Sudan. Le Ong denunciano: un terzo delle donne fuggite dal Darfur sono state stuprate

Per l'Unicef gli abusi nel mondo sono compiuti su 150milioni di ragazze e 73milioni di ragazzi

Un terzo delle donne fuggite dal Darfur riportano i segni dello stupro o comunque i segni della violenza sessuale subita da parte dei miliziani filo governativi Janjaweed o da parte dei soldati o dei contadini nei pressi degli stessi campi profughi. A denunciarlo i medici dell'organizzazione non governativa 'Medici per i diritti umani'. Purtroppo il conflitto etnico interno in corso in Darfur ha coinvolto 4 dei 6 milioni di abitanti della regione sudanese. Un'intera popolo soffre a causa di un conflitto brutale quanto assurdo che dura da oltre 6 anni. La popolazione civile continua a subire ogni sorta di violenza e per le donne, le ragazze e i bambini gli abusi e gli stupri sono poi una drammatica realtà con la quale devono convivere tutti i giorni. A questo si aggiungono poi, la disintegrazione del tessuto sociale, lo smembramento delle comunità e la totale assenza di strutture educative, fattori che contribuiscono in modo determinante a bruciare le ultime speranze di recupero di una società civili in disgregazione. Secondo le stime dell'Onu i profughi causati da questa guerra civile sono circa 3milioni, gran parte dei quali appunto donne e bambini. Si calcola che almeno un milione e ottocentomila siano di età inferiore ai 18 anni. Sono soprattutto i continui attacchi messi in atto dai Janjaweed, le milizie arabe filo governative sostenute dal governo di Khartoum, che causano questi profughi. Negli ultimo mese sono stati circa 8mila i nuovi profughi. La causa di questa guerra in Darfur è la politica di arabizzazione della regione da parte del regime arabo che governa il Sudan. Una politica che va a a pari passo con interessi legati al petrolio e al commercio delle armi. Secondo stime Onu, in Darfur sono inoltre morte circa 300mila persone. Cifre che il governo di Khartoum contesta affermando che i morti non sono più di 9mila. Purtroppo, dopo 6 anni di scontri, quella che era inizalmente una tragedia si è trasformata in una vera e propria catastrofe umanitaria che è dilagata anche oltre confine e che secondo molti potrebbe avere dimensioni ancora maggiori di quanto si conosce.
Nella regione sudanese del Darfur sono i bambini, i ragazzi, le donne e gli anziani a rappresentare decisamente l’anello più debole, e pertanto la parte più vulnerabile e più esposta alle violenze, di una catena. Il tutto avviene nonostante la presenza nella regione di una missione di pace mista Onu/Ua denominata UNAMID dispiegata in Darfur nel dicembre 2007 grazie alla risoluzione Onu 1769. Il Consiglio di Sicurezza del Palazzo di Vetro aveva approvato la costituzione della UNAMID composta da 26 mila caschi blu per sostituire i circa 8mila caschi verdi della fallimentare missione di pace dell'Unione Africana, Ua, l'AMIS, in Darfur dal 2004. Purtroppo a circa due anni dall'inizio del suo dispiegamento l'UNAMID non è ancora pienamente operativa. Sulla carta in Darfur dovrebbero essere già presenti 19.555 militari, 6.432 forze di polizia e una considerevole componente civile. Al 31 gennaio la missione contava appena 17.080 uomini tra soldati, osservatori, poliziotti e volontari delle Nazioni Unite. L'intenzione dell’Onu era ridare stabilità e sicurezza alla regione sudanese ed impedire che la tragedia continuasse ad espandersi coinvolgendo anche gli stati limitrofi come Ciad e Repubblica Centrafricana. Paesi questi ormai sull'orlo del tracollo per il crescente numero di profughi che vi giungono dal vicino Darfur. Inoltre a complicare la loro precaria situazione è la forte crisi interna che li tormenta da anni. Così non è stato! Sul terreno la situazione non è cambiata. I civili che hanno trovato riparo in uno dei campi profughi presenti nella regione sudanese o in quelli nel vicino Ciad o Repubblica Centrafricana e quelli che sono invece rimasti nei pochi villaggi ancora abitati della terra dei Fur ora vivono in una costante situazione di pericolo.
Le agenzie per i diritti umani continuamente denunciano i traumi psicologici a cui sono esposti i bambini coinvolti loro malgrado nelle violenze. Considerevole sono anche le denuncie per l'alto numero di bambini rapiti per essere usati come piccoli manovali della guerra o venduti come schiavi. Le denuncie per sevizie e stupri contro le donne poi, non si contano. Atti questi che giungono a colpire anche ragazze di 11 anni, sorprese mentre lontane dai campi profughi, da dove si sono allontanate, raccolgono la legna. Addirittura spesso si registrano stupri anche all’interno degli stessi campi profughi dove l’affollamento e le condizioni di promiscuità le rendono particolarmente vulnerabili. A compiere queste violenze sono per primi i Janjaweed che usano lo stupro come 'tattica di guerra' una sorta di arma psicologica con la quale puniscono le loro vittime ed umiliano le comunità non arabe. A testimonianza di ciò vi è il fatto che a volte non sono solo le donne a subire la violenza ma anche bambini e uomini. Una violenza che è compiuta anche dai soldati dell’esercito sudanese, dai ribelli e dalle tante bande armate di nomadi, veri e propri predatori del deserto, che vivono di razzie e del commercio di schiavi. Quello che è ancor più triste e drammatico è che questo stupro, sottoforma di indifferenza, continua anche quando le vittime sporgono denuncia. La polizia sudanese preferisce archiviare subito il caso, senza dare il via alle indagini, specialmente quando sono coinvolti militari sudanesi. Questo porta spesso molte donne a preferire di tacere sull'accaduto, soprattutto perché oltre a non avere giustizia esse verrebbero marchiate dalla loro stessa comunità come impure, vedendo tramontare così ogni possibilità di matrimonio.