Ottimismo alle stelle alla vigilia del processo
in India a carico dei due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Finalmente
sembra che si stiano aprendo degli spiragli nella vicenda che vede i due militari
italiani, loro malgrado, protagonisti.
Qualcosa è cambiato in India
dopo che è stata incaricata di condurre le indagini sul loro caso l’Agenzia nazionale delle investigazioni (Nia) ed è
stata istituita ad hoc una Corte speciale a New Delhi per giudicarli.
Piano piano si sta facendo sempre più
strada di nuovo l’ipotesi del
coinvolgimento di una seconda nave nell’incidente accaduto in
mare il 15 febbraio del 2012 e che costò la vita a due pescatori indiani
mentre si trovavano a bordo del peschereccio St. Anthony. Oltre alla Enrica
Lexie, la nave italiana su cui prestavano servizio di scorta armata i due
sottoufficiali di marina, Latorre e Girone. Rispunta il nome dell' ‘Olympic
Flair’ mercantile battente bandiera greca anch'esso presente nell’area
quando avvenne l’incidente.
I due marò tutt'oggi sono trattenuti
in India, ospitati nell’ambasciata italiana di New Delhi, con l'accusa di omicidio
in attesa di un processo assistiti da un team di legali indiani e italiani.
Ancora oggi la morte dei due pescatori
indiani resta un mistero.
Non è ancora chiaro infatti, come
possano essere stati scambiati per pirati somali ed essere stati anche uccisi
da Latorre e Girone specialisti della
Marina Militare e come tali altamente qualificati e addestrati.
I due pescatori indiani
vennero uccisi al largo delle coste meridionali dell'India
perché scambiati per pirati somali. Latorre e Girone facevano parte di un
Nucleo di Protezione Militare, NMP, composto da sei fanti del Reggimento
San Marco che al momento dell'incidente si trovavano a bordo della Enrica Lexie,
petroliera italiana comandata dal capitano Umberto Vitelli e di
proprietà della società di navigazione dei F.lli D’Amato di Napoli. Questi
nuclei armati sono stati istituiti dall'Italia con la legge 130 del 2011
per proteggere le navi commerciali italiane dai pirati. Anche l'‘Olympic
Flair’, di proprietà della società armatrice greca ‘Olympic Shipping &
Management S.A., quel giorno respinse un presunto attacco pirata al
largo delle coste indiane però, verso le 21,15 ora locale.
A bordo della Olympic Flair vi era
dunque un team di sicurezza privato armato? Un fatto questo, però, mai
confermato ufficialmente in quanto i greci non
potevano, almeno ufficialmente, avere delle armi a bordo.
Il governo greco ha approvato solo il 14 febbraio del
2012 il decreto che autorizzava gli armatori greci, proprietari di navi
battenti bandiera greca, ad assumere guardie armate private sulle loro navi che
navigano in zone di mare a rischio pirateria. Però, al vaglio del Parlamento greco
il decreto giunse solo il 22 febbraio successivo per poi., essere successivamente
approvato. Tutto questo porta a credere
che le armi si trovavano a bordo della Olympic Flair abusivamente e chi le ha usate ha commesso un reato in
quanto non esisteva allora ancora una legge in Grecia che ne autorizzasse l’imbarco
e tantomeno l’uso. http://www.liberoreporter.it/index.php/2012/03/in-evidenza/pirateria-marittima-guardie-armate-private-a-bordo-nave-greca-olympic-flair.html
Il fatto poi, che la nave per sagoma e
colori, rosso e nero, assomiglia in maniera impressionante all’Enrica Lexie fa
ancor di più pensare all’equivoco.
Potrebbe essere possibile che, nei convulsi
momenti che hanno seguito la sparatoria avvenuta in mare quel
maledetto 15 febbraio i pescatori indiani superstiti possano
aver compiuto l'errore di aver scambiato una nave per un'altra specie se
l'adrenalina era al massimo. Essi hanno riferito alle autorità indiane di
essere stati oggetti di colpi sparati da una nave commerciale al largo
della costa indiana senza però, saper dare altre informazioni, nemmeno il
nome della nave. Essi al momento dei fatti erano a dormire sotto coperta e una
volta saliti in coperta hanno trovato i compagni morti e visto una nave rossa e
nera che si allontanava.
Alimenta ancora di più i dubbi la
testimonianza rilasciata allora anche dall’armatore del peschereccio St.
Anthony, Freddy Bosco che ha raccontò di non essere riuscito a leggere il nome
della nave da cui sparavano, ma di aver visto solo che era rossa e nera e di
averne saputo poi, il nome che gli venne detto una volta rientrato sulla
terraferma.
Fin dall’inizio sono sempre stati tanti i
dubbi, da parte italiana, sul loro reale coinvolgimento nell’episodio accaduto
in mare e che ha condotto alla morte di due lavoratori del mare imbarcati sul
peschereccio indiano.
