violenze sessuali e stupri. Uomini, donne e bambini nessuno è rimasto immune a queste annose violenze e ancor peggio, per i bambini alla morte in alternativa il rapimento per essere arruolati come bambini soldato nelle fila delle milizie ribelli. Secondo stime fatte da agenzie non governative oltre un milione di persone hanno subito la distruzione dei campi e delle abitazioni a causa dei violenti combattimenti degli ultimi nove mesi e centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare ogni avere per cercare di sfuggire al dramma della guerra. Secondo le stime fatte dalle Nazioni Unite i profughi in fuga dal Kivu sono stati circa mezzo milione. Questa gente che è stata costretta a lasciare i luoghi interessati dagli scontri ora vagano senza una meta, senza aiuto e alla mercè di chiunque. In questa sfortunata terra a contrapporsi sono ora le forze governative, Fardc, e i miliziani del movimento 23 marzo, M23. Questi ultimi non sono altro che quanto rimane dei miliziani dello sconfitto Congresso nazionale per la difesa del popolo, Cndp, del generale dissidente Laurent Nkunda. Il generale venne arrestato in Ruanda nel gennaio del 2009 ponendo così fine ad una ribellione iniziata nel dicembre del 2006. Nkunda era considerato molto vicino ai ribelli Tutsi del Ruanda e fino all’ultimo ha cercato di creare un auto-proclamata Repubblica nel Kivu settentrionale. Questo nuovo gruppo armato composto per lo più da ex militari congolesi ammutinatisi ha assunto il nome di M23 da una data. Si tratta del 23 marzo di tre anni fa, quando fu firmato un accordo di pace che di fatto come tanti altri non è mai stato rispettato da nessuno. A capo di questi miliziani vi è Bosco Ntaganda detto ‘The Terminator’ anch’egli un generale fuoriuscito dell’esercito congolese ed ex braccio destro di Nkunda. Sulla sua testa pende, dall’agosto 2006, un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità spiccato dalla Corte Penale Internazionale. Ntaganda dichiara di essere sceso in campo per proteggere le popolazioni di etnia tutsi della regione, a cui anche lui appartiene. Popolazione che sarebbero vittime, a suo dire, delle milizie Hutu rifugiatisi nella RDC al termine del genocidio ruandese del 1994 e che agiscono nella regione a fianco delle forze governative congolesi. In verità la sua è solo un modo per cercare di mascherare i suoi misfatti. In passato si è spesso cercato di nascondere altri interessi dietro quello etnico. Secondo l’ONU però, dietro questa nuova ribellione al governo di Kinshasa vi è il coinvolgimento politico del Ruanda. Proprio il Ruanda è stato più volte, nel corso degli anni, accusato di aver sostenuto i vari gruppi armati congolesi contro il governo centrale per poter prendere il controllo della ricca regione del Kivu. Dopo il fallimento del negoziato, portato avanti faticosamente a Kampala in Uganda, un nuovo spiraglio sembra aprirsi nel drammatico panorama del Paese africano. I ribelli congolesi dell’M23, l’8 gennaio scorso hanno dichiarato unilateralmente un cessate il fuoco. Questi negoziati, che ora si avviano al secondo round, sono cominciati la metà del mese di dicembre del 2012 dopo il ritiro dei miliziani dell’M23 dalla città chiave di Goma, capoluogo del Kivu settentrionale, città situata vicina alla frontiera ruandese. La principale richiesta dei ribelli congolesi sono state un cessate il fuoco e riforme politiche immediate. Richieste che il governo di Kinshasa sembrava che inizialmente non volesse accogliere. In passato ogni cessate il fuoco imposto unilateralmente dai ribelli ha riportato la calma nella regione, ma dopo un breve periodo di stabilità