Si era cominciato a ben sperare dopo che il fenomeno della pirateria marittima aveva fatto registrare, dalla scorsa primavera, nel mare della Somalia e Oceano Indiano, pur rimanendo alti il numero degli attacchi ai mercantili, un forte calo degli arrembaggi pirati andati a buon fine.
Una delle ragioni per le quali sono sempre di più i fallimenti che le vittorie dei pirati somali, è stato il ricorso, da parte degli armatori, a team di sicurezza a bordo delle loro navi per difenderle.
Il ripetersi continuo di attacchi pirati aveva infatti, portato a far nascere una discussione in base alla quale era convinzione comune che i mercantili che solcano le acque infestate dai pirati godono di una elevata carenza di sicurezza. Una convinzione questa, che ha portato molti Paesi ad affermare che questo rende molto più facile il ‘lavoro’ ai predoni del mare e che quindi occorreva sanare questa lacuna. Così è stato fatto! Oggi sono sempre di più i Paesi che ricorrono a team di sicurezza, militari o privati, per difendere le navi di bandiera.
I fatti hanno dimostrato che avevano ragione i sostenitori che un mercantile ‘senza difese’ veniva facilmente abbordato e catturato dai pirati somali rispetto ad uno ‘difeso’.
Come lo sono molte delle cose al mondo così il fenomeno della pirateria marittima è un problema per molti, e al tempo stesso un business per pochi.
Per anni, per contrastare il fenomeno, sono stati messi in atto, nelle acque infestate dai pirati somali, dei costosissimi dispositivi navali anti pirateria, almeno 2 mld di dollari l’anno. Quello del Pentagono gestito dalla V Flotta USA, il Combined Task Force, Ctf-151, quello della missione dell’Alleanza Atlantica ‘Ocean Shield’ sotto l’egida dell’ONU e poi, della missione 'Atalanta' a guida Ue. Mentre, ai Paesi dell’area sono stati elargiti enormi aiuti economici sempre nel nome del contrasto ai pirati somali. Per cui il risultato raggiunto con i team di sicurezza ha al tempo stesso anche spinto, sia chi per anni ha cercato inutilmente di combattere la pirateria marittima sia chi ci ha ricavato guadagni, a fare tutto il possibile per limitare o anche contrastare il ricorso alle guardie armate, almeno quelle private. I primi perché il successo dei team di sicurezza li mette molto in imbarazzo e i secondi perché questo ‘successo’ equivale alla fine della cuccagna per loro.
Comunque sia i pirati somali negli anni si sono sempre adeguati ai vari ‘mutamenti’ del contrasto alla pirateria marittima e così avverrà di certo anche stavolta.
I predoni del mare vedendosi ridurre la loro capacità di dirottare una nave, ‘per colpa’ delle guardie armate a bordo hanno iniziato a cambiare strategia.
Spinti dalla disperazione poi, si sono messi alla ‘caccia’ di navi da attaccare senza preoccuparsi nemmeno delle avverse condizioni atmosferiche che finora li avevano tenuti invece, a ‘bada’.
Per farlo i predoni del mare si sono dotati di ‘navi madri’ in grado di solcare tutti i tipi di mare e in qualsiasi condizione atmosferica.
In questo modo i pirati somali saranno sempre una minaccia per la navigazione in quanto ancora in grado di catturare e dirottare un certo numero di navi.
Non saranno le decine di navi catturate in una settimana dei tempi d’oro, ma abbastanza per riempiere le loro casse con i soldi provenienti dai riscatti e rendere l’area interessata dal fenomeno insicura.
Quindi se a qualcuno era venuto in mente, anche solo per un momento, di pensare che la lotta alla pirateria marittima nel mare del Corno D’Africa era vinta, si è sbagliato di grosso.
Come si sbagliava chi pensava che il maltempo in atto nel bacino somalo avrebbe ridotto se non impedito ogni attività pirata.
