La nave italiana ‘Enrica Lexie’ e ben 11 italiani, tra marittimi membri dell’equipaggio e fucilieri del Battaglione San Marco imbarcati come Nucleo di Protezione Militare, NPM, a bordo della nave italiana per difenderla dai possibili attacchi dei pirati somali, sono ritenuti i responsabili dell’uccisione dei due pescatori.
A ritenerli responsabili sono le autorità indiane di Kerala che hanno aperto un'inchiesta per omicidio contro di loro.
Per il momento il clima che si respira è di attesa.
Un’attesa principalmente per eventuali risvolti che possano essere prodotti dall’inchiesta in corso al fine di verificare i fatti e determinare le vere responsabilità della morte dei 2 pescatori al di là di ogni ragionevole dubbio. Dubbi che ora sono tanti.
Nel frattempo, stamani la polizia indiana è di nuovo salita a bordo della nave italiana. Le autorità locali reclamano la consegna di almeno 2 dei marò che sono a bordo, ma la richiesta è stata respinta la mittente.
Gli indiani sembrano annebbiati da chissà cosa e dimenticano anche che i militari italiani sono un organo dello Stato legalmente riconosciuto a livello internazionale e come tale soggetto ad immunità giurisdizionale assoluta rispetto ad autorità straniere.
Nelle ultime ore le autorità di Kerala hanno esercitato forti pressioni per convincere almeno 2 degli 11 italiani, che si trovano a bordo della ‘Enrica Lexie’, a scendere a terra per collaborare alle indagini. Addirittura hanno lanciato un ultimatum scaduto alle ore 8 locali, le 3,30 italiane, senza un nulla di fatto.
Alla fine sembra che le autorità locali hanno accettato di interrogare a bordo gli indagati. A favorire l’accordo il Console generale italiano di Mumbai, Giampaolo Cutillo che è a bordo con i marinai italiani e sta svolgendo un buon lavoro di mediazione tra le parti.
Le accuse degli indiani contro gli italiani sono tutte da provare.
Addirittura sorgono ragionevoli dubbi sul fatto che l’episodio di pirateria sventato dagli italiani e la morte dei 2 pescatori indiani uccisi su un peschereccio indiano, forse da uomini di un team di sicurezza a bordo di un mercantile, non siano gli stessi episodi. Luoghi, orari e tipo di barca contro cui è stata attuata l’azione dissuasiva sono differenti nei due racconti dei fatti esposti dalle due parti coinvolte, ossia italiani e indiani. Anche il modo con cui gli indiani hanno ‘capito’ che era la ‘Enrica Lexie’ la nave da fermare è particolare.
Il Kerala è uno stato meridionale dell’India dove la nave italiana, bloccata in acque internazionali da 2 motovedette della guardia costiera indiana, è stata scortata ed ora è alla fonda, guardata a vista, nei pressi del porto di Kochi che si trova sulla costa sud-ovest dell’India.
Tutti i passi compiuti finora dalle autorità dello stato meridionale indiano sono stati fatti in nome di una giustizia e di una giusta punizione per i responsabili della morte in mare di 2 pescatori. Per farlo però, hanno praticamente ‘sequestrato’ una nave italiana e dei cittadini italiani in barba ad ogni regola scritta.
Di fatto hanno compiuto azioni unilaterali e coercitive violando di fatto il diritto internazionale.
Si tratta di un’intricata questione che vede contrapposta da una parte le autorità locali indiane che sembrano sempre più convinte della colpevolezza degli italiani e la diplomazia italiana che cerca di risolvere la questione in maniera indolore. A bordo della nave italiana vi sono oltre al Console Cutillo anche l'addetto militare dell'ambasciata d'Italia a New Delhi, il contrammiraglio Franco Favre. I due saliti a bordo fin dai primi momenti del ‘sequestro’ costituiscono lo 'scudo diplomatico' degli italiani e come essi sostengono che l'incidente sia avvenuto in acque internazionali e non indiane, e che quindi la questione deve essere trattata applicando il diritto vigente in simili situazioni ossia quello della giurisprudenza internazionale e non in base alle leggi indiane come invece, le autorità di Kerala sostengono.
Un dubbio giuridico che in parte frena gli indiani.
Sulla intricata questione è intervenuto il governo italiano anche a livello delle autorità centrali indiane.
Ieri il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi ha avuto un colloqui telefonico con il suo omologo indiano S M Krishna per chiarimenti in merito all'incidente. Il numero uno della Farnesina, che appena qualche settimana fa era in visita ufficiale in India, ha fatto notare al capo della diplomazia indiana che, alla luce dei principi di diritto internazionale, è il governo italiano responsabile della giurisdizione del caso e che quindi spetta alla Magistratura italiana di giudicare. In Italia la macchina giudiziaria è già partita. La magistratura ha già aperto due fascicoli a livello militare e ordinario. Persino il ministero della Difesa ha avviato un’inchiesta interna.
Una dimostrazione questa, da parte dell’Italia, di voler arrivare alla verità e collaborare con l’India.
Intanto una rappresentanza italiana, composta da funzionari dei ministeri degli Esteri, dell'Interno e della Difesa, è giunta a New Delhi per affrontare a livello centrale le questioni relative alla vicenda. Oggi è prevista una riunione tra il team interministeriale italiano e rappresentanti governativi indiani per cercare di fare chiarezza sulla questione.
Quella in corso è però, una gara contro il tempo. Per motivi indefiniti le autorità di Kerala spingono sui tempi e sulla conclusione dell’inchiesta sulla morte dei due pescatori indiani. La convinzione, quasi ostinata, che hanno della colpevolezza degli italiani li sta portando a compiere passi che corrono quasi sul filo dell’incidente diplomatico. La ‘Enrica Lexia’ di fatto è territorio italiano. Si è di fronte praticamente ad una situazione in precario equilibrio tra giustizia e sete di vendetta che potrebbe da un momento all’altro esplodere e precipitare portando a disastrose conseguenze.
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