tutto è tornato come prima. Successivamente pochi giorni fa è stato invece, annunciato che sono stati individuati dei punti chiave su cui improntare i colloqui di Pace in corso a Kampala. Questi punti riguardano la revisione dei precedenti accordi di pace del 2009, sicurezza, questioni sociali, politiche ed economiche e modalità di attuazione di qualsiasi accordo che sarà firmato. L’ex colonia Belga è un Paese dove la grande maggioranza della popolazione vive nella miseria più assoluta. Mentre le sue ricchezze sono prerogativa di pochi. La sua principale ricchezza viene dalle miniere di oro, di diamanti e di metalli usati nell’industria tecnologica. Ricchezze che la rendono molto vulnerabile in quanto la ricerca del loro controllo suscita lotte interne che causano sofferenze indescrivibili alle popolazioni locali e danni sempre maggiori al territorio. L’RDC ha vissuto anche una sanguinosa e lunga guerra civile. Nel 2002 con gli accordi di pace di Sun City in Sudafrica sembrava che si fosse raggiunto un compromesso tra le parti. Una pace patrocinata dall’ONU. Purtroppo continue interferenze esterne non hanno ancora permesso al Paese africano di ritrovare l’agognata stabilità. Nella RDC dal 2000 vi sono dispiegati i caschi blu. Si tratta di soldati, poliziotti e osservatori che compongono la più grande forza di Pace che l’ONU abbia mai dispiegato nel mondo. La missione approvata con la risoluzione ONU 1279 del 1999 era inizialmente composta da 15.831 uomini e venne denominata ‘Monuc’. Successivamente nel maggio del 2010 con la risoluzione 1925 venne istituita la ‘Monusco’ forte di circa 20mila uomini. Questi militari provenienti in gran parte da India, Pakistan, Bangladesh, Uruguay, Sudafrica, Nepal e Marocco, il cui mandato scade nel giugno del 2013, sono stati inviati per contribuire alla stabilizzazione del Paese e in specie del nordest dell’RDC. Una stabilizzazione rimasta solo una chimera. Questi peacekeeper, la cui missione costa oltre un mld di dollari l’anno, possono fare ben poco contro la devastante azione dei miliziani in quanto hanno le mani legate dalle regole d’ingaggio che prevede il ricorso alle armi solo per la protezione dei civili. In mancanza di una risoluzione che li autorizzi all’uso delle armi non solo per difesa osteggiata però, da alcuni Paesi membri l’ONU ha progettato il ricorso a droni nell’azione di sorveglianza specie della parte orientale del Paese dove dovrebbero essere dispiegati ben 3 di questi aerei senza pilota. In questo modo si eviterebbe di disperdere le forze a terra finora impegnate in pattugliamenti su una vasta area che a volte li ha portati a trovarsi lontano dai luoghi dove avvenivano saccheggi di villaggi e uccisioni di civili. Una proposta anche stavolta osteggiata da alcuni Paesi membri in prima fila Ruanda, Russia e Cina. Nelle prossime settimane però, è atteso il via libera del Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon che dovrebbe appoggiare la proposta dei droni nel suo rapporto sulla missione in Congo. Ancora una volta in molti si pongono la domanda sull'utilità o meno di queste missioni di pace dell'ONU nel mondo. Missioni che incidono pesantemente sul bilancio dell'Organizzazione mondiale del Palazzo di Vetro e che poi, si ripercuotono su quello dei Paesi membri. Molti altri invece, difendono la missione di pace ONU affermando che la sua inefficienza è dovuta ai limiti di operatività impostigli dalle regole di ingaggio. Nei giorni scorsi la Comunità dei Paesi dell'Africa del sud, Sadc, ha deciso l'invio nella RDC di sue truppe sempre però, nell'ambito della forza internazionale di Pace sotto l'egida dell'ONU.