In loro discolpa i due marò hanno riferito di non aver aperto il fuoco
indirizzandolo direttamente sull’imbarcazione, ma di aver seguito il protocollo
internazionale previsto in caso di avvistamento di nave sospetta in
avvicinamento.
Per giunta i due hanno testimoniato che la barca
che ha avuto il contatto con loro non era il peschereccio St. Anthony su cui
erano imbarcati i due pescatori indiani morti, ma un’altra.
Si potrebbe quindi trattare di due episodi distinti e quindi forse, il vero
responsabile potrebbe essere qualcun altro.
Quel giorno in quel tratto di mare, al largo
delle coste meridionali indiane, vi
erano diverse altre navi. Capire quali navi erano è stato reso possibile
attraverso la consultazione di fonti internazionali quali sono l''International
Maritime Bureau, IMB, della Camera di commercio internazionale, Icc, che segue
gli episodi legati al fenomeno della pirateria marittima nel mondo. http://www.icc-ccs.org/piracy-reporting-centre/imb-live-piracy-map/details/71/69
Queste navi erano la petroliera ‘Kamome Victoria’, la nave
cisterna italiana ‘Giovanni DP’ e il cargo ‘Ocean Breeze’.
Oltre a queste navi vi era poi, anche la
greca Olympic Flair che come la Enrica Lexie ha dichiarato che il 15 febbraio
del 2012 ha respinto un attacco pirata non lontano dalla costa indiana, circa 2
miglia marine, alle 21.15 locali. Il punto dove la nave greca ha riferito del
contatto con i presunti pirati corrisponde a quello indicato dai superstiti del
peschereccio indiano St. Anthony in cui sarebbero stati fatti oggetto da colpi
di armi da fuoco sparati da una nave rossa e nera. Quanto dichiarato dal
comandante della nave greca fa risaltare un altro fattore. Una discordanza temporale.
Gli italiani hanno dichiarato di aver subito il tentato
abbordaggio poi respinto alle 16,30 locali, i greci alle 21.15 locali. Gli indiani
hanno dato notizia dell’incidente alle ore 22 locali dopo il rientro del peschereccio in porto alle 21,30.
Se fosse lo stesso episodio non si spiega il
perchè gli indiani hanno atteso 6 ore prima di denunciarlo a meno che non sia
lo stesso episodio in quanto avvenuto in tempi diversi.
Infatti, quello italiano è avvenuto a 32
miglia marine e alle 16,30 locali. Per cui in base al fatto che la barca da
pesca indiana raggiunge i 16 nodi di velocità questi dovevano essere rientrati
in porto
per le 18,30 e non alle 21,30 ora in cui sono
invece, giunti. Però se invece, si
trovavano a 2 miglia e l’episodio si è verificato alle 21.15 i tempi
corrispondono.
I due pescatori morti erano originari dello
stato federale indiano del Kerala. Appena la notizia della loro uccisione divenne
di dominio pubblico in tutto lo stato si tennero manifestazioni, apparentemente
spontanee, di protesta anti-italiana. L’opinione pubblica e la stampa indiana fece
sentire tutto il loro peso sui
governanti locali. La vicenda venne fortemente condizionata da tutto questo e
probabilmente anche sfruttata per fini propagandistici da parte di alcuni
leader politici locali. Una chiara strumentalizzazione che alla fine ha finito
per oscurare l’interesse comune del raggiungimento della verità e del
superamento di ogni dubbio.
Purtroppo a pesare su tutto non era in gioco solo
la credibilità dei due Paesi, ma anche gli interessi commerciali dell’Italia
nel Paese asiatico.
Nel corso di questi lunghissimi 16 mesi la
vicenda dei due marò ha dato vita ad una forte diatriba tra Italia e India
condita da accuse reciproche e colpi di scena eclatanti.
Una vicenda che trova tutti unanimi nel definirla
assurda e forse gestita male, soprattutto dalla parte indiana, e che le tante incertezza,
soprattutto da parte italiana, hanno fatto crescere fino all’inverosimile.
Trascurato tutto, ignorato tanto oggi però,
sembra che tutti stiano facendo un passo indietro e cosi facendo stanno
riemergendo alcune verità che prima erano palesi ma erano state ignorate per
praticità. La svolta potrebbe venire proprio dalle nuove indagini condotte in
maniera ‘scientifica’ dal Nia e dal superamento di quell’accanimento, quasi
morboso, da parte indiana di voler ad ogni costo dimostrare la colpevolezza dei
due marò. Una sorta di ‘caccia alle streghe’ come ai
tempi dell’inquisizione quando si dava la caccia
alle streghe e anche senza prove, ma con solo il sospetto, si giudicava e si
condannavano le persone al rogo.
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