Una convinzione questa che si basava sul fatto che finora, durante la stagione dei monsoni invernali, gli attacchi dei pirati somali al largo della Somalia si sono sempre ridotti per il maltempo e i predoni del mare sono stati costretti sempre ad una sorta di migrazione stagionale.
Le aree di azione dei pirati somali sono in genere le acque settentrionali, orientali e meridionali della Somalia. Aree che comprendono il Golfo di Aden e il Mar Rosso.
Con i Monsoni che impazzano con mare forza 7 e con onde alte anche 5 metri e più, essi hanno in genere attaccato le navi in acque più calme.
Gli attacchi hanno quindi, interessato soprattutto aree lontane come al largo del Kenya, della Tanzania, delle Seychelles, del Madagascar, del canale di Mozambico e nell'Oceano Indiano e mare Arabico, al largo dell’ Oman e della costa occidentale dell’India e delle Maldive.
Di recente la NATO ha però, lanciato un ‘Warning’ in cui invitava i comandanti delle navi alla massima attenzione indicando proprio le acque del bacino somalo come a rischio in quanto si era registrata un’alta attività pirata.
Come sempre, in questi casi, l’unica difesa valida è approntare misure protettive e in particolare occorre usare prudenza quando ci si addentra nelle acque infestate dalle gang del mare. A volte può fare la differenza anche saper agire in tempo prima di essere avvicinati dai barchini pirati ed impedire in qualche modo di essere attaccati.
I banditi del mare hanno come unico loro obiettivo catturare la nave, l'equipaggio e il carico intatti per poi, dirottarla verso i loro porti-covi situati lungo i 345 km della costa del Puntland, regione semiautonoma del Nord est della Somalia. Di fatto una moderna Tortuga.
Da qui poi, i pirati somali chiedono un riscatto in cambio del rilascio di nave e uomini e sono disposti ad attendere anche dei mesi pur di incassarlo. In questi mesi la trattativa viene affidata a dei negoziatori.
I pirati somali finora hanno sempre dimostrato di conoscere il valore della nave, del carico e la situazione finanziaria dell’armatore.
L’importo del riscatto è stato quindi, sempre quantificato in base a questi elementi. Questo almeno finora in quanto sembra che ora invece, i pirati somali, vedendosi ridurre la loro capacità di dirottare una nave, hanno iniziato a chiedere, in cambio del rilascio della nave e dei marittimi catturati, riscatti più elevati questo, a prescindere dagli elementi base elencati prima. Tutto questo nel chiaro intendo di ottenere il massimo realizzo dalle poche navi che riescono ancora a catturare.
Nel frattempo, il calvario dei marittimi ostaggi è indescrivibile. Essi devono sopportare ogni forma di abuso da parte dei loro carcerieri che vanno dai maltrattamenti fisici ai psicologici, come bastonature e finte esecuzioni. Solo il 10 per cento di essi provengono da Paesi OCSE, gli altri da Paesi come India, Ghana, Sudan, Sri Lanka, Vietnam, Pakistan, Egitto, Corea del Sud, Cina, Sri Lanka, Russia, Filippine e Yemen.
Nei soli ultimi due anni i predoni del mare hanno preso in ostaggio oltre 2mila marittimi.
In mano ai pirati somali vi sono la MV ‘ICEBERG 1’ battente bandiera di Panama e catturata il 29 marzo del 2010 con 24 marittimi a bordo, la MV ‘OLIP G’ battente bandiera Malta e catturata l’8 settembre del 2010 con 18 marittimi a bordo, la MV ‘ALBEDO’ battente bandiera Malaysia e catturata il 25 novembre del 2010 con 23 marittimi a bordo, la MV ‘ORNA’ battente bandiera Panama e catturata il 20 dicembre del 2010 con 19 marittimi a bordo, la MV ‘FAIRCHEM Bogey’ battente bandiera Isole Marshall e catturata il 20 agosto del 2011 con 21 marittimi a bordo e la MV ‘VELVET LIQUIDO’ battente bandiera Isole Marshall e catturata il 30 ottobre del 2011 con 22 marittimi a bordo.