sabato 19 gennaio 2013
Repubblica democratica del Congo: a rischio ‘mantenimento’ Pace nel Nord Kivu
violenze sessuali e stupri. Uomini, donne e bambini nessuno è rimasto immune a queste annose violenze e ancor peggio, per i bambini alla morte in alternativa il rapimento per essere arruolati come bambini soldato nelle fila delle milizie ribelli. Secondo stime fatte da agenzie non governative oltre un milione di persone hanno subito la distruzione dei campi e delle abitazioni a causa dei violenti combattimenti degli ultimi nove mesi e centinaia di migliaia di persone hanno dovuto abbandonare ogni avere per cercare di sfuggire al dramma della guerra. Secondo le stime fatte dalle Nazioni Unite i profughi in fuga dal Kivu sono stati circa mezzo milione. Questa gente che è stata costretta a lasciare i luoghi interessati dagli scontri ora vagano senza una meta, senza aiuto e alla mercè di chiunque. In questa sfortunata terra a contrapporsi sono ora le forze governative, Fardc, e i miliziani del movimento 23 marzo, M23. Questi ultimi non sono altro che quanto rimane dei miliziani dello sconfitto Congresso nazionale per la difesa del popolo, Cndp, del generale dissidente Laurent Nkunda. Il generale venne arrestato in Ruanda nel gennaio del 2009 ponendo così fine ad una ribellione iniziata nel dicembre del 2006. Nkunda era considerato molto vicino ai ribelli Tutsi del Ruanda e fino all’ultimo ha cercato di creare un auto-proclamata Repubblica nel Kivu settentrionale. Questo nuovo gruppo armato composto per lo più da ex militari congolesi ammutinatisi ha assunto il nome di M23 da una data. Si tratta del 23 marzo di tre anni fa, quando fu firmato un accordo di pace che di fatto come tanti altri non è mai stato rispettato da nessuno. A capo di questi miliziani vi è Bosco Ntaganda detto ‘The Terminator’ anch’egli un generale fuoriuscito dell’esercito congolese ed ex braccio destro di Nkunda. Sulla sua testa pende, dall’agosto 2006, un mandato di cattura internazionale per crimini contro l’umanità spiccato dalla Corte Penale Internazionale. Ntaganda dichiara di essere sceso in campo per proteggere le popolazioni di etnia tutsi della regione, a cui anche lui appartiene. Popolazione che sarebbero vittime, a suo dire, delle milizie Hutu rifugiatisi nella RDC al termine del genocidio ruandese del 1994 e che agiscono nella regione a fianco delle forze governative congolesi. In verità la sua è solo un modo per cercare di mascherare i suoi misfatti. In passato si è spesso cercato di nascondere altri interessi dietro quello etnico. Secondo l’ONU però, dietro questa nuova ribellione al governo di Kinshasa vi è il coinvolgimento politico del Ruanda. Proprio il Ruanda è stato più volte, nel corso degli anni, accusato di aver sostenuto i vari gruppi armati congolesi contro il governo centrale per poter prendere il controllo della ricca regione del Kivu. Dopo il fallimento del negoziato, portato avanti faticosamente a Kampala in Uganda, un nuovo spiraglio sembra aprirsi nel drammatico panorama del Paese africano. I ribelli congolesi dell’M23, l’8 gennaio scorso hanno dichiarato unilateralmente un cessate il fuoco. Questi negoziati, che ora si avviano al secondo round, sono cominciati la metà del mese di dicembre del 2012 dopo il ritiro dei miliziani dell’M23 dalla città chiave di Goma, capoluogo del Kivu settentrionale, città situata vicina alla frontiera ruandese. La principale richiesta dei ribelli congolesi sono state un cessate il fuoco e riforme politiche immediate. Richieste che il governo di Kinshasa sembrava che inizialmente non volesse accogliere. In passato ogni cessate il fuoco imposto unilateralmente dai ribelli ha riportato la calma nella regione, ma dopo un breve periodo di stabilità tutto è tornato come prima. Successivamente pochi giorni fa è stato invece, annunciato che sono stati individuati dei punti chiave su cui improntare i colloqui di Pace in corso a Kampala. Questi punti riguardano la revisione dei precedenti accordi di pace del 2009, sicurezza, questioni sociali, politiche ed economiche e modalità di attuazione di qualsiasi accordo che sarà firmato. L’ex colonia Belga è un Paese dove la grande maggioranza della popolazione vive nella miseria più assoluta. Mentre le sue ricchezze sono prerogativa di pochi. La sua principale ricchezza viene dalle miniere di oro, di diamanti e di metalli usati nell’industria tecnologica. Ricchezze che la rendono molto vulnerabile in quanto la ricerca del loro controllo suscita lotte interne che causano sofferenze indescrivibili alle popolazioni locali e danni sempre maggiori al territorio. L’RDC ha vissuto anche una sanguinosa e lunga guerra civile. Nel 2002 con gli accordi di pace di Sun City in Sudafrica sembrava che si fosse raggiunto un compromesso