I tutsi costituivano circa il 15 per cento della popolazione ed erano dediti prevalentemente all’attività di allevatori e pastori, erano giunti dall’Uganda e dall’Etiopia intorno al XV secolo; sono conosciuti anche con il nome di Watutsi o Watussi; gli hutu invece erano l’84 per cento ed erano dediti prevalentemente all’agricoltura ed eredi, dal punto di vista antropologico, dei bantu; erano giunti dal Ciad e dall’Africa australe; sono conosciuti anche con il nome di Wahutu; i Twa invece erano l’1 per cento e sono un popolo pigmeo e costituiscono gli abitanti originari del Ruanda erano prevalentemente cacciatori e artigiani, e furono spesso alleati con i Tutsi; sono anche conosciuti con il nome di Watwa.
Le divisioni etniche del Paese, molto forti e sentite dalla popolazione, sono state opera principalmente del dominio coloniale europeo, prima tedesco e poi belga, che iniziò a dividere le persone con l’introduzione della carta d’identità etnica e favorire quelli che consideravano più ricchi e di diversa origine ossia i tutsi. In realtà tutsi e hutu fanno parte dello stesso ceppo etnico culturale Bantu e parlano la stessa lingua.
La differenza tra tutsi e hutu era solo di clan o di stato sociale e non aveva nessuna connotazione razziale: sebbene sia esistito un rapporto di subordinazione fra i due gruppi, Hutu e Tutsi hanno sempre svolto ruoli complementari.
Il genocidio terminò col rovesciamento del governo hutu e la presa del potere, nel luglio del 1994, del Fronte Patriottico Ruandese, FPR, tutsi di Paul Kagame attuale presidente.
La fine degli anni ’80 il Ruanda era in piena crisi economica: a fronte di un forte aumento demografico, le risorse agricole del Paese erano restate le uniche e invariate. Le pressioni interne, unite alla richiesta occidentale di democratizzazione, indussero l’allora presidente
Juvenal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, a varare nel 1991 una nuova Costituzione, che prometteva il multipartitismo. Mentre continuava la guerriglia dell’FPR nato nel 1987, mentre continuavano i massacri da ambo le parti, il presidente firmò, il 4 agosto 1993, gli accordi di Arusha, che prevedono il rientro di tutti i profughi Tutsi e una sostanziale spartizione del potere con l’FPR.
Per assicurare l’effettivo adempimento degli accordi di Arusha, nell’ottobre del 1993 con la risoluzione Onu numero 872 il Palazzo di vetro autorizzò una missione di assistenza da inviare in Ruanda, l’UNAMIR, United Nations Assistance Mission for Ruanda, che durò fino al mese di marzo del 1996. Lo scopo di questa missione di pace era quello di calmare le tensioni etniche in Ruanda tra gli hutu, che governavano il Paese, e la minoranza tutsi, in gran parte raccolta nel FPR. Furono dispiegati circa 2550 peacekeepers il cui mandato era quello di assicurare la sicurezza della capitale Kigali, monitorare il rispetto del cessate il fuoco tra le parti, la smilitarizzazione delle fazioni, garantire sicurezza nel Paese durante il governo di transizione, indire nuove e democratiche elezioni, coordinare gli aiuti umani ed effetture lo sminamento del paese. Quando però la situazione nel Paese divenne incandescente stranamente i caschi blu furono fatti rientrare e restarono nel Paese solo 270 peacekeepers tutti canadesi e comandati dal generale Romeo Dallaire, che non volle mai abbandonare il Paese al suo destino. Vani furono i suoi tentativi di farsi inviare dall’Onu un nuovo contingente di almeno 5mila militari. I Paesi membri si rifiutarono di inviare i propri militari fino a quando l’ondata di violenza non fosse cessata. Sebbene disponesse di un contingente ridotto all’osso il generale Dallaire riuscì comunque a salvare migliaia di cittadini Tutsi da morte sicura. Quando nell’ agosto del 1994, a genocidio finito, il generale Dellaire chiese di rientrare in Canada perchè fortemente provato da quanto era accadutovenne sostituito dal generale Guy Tousignant.
L’UNAMIR è considerata uno dei grandi fallimenti delle Nazioni Unite, questo sia per la mancanza di regole di ingaggio chiare sia soprattutto per non essere riuscita ad evitare il genocidio ruandese.
Nel corso della missione persero la vita ben 27 militari.
Autore del progetto di genocidio fu l’Akazu, la casetta, il gruppo di potere formatosi attorno al presidente Habyarimana e al suo clan familiare, che non accettava limitazioni di potere e cominciò ad organizzarsi: vennero da prima creati e armati gli Interahamwe, quelli che lavorano insieme, milizie hutu irregolari; vennero acquistati dalla Cina, attraverso la ditta Chillington di Kigali, i machete; vennero redatte liste di esponenti Tutsi da uccidere.
Tutti gli hutu vennero chiamati a compiere il genocidio, chi non partecipava era considerato un nemico, e quindi andava eliminato. La mente di tutto fu l’allora il colonnello Theoneste Bagosora, capo di gabinetto del ministro della difesa.
