E’ indescrivibile l’esperienza che vivono i marittimi quando cadono ‘prigionieri’ dei predoni del mare. E’ chiaro che chi cade nelle loro mani è un ostaggio e come tale viene trattato. Una terribile esperienza che segna la vita di molti di loro. Questi lavoratori del mare, mentre un tempo erano considerati ‘merce preziosa’, da mantenere in salute e in vita, oggi invece, sono anche usati come scudi umani e negli assalti ai mercantili, utilizzandoli insieme alle loro navi per lanciare all’arrembaggio i barchini pirati. Un fatto questo che denota quanto i pirati somali stiano rincorrendo sempre di più a forme diverse di violenza sia negli assalti sia nel trattare gli equipaggi catturati. Un aumento della violenza che ha portato ad un aumento delle vittime tra i marittimi equipaggi delle navi assaltate e catturate e tra gli stessi predoni del mare. Nel primi 10 mesi del 2011 sono già rimasti uccisi almeno 60 pirati e almeno 4 marittimi.
Sono diverse centinaia i marittimi ancora trattenuti in ostaggio dai pirati somali insieme alle navi di cui erano i membri degli equipaggi. Questi marittimi sono tutti stranieri e di nazionalità diverse. Solo il 10 per cento di essi provengono da Paesi OCSE, gli altri da Paesi come India, Ghana, Sudan, Pakistan, Filippine, Yemen, Sri Lanka e tanti altri. Di fatto rappresentano la marineria mondiale.
Non ci sono però, tra essi, marittimi somali ne sono state mai catturate navi somale. Un dato di fatto questo, che fa pensare ad una sorta di immunità per le navi battenti il vessillo somalo.
L'equipaggio di una nave catturata, che viene preso in ostaggio, ha per i pirati somali un valore fondamentale: quello molto venale di valere un mucchio di bei bigliettoni verdi. Per intenderci quelli pagati come riscatto per ottenere il loro rilascio. Riscatti che variano a secondo del tipo di nave e della nazionalità. Statisticamente la cifra in media pagata come contropartita per un mercantile è di 6 mln di dollari, mentre quella per una petroliera si aggira intorno ai 9 mln di dollari. Una contropartita a cui finora i pirati somali hanno mai rinunciato, anche a costo di trattenere in ostaggio nave e marittimi per mesi.
Nella totalità dei casi, a pagare sono l’armatore oppure il governo del Paese di provenienza di nave e marittimi.
A dispetto di quello che si potrebbe essere portati a pensare, sono le banche a svolgere un ruolo centrale all'interno del processo che riguarda il pagamento del riscatto. E’ impensabile credere che senza l’aiuto delle banche sia possibile raccogliere la ‘montagna’ di dollari che servono a pagare i riscatti. I pirati somali infatti, non accettano carte di credito ne Travele’s Cheque, ma solo contanti. Di recente però, si assiste, in questo ambito, ad una sorta di fenomeno di obiezione nel senso che alcune banche, per motivi etici e morali, si sono rifiutate di collaborare nel mettere insieme la somma richiesta dai sequestratori.
Attualmente in mano ai pirati somali vi è ancora una nave italiana, la petroliera ‘SAVINA CAYLYN’, e altri 5 marittimi di nazionalità italiana.
In Italia l'informazione fornita dai media nazionali sul fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia è stata finora piuttosto selettiva e a tempo. A volte addirittura sbagliando tempi e modi di parlarne. Ancor peggio quando la ‘gestione’ dell’argomento è stata affidata a redattori a ‘digiuno’ del fenomeno e quindi è immaginabile il pastrocchio che ne è uscito fuori. Un esempio reale è la miriade di news pubblicate negli ultimi giorni relativi al rilascio della ‘MV ROSALIA D’AMATO’. Un ‘informe’ ammasso omogeneo di notizie.
Purtroppo in Italia funziona in questo modo.
Una delle discussione più ricorrente, negli ultimi tempi, è se sia o meno legittimo pagare i riscatti ai pirati somali.
Finora la maggiore opposizione al pagamento dei riscatti è venuta dai governi dei Paesi coinvolti. Da sempre però, a schierarsi contro è soprattutto l’ONU. Per l’organizzazione del Palazzo di Vetro pagare i riscatti ai pirati somali violerebbe le leggi internazionali contro la pirateria marittima.
Su tutto però, prevale il concetto che è meglio il tacito consenso al pagamento del riscatto piuttosto che rischiare nave, marittimi e carico. In verità, a spingere verso il pagamento è anche il fatto che le polizze assicurative, nella gran parte dei casi, coprono dalla pirateria, ma escludono la perdita totale della nave. Per cui, nessuno rischia e si preferisce cedere al ricatto.
Comunque sia l’ONU, per mettere un po’ d’ordine, lo scorso anno ha adottato una risoluzione che obbliga tutti gli Stati, senza esclusioni, a non alimentare, con il pagamento dei riscatti, la pirateria marittima che la stessa organizzazione internazionale ha definito una grave forma di crimine internazionale e criminali quelli che lo compiono
In base a quanto detto è da ritenere che il possibile sequestro di una nave è visto da molti armatori al pari di un qualsiasi altro rischio d'impresa. Questi, a causa del fenomeno, da anni, e in particolare negli ultimi tre, si sono visti costretti a dover ‘sborsare’ enormi somme di denaro che hanno contribuito a far lievitare soprattutto i costi di spedizione. Ad incidere fortemente su questi costi, a contrario di quanto si potrebbe essere portati a credere, non sono però, i riscatti, che si aggirano sui 150-200 Mln di dollari pagati in un anno, ma i costi per poter assicurare le navi che devono solcare il ‘mare dei pirati’.