tra le parti. Una pace patrocinata dall’ONU. Purtroppo continue interferenze esterne non hanno ancora permesso al Paese africano di ritrovare l’agognata stabilità. Nella RDC dal 2000 vi sono dispiegati i caschi blu. Si tratta di soldati, poliziotti e osservatori che compongono la più grande forza di Pace che l’ONU abbia mai dispiegato nel mondo. La missione approvata con la risoluzione ONU 1279 del 1999 era inizialmente composta da 15.831 uomini e venne denominata ‘Monuc’. Successivamente nel maggio del 2010 con la risoluzione 1925 venne istituita la ‘Monusco’ forte di circa 20mila uomini. Questi militari provenienti in gran parte da India, Pakistan, Bangladesh, Uruguay, Sudafrica, Nepal e Marocco, il cui mandato scade nel giugno del 2013, sono stati inviati per contribuire alla stabilizzazione del Paese e in specie del nordest dell’RDC. Una stabilizzazione rimasta solo una chimera. Questi peacekeeper, la cui missione costa oltre un mld di dollari l’anno, possono fare ben poco contro la devastante azione dei miliziani in quanto hanno le mani legate dalle regole d’ingaggio che prevede il ricorso alle armi solo per la protezione dei civili. In mancanza di una risoluzione che li autorizzi all’uso delle armi non solo per difesa osteggiata però, da alcuni Paesi membri l’ONU ha progettato il ricorso a droni nell’azione di sorveglianza specie della parte orientale del Paese dove dovrebbero essere dispiegati ben 3 di questi aerei senza pilota. In questo modo si eviterebbe di disperdere le forze a terra finora impegnate in pattugliamenti su una vasta area che a volte li ha portati a trovarsi lontano dai luoghi dove avvenivano saccheggi di villaggi e uccisioni di civili. Una proposta anche stavolta osteggiata da alcuni Paesi membri in prima fila Ruanda, Russia e Cina. Nelle prossime settimane però, è atteso il via libera del Segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon che dovrebbe appoggiare la proposta dei droni nel suo rapporto sulla missione in Congo. Ancora una volta in molti si pongono la domanda sull'utilità o meno di queste missioni di pace dell'ONU nel mondo. Missioni che incidono pesantemente sul bilancio dell'Organizzazione mondiale del Palazzo di Vetro e che poi, si ripercuotono su quello dei Paesi membri. Molti altri invece, difendono la missione di pace ONU affermando che la sua inefficienza è dovuta ai limiti di operatività impostigli dalle regole di ingaggio. Nei giorni scorsi la Comunità dei Paesi dell'Africa del sud, Sadc, ha deciso l'invio nella RDC di sue truppe sempre però, nell'ambito della forza internazionale di Pace sotto l'egida dell'ONU.
DIRITTI E UTILIZZO RISERVATI
GRAZIE
Una fiammella accesa per tutte le persone che soffrono al mondo
Unioni Civili
STOP ALLE VIOLENZE IN SIRIA
Tutta la verità sul sequestro del rimorchiatore Buccaneer
A tutti quei bravi ragazzi morti per l'Italia
Nel mondo ogni giorno vengono compiute carneficine immani in cui le vittime sono inermi civili
sono solidale con gli immigrati clandestini
...a quei bravi ragazzi, figli dell'America di oggi, morti in guerra!
DARFUR:NON C'E' PIU' TEMPO DA PERDERE!
FAI LORO DEL BENE... AIUTA I RIFUGIATI E I PROFUGHI DEL DARFUR FACENDO UNA DONAZIONE ALL'AGENZIA ONU PER I RIFUGIATI UNHCR CHIAMA LO 0680212304 PER SAPERE COME FARE....
RICORDATI BASTANO 31 EURO PER ACQUISTARE 8 COPERTE, 51 EURO PER UNA TENDA E 200 EURO PER DARE ASSISTENZA MEDICA A 25 FAMIGLIE...
Un bambino del Darfur
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.
Il pianto di un innocente a Gaza
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.
Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran
Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!
i 44 presidenti degli Usa
The President United States of America
E' morta Miriam Makeba
Notes
Italia. Violenza sessuale è allarme sociale
Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.
***
La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'
Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.
...
ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!
***
Parole....di Abraham Lincoln
Non si può arrivare alla prosperità
scoraggiando l'impresa.
Non si può rafforzare il debole
indebolendo il più forte.
Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.
Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.
Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.
Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.
Non si può promuovere la fratellanza umana
predicando l'odio di classe.
Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.
Non si può formare carattere e coraggioto
gliendo iniziativa e sicurezza.
Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello che potrebbe
e dovrebbe fare da sola.
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