Il 6 aprile 1994, l’aereo presidenziale di Habyarimana di ritorno da Dar es Salaam, dove aveva concordato una nuova formazione ministeriale, venne abbattuto da un missile terra-aria in fase di atterraggio a Kigali. Ancora oggi non si sa chi lanciò quel missile: le ipotesi più accreditate sono quelle che portano alle frange estremiste del partito presidenziale, le quali non accettavano la ratificazione dell’accordo di Arusha che concedeva al FPR, un ruolo politico e militare importante all’interno della società ruandese; un’altra ipotesi è quella che sostiene che fu proprio l’FPR a compiere l’attentato, convinto che il suo ruolo negli eventi sarebbe stato marginale e che i patti non sarebbero stati rispettati; negli ultimi tempi è stata inoltre incriminata la moglie del presidente, che proprio quel giorno, contrariamente alle sue abitudini, decise di prendere un mezzo alternativo all’aereo, forse perchè conosceva in anticipo la sorte del marito o forse perchè lei stessa ne aveva tessuto le trame.
Il 7 aprile a Kigali e nelle zone controllate dalle forze governative le FAR, Forze Armate Ruandesi, con il pretesto di una vendetta trasversale, iniziano i massacri e l’eliminazione fisica della popolazione tutsi e dell’opposizione democratica da parte della Guardia Presidenziale, dei miliziani dell’ex partito unico (Movimento Rivoluzionario Nazionale per lo sviluppo) e dei giovani hutu. Il via all’operazioni fu dato da Radio Mille Colline, che diede poi anche le notizie ed esultava per le azioni più spettacolari, invitando i tutsi a presentarsi ai posti di blocco istituiti dagli Interahamwe per essere uccisi. Molti adulti si sacrificano, nel tentativo di proteggere e salvare i bambini.
Per cancellare i tutsi dal Ruanda i miliziani Interahamwe uccisero coi machete, le asce, le lance, le mazze chiodate, le armi da fuoco. Istituirono delle barriere stradali e al controllo dei documenti le persone che avevano sulla carta d’identità l’appartenenza all’etnia Tutsi vennero massacrate.
Per i Tutsi non esistevano luoghi sicuri: anche le chiese vennero violate.
Sulle colline di Bisesero però decine di migliaia di persone si organizzarono per resistere.
Il 22 giugno Francia, Gran Bretagna e Belgio inviarono truppe di soccorso dando vita all’ ‘operazione turquoise’ che creò un corridoio umanitario, ufficilamente per la protezione e l’evacuazione dei propri cittadini ma in realtà l’intervento venne utilizzato dagli autori dei massacri per proteggere la propria fuga dal Paese. Salvati gli europei, la comunità internazionale e Onu in testa abbandonarono i ruandesi al loro destino, mentre discutevano ancora se si trattasse o meno di genocidio.
L’FPR di Kagame, prese il potere a luglio e nei mesi successivi si verificò uno spaventoso esodo di massa degli hutu, terrorizzati dalla sanguinosa vendetta operata nei loro confronti. Circa 2 milioni di profughi fuggirono verso l’allora Zaire, Tanzania e Burundi.
Per individuare e giudicare i responsabili del genocidio, nel novembre del 1994 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha creato il TPIR, Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda, con sede ad Arusha, in Tanzania.
L’Alta corte del tribunale penale internazionale dell’Aja, Tpi, poco più di sei anni fa ha emesso, a 14 anni di distanza, una sentenza che dovrebbe rendere giustizia, almeno in parte, a chi ha subito il genocidio compiuto nel Paese africano nel 1994. Il Tpi ha condannato per genocidio e crimini contro l’umanità colui che è stato considerato la mente di tutto, l’ormai sessantasettenne ex colonello dell’esercito ruandese, Theoneste Bagosora di etnia hutu. Per il militare l’accusa è di essere stato a suo tempo il comandante delle milizie hutu ‘Interahamwe’, squadre della morte che si resero colpevoli del massacro di oltre 800mila tutsi e hutu moderati. Bagosora è stato condannato all’ergastolo, con lui sono stati giudicati e condannati altri due ex alti ufficiali militari, Aloys Ntabakuze e Anatole Nsengiyumva mentre un terzo ufficiale, il generale Gratien Kabiligi, è stato assolto. Al cognato dell’ex presidente Habyarimana, Protais Zigiranyirazo invece sono stati comminati 20 anni di reclusione. E’ stato ritenuto responsabile di aver aiutato e incoraggiato il massacro di circa 1.500 tutsi l’8 aprile del 1994 sulla collina di Kesho, a Gisenyi, nel nord del Paese.
Il procuratore capo dell’Alta corte di Arusha, Hassan Bubacar Jallow, aveva chiesto per tutti la condanna all’ergastolo. Secondo l’accusa, tutti gli imputati condannati hanno cospirato per elaborare un piano di sterminio della popolazione tutsi ed eliminare i membri dell’opposizione.
Ferdinando Pelliccia
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