Attualmente il costo di una polizza assicurativa viene contrattata dagli assicuratori con le compagnie di navigazione disciplinando i diversi casi a seconda della tipologia del carico, del tipo di nave e della zona in cui la nave deve transitare. In questo modo si è passati dai 900 dollari al giorno, che si pagavano nel 2007, ai circa 9mila dollari che si pagano in media ai giorni nostri.
In media una polizza assicurativa in grado di coprire tutti i rischi, incluso il sequestro da parte dei pirati somali, può costare dai 2mila ai 50mila dollari al giorno con un incremento sostanziale nel periodo di transito nei tratti più a rischio come il Golfo di Aden.
Il fenomeno della pirateria marittima al largo della Somalia ha visto la sua ‘esplosione’ nel 2008. Un mare ben presto ribattezzato ‘il mare dei pirati’ dove in meno di tre anni le gang del mare che vi operano sono riuscite a mettere in scacco la comunità internazionale arrivando ad assaltare le stesse navi da guerra che sono stati inviate a contrastarli. Ora i moderni filibustieri somali si stanno organizzando in gruppi più forti e numerosi anche per ‘contrastare’ le guardie armate, private o militari, che sempre più spesso si stanno imbarcando a bordo dei mercantili e pescherecci.
Quello del ricorso ad uomini armati a bordo di navi commerciali è stato per molto tempo motivo di dibattito. Dividendo in due, favorevoli e contrari, i partecipanti alla discussione. Soprattutto si temeva che il ricorso ad uomini armati a bordo dei mercantili potesse alimentare la violenza nel corso degli assalti da parte dei predoni del mare. Per ora non è accaduto nulla di tutto questo. Di recente di fronte agli ottimi risultati che si stanno ottenendo contrapponendo ‘alle armi le armi’ e davanti all’ormai certo fallimento degli sforzi della comunità internazionale di contrastare e risolvere il problema, il fronte dei ‘NO’ si è molto assottigliato.
In questi giorni la Grecia ha deciso di consentire l’imbarco di guardie armate a bordo dei mercantili greci per respingere gli attacchi dei pirati somali. La nuova normativa consentirà il ricorso a sei guardie private per nave e per un massimo di sei mesi. Il mese scorso anche la Gran Bretagna aveva fatto lo stesso annuncio. Dopo Francia, Spagna e Italia, con queste due new entry, si allunga l’elenco dei Paesi dell’Ue che sono ricorsi a team di sicurezza armati imbarcati a bordo di navi commerciali per la loro difesa.
Lo scorso mese di febbraio, l'International Chamber of Shipping, ICS, aveva denunciato le grandi difficoltà che si incontrano ancora in materia di appalti e attracco nei porti delle navi che dispongono di armi a bordo. E’ questo infatti, uno dei principali ostacoli al ricorso generalizzato di guardie armate a bordo di mercantili per la loro difesa, Sono tanti i Paesi che infatti, vietato l’attracco nei loro porti di navi commerciali con armi a bordo.
Un episodio accaduto nelle scorse settimane alimenterà ulteriormente la discussione. Le forze di sicurezza egiziane hanno arrestato un tedesco e un austriaco per detenzione illegale e contrabbando di armi da fuoco. I due, dipendenti di una società privata di sicurezza, sono stati arrestati per aver introdotto illegalmente nel Paese 4 fucili di precisione e 200 munizioni. Entrambi erano giunti al Cairo in volo da Monaco e si erano poi, recati al porto egiziano di Suez per imbarcarsi come team di sicurezza a bordo di una petroliera. L’episodio evidenzia le difficoltà a spostare armi e munizioni, in dotazione ai team di sicurezza, da un Paese all’altro. Le disposizioni adottate dal governo egiziano in merito sono molto ferree. Di fatto i team di sicurezza, militari o privati, per poter attraversare il canale di Suez, dovrebbero consegnare le armi e le munizioni in dotazione ad un funzionario egiziano che dopo averle catalogate le chiuderebbe in una cassa. Armi e munizioni sarebbero poi, riconsegnate ai team di sicurezza alla fine della traversata. Appare difficile pensare che una simile ‘imposizione’ possa andar bene ad un militare. Finora non è dato sapere se la direttiva sia stata applicata o meno, ma l’episodio accaduto porta a pensare che lo sia stata.
Gli assalti dei pirati somali rischiano di avere pesanti ripercussioni sulle forniture di greggio a livello internazionale. Essi infatti, insidiano le vie marittime attraverso cui transitano la gran parte delle forniture energetiche mondiali e buona parte del commercio marittimo tra Asia ed Europa.
Un rischio reso molto concreto dopo gli ultimi colpi messi a segno dai moderni filibustieri con la cattura di due superpetroliere, l'italiana ‘Savina Caylyn’ e la greca ‘SL Irene’. Entrambe trasportavano un grosso quantitativo di greggio. Per meglio rendere l’idea, il carico della nave greca era pari al 20 per cento delle importazioni giornaliere di greggio degli Stati Uniti.
Nel frattempo, mentre la comunità internazionale si ‘affanna’ a cercare di rendere sicure le acque dell’Oceano Indiano e del mare del Corno d'Africa i predoni del continuano a scorazzare indistrurbati in lungo e in largo nel ‘mare dei pirati’.
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