Ad esse da ieri si è ora aggiunta anche la MV 'ENRICO IEVOLI' battente bandiera italiana con 18 marittimi a bordo, 6 italiani, i 5 ucraini e 7 indiani.
Inoltre, sono trattenute dalle gang del mare anche diverse barche da pesca con un centinaio di pescatori tra cui dei minori, mozzi a bordo di questi pescherecci.
Un fatto allarmante è poi, la condizione di circa 50 altri ostaggi, tra cui una donna sudafricana, che sono trattenuti a terra o su altre navi catturate. Si tratta dei membri dell'equipaggio della MT ‘ASFALTO VENTURE’, della MV ‘ORNA’, dello SY ‘CHOIZIL’, della MV ‘LEOPARD’, del FV’ PRANTALAY 12’, del FV ‘SHIUH FU n. 1’ e della MV ‘GEMINI’.
A terra, il livello di rischio e di disagio per gli ostaggi è superiore. Spesso, gli ostaggi sono tenuti in condizioni di base, ossia senza elettricità, senza servizi e cibo e acqua razionati. Poi, per evitarne il rilevamento, i pirati spostano spesso gli ostaggi aumentando per loro lo stress e la tensione.
Anche se avvenuto dopo oltre 10 mesi, il recente rilascio dei marittimi di un’altra nave italiana la petroliera ‘SAVINA CAYLYN’ ha fatto tornare a sperare per questi altri marittimi ancora prigionieri in Somalia.
La vicenda della petroliera italiana ha dimostrato a tutti, ancora una volta, che nonostante quello che possa accadere, se le trattative sono condotte con capacità e si decide di pagare senza tergiversare ulteriormente, si riesce a riportare a casa sani e salvi i lavoratori del mare trattenuti in ostaggio dai pirati somali. E’ risaputo che questi ultimi non chiedono altro che ‘money’ per lasciarli tornare a casa dai loro cari e che nessuno è mai tornato libero se prima non è stato pagato un riscatto. Lo sanno i pirati, lo sanno gli ostaggi e lo sanno anche i pesci per cui è inutile continuarci a prendere in giro.
Il problema non è se pagare o meno i riscatti, ma che la pirateria somala di certo non scomparirà in un futuro prossimo a meno che non interverranno alcuni cambiamenti radicali. Anzitutto la comunità internazionale deve intervenire alla radice della causa che è stata individuata nell'instabilità che regna in Somalia dal 1991 e poi procedere per stadi.
Incoraggiati soprattutto dalla mancanza di un'autorità locale, militare e politica, efficace i predoni del mare, che operano principalmente nel Golfo di Aden e Oceano Indiano, per oltre un decennio sono stati sempre più audaci fino a raggiungere gli attuali livelli di minaccia.
Per i 18 membri dell’equipaggio della MV 'ENRICO IEVOLI' è iniziata l’esperienza della prigionia in Somalia. Finora, alla meno peggio, l’hanno superata in tanti. Dei 6 marittimi italiani si sa che sono tutti siciliani. Il comandante della nave è di Mascali nel catanese, Agostino Musumeci, e il cuoco di bordo è di Pozzalo in provincia di Ragusa, Carmelo Sortino, mentre degli altri marittimi si conosce solo che provengono da Mazara del Vallo, Trapani, e Marsala. Insieme ai loro compagni di lavoro ucraini e indiani non gli resta che confidare sul loro armatore. La nave è di proprietà di una società armatrice italiana campana. Si tratta della ‘Marnavi Spa’ società di trasporti marittimi internazionali con sede in via S. Brigida a Napoli. La Marnavi è una società di navigazione specializzata in trasporti chimici e alimentari.
La nave italiana sembra che ora sia alla fonda al largo del covo pirata di Harardheere.
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