La situazione era che una nave italiana, la MN Enrica Lexie della società armatrice F.lli D’Amato di Napoli, e ben 11 italiani, 5 membri equipaggio e 6 marò in servizio di scorta a bordo, di cui 2 in carcere, erano praticamente alla mercè delle autorità indiane dello stato federale del Kerala.
Il numero uno della Farnesina ha mostrato con le autorità indiane la fermezza necessaria, cercando comunque di non esacerbare i toni, allo scopo appunto di non compromettere una situazione già delicatissima.
Poi improvvisamente l’altro ieri, il ministro, che è anche un diplomatico di lungo corso, ha affermato che la nave Enrica Lexie si trova in porto a Kochi e i due marò in carcere grazie ad un sotterfugio e ad un’azione coercitiva, che ha indotto i militari italiani a scendere a terra, attuati dalle autorità indiane.
Il ministro ricostruendo le tappe della vicenda partendo fin dalle prime fasi intervenendo al Senato ha affermato: “L'ingresso della Enrica Lexi in acque indiane è stato il risultato di un sotterfugio della polizia locale, in particolare del centro di coordinamento della sicurezza in mare di Bombay che aveva richiesto al comandante della Lexie di dirigersi nel porto di Kochi per contribuire al riconoscimento di alcuni sospetti pirati. Sulla base di questa richiesta, il comandante della Lexie, acquisita l'autorizzazione dell'armatore decideva di dirigere nel porto. Inoltre il comandante della squadra navale e del Centro operativo interforze della Difesa non avanzavano obiezioni, in ragione di una ravvisata esigenza di cooperazione antipirateria con le autorità indiane, non avendo essi nessun motivo di sospetto”. Il ministro ha poi, anche sottolineato come la consegna dei marò italiani alle autorità indiane è avvenuta per effetto di evidenti, chiare azioni coercitive da parte delle autorità indiane. “Un'azione coercitiva portata avanti da oltre trenta uomini armati della sicurezza indiana, saliti a bordo per prevalere i due marò e portarli a terra nonostante la ferma opposizione delle nostre autorità presenti”.
Un cambio, quello che si nota nell’atteggiamento del capo della diplomazia italiana, forse dettato dal fatto che l’Italia ha ormai incassato la solidarietà della comunità internazionale che si è schierata tutta al suo fianco nella vicenda della Enrica Lexie e dei due marò in carcere in India.
Il fatto però, porta a credere che agendo in questo modo si rischia di accentuare lo ‘scontro’ in atto tra Italia e India dopo lo scoppio del caso dell’Enrica Lexie.
Il caso per fortuna ha comunque portato alla luce un evidente 'buco' nella legge 130 del 2011 che mette a disposizione degli armatori indiani un distaccamento di marò sulle loro navi che devono attraversare mari a rischio pirati.
Dopo lo scoppio del caso in Italia sono però, ripartiti alla carica quelli che da sempre sono i sostenitori dell’idea che a bordo dei mercantili di scorta devono salirci guardie armate private.
Poi, come se non ci fossero due marò nelle mani degli indiani e un’inchiesta in corso dalla parte della magistratura indiana del Kerala che li vuole giudicare per duplice omicidio l’atteggiamento di Terzi è stato ‘imitato’ anche dal ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, uomo di mare.
L’ex ammiraglio di fatto nel corso della sua audizione al Cosapir ha confermato la versione fornita dal suo collega di governo, Terzi.
In sostanza che le autorità indiane hanno usato l'inganno per far tornare indietro la Enrica Lexie e che i due marò italiani sono stati costretti a scendere a terra con la forza per poi essere arrestati e messi in prigione per la morte di due pescatori e che la decisione di deviare dalla rotta per andare verso terra è stata presa dall'armatore del mercantile.
Di certo questo modo di fare con accuse ben precise a determinate entità che sono, alla luce dei fatti, in una posizione predominante a prescindere da chi li ha posti in tale posizione, non aiuta di certo a stemperare gli animi.
Da quello che dicono e fanno si evince che gli indiani sono di tutt’altro parere.
Per ‘fortuna’ ci sono però, anche altri che si preoccupano di questo e che guardando anche al lato spirituale dell’uomo e cercano di lenire le loro pene.
Ieri il presidente della Cei, il card. Angelo Bagnasco a proposito dei due marò in carcere in India ha affermato: “Preghiamo il Signore perchè ispiri i responsabili a trovare le vie rapide e migliori perchè si risolva questo delicato problema. Pregheremo per loro, per le loro famiglie, i loro cari, e per i nostri militari in Italia e all'estero in queste difficili missioni di pace di ordine e di consolidamento”.
Con l’Apostolato del Mare la Cei sviluppa una sua attività grazie alla quale si esprime, si organizza e si sviluppa la materna sollecitudine che la Chiesa rivolge ai marittimi e naviganti, i quali non possono usufruire dei consueti servizi della cura pastorale. Un’attività molto ‘apprezzata’ dalla Confederazione armatori italiani, Confitarma.
Ci sono poi, anche quelli che invece, in tutta questa vicenda ci vedono qualcosa di strano, che non torna.
Sempre ieri il presidente vicario dei deputati dell'IdV, Fabio Evangelisti ha affermato: "Ministro ci permetta di non essere soddisfatti dalla sua informativa sull'uccisione di Lamolinara in Nigeria e sull'arresto dei due marò in India. Capisco il bicameralismo perfetto ma avrei preferito che il suo discorso uscisse arricchito dagli interventi dei colleghi in Senato. E mi aspettavo di più anche sulla ricostruzione delle due vicende. Sui marò lei ha parlato di 'sotterfugio' ma è difficile credere che si sia trattato di sotterfugio. C'è qualcosa che non torna in questa vicenda, anche per quanto riguarda la filiera di comando. Chi ha dato l'autorizzazione per entrare in porto e per abbandonare l'imbarcazione? Ci sono sicuramente delle responsabilità da accertare. E perché, torniamo a chiedere, non è stata eseguita l'autopsia sul corpo dei due pescatori indiani? Non ci stanchiamo poi di ripetere che l'accertamento dei fatti, e delle responsabilità, spetta agli organismi italiani. Abbiamo il dovere di reclamare la nostra autorità".
Una insoddisfazione, quella espressa da IdV, che è comune anche a tanti altri attori della vita sociale e civile italiana e in particolare ai lavoratori del mare italiani che finora sembrano tenuti in disparte come se anche 5 di loro non fossero per nulla trattenuti in India come i 6 marò.
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