione sessuale per eccellenza, vizio “innaturale” e più che mai etichettabile come lussurioso, quando in letteratura viene affiancata da virtù intellettuali e culturali acquisisce dignità, perdendo, anche alla luce della moralità tomasiana, ogni morbosità di vizio. L’imperatore Adriano della Yourcenar è uomo di tale statura morale da indurre il lettore a perdere di vista la sua deviazione, peraltro accettata e largamente praticata in epoca precristiana.
In conclusione se come afferma Tommaso "..nient’altro è il peccato che un atto disordinato o malvagio", come potrebbe la letteratura, che solo di esseri umani da sempre si occupa, non aver dato larghissimo spazio a quanto di irresistibilmente umano sta nel disordine morale e nella luccicante babele delle passioni?

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Un bambino del Darfur

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aiuta ad aiutarlo sostieni le iniziative pro Darfur
In Darfur dal 2003 ad oggi sono state compiute esecuzioni, anche di massa, stupri, soprattutto di massa, nei confronti di donne, uomini e bambini e interi villaggi sono stati rasi al suolo. Il terrore è stato usato come pratica generalizzata e a sfondo razziale mentre lo stupro è diventato una vera e propria arma da guerra.
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.

Il pianto di un innocente a Gaza

Il pianto di un innocente a Gaza
Ancora una volta il mondo intero si dovrebbe vergognare!!!
La guerra chi puo raccontarla? E' difficile farlo ma tutti possiamo immaginare come sia il sentire l'odore dei morti abbandonati nelle strade o sotto le macerie, il vedere i bambini che muoiono di fame accanto al cadavere della madre, il sentire il lamento dei feriti e lo strazio dei sopravvissuti, di chi si vede impotente e maledice chi gli ha portato via tutto.
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran

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Sono solidale con i persiani che manifestano

Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!


i 44 presidenti degli Usa

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da www.patrickmoberg.com/blog/id:420/november-4-2008

The President United States of America

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Barack Obama

E' morta Miriam Makeba

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Addio Mama Afrika....io continuerò a sognare...

Notes

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Italia. Violenza sessuale è allarme sociale


Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.

***

La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'

Esprimo la mia piena solidarietà con tutti coloro che protestano contro la Legge 133/08 la cosidetta 'Riforma Gelmini'....

Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.

...

ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'

C’è un detto che dice: "meglio poco che niente!".
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!

***

Parole....di Abraham Lincoln

Non si può arrivare alla prosperità

scoraggiando l'impresa.
Non si può rafforzare il debole
indebolendo il più forte.
Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.
Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.
Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.
Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.
Non si può promuovere la fratellanza umana
predicando l'odio di classe.
Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.
Non si può formare carattere e coraggioto
gliendo iniziativa e sicurezza.
Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello che potrebbe
e dovrebbe fare da sola.

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

marito e padre

i due rivali

genere umano

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO
da peacereporter

23/02/2002 - 02/07/2008 Ingrid Betancourt è stata liberata!

23/02/2002 - 02/07/2008                  Ingrid Betancourt è stata liberata!
faccio mia la gioia di tutti!

Finalmente liberi!!!

Finalmente liberi!!!

Grazie a loro la Betancourt è libera

Grazie a loro la Betancourt è libera
il ministro della Difesa colombiano Santos e il generale Montoya

Grazie Uribe!!

Grazie Uribe!!
La Betancourt ha incontrato il presidente colombiano Uribe che vinse le elezioni del 2002

madre e figlia!

madre e figlia!
Yolanda Pulecio e Ingrid Betancourt

le due Betancourt

le due Betancourt
Ingrid abbraccia la madre Yolanda

La gioia della libertà riconquistata

La gioia della libertà riconquistata
Ingrid Betancourt dopo la liberazione