Nel corso di questi circa 6 anni in più occasioni si è parlato della vicenda. L’ultima volta nel novembre 2010 quando il prof Marcello Chiarotti, consulente nominato dal pm Palamara, consegnò la perizia tossicologica dei due cooperanti romani.
Una perizia che di fatto, nella sostanza indica che la morte dei due giovani venne provocata.
Un atto di cui i responsabili finora però, non sono stati ancora identificate, anche perché forse non sono stati cercati.
La perizia del prof Chiarotti, una volta e per sempre, aveva inficiato la possibilità, se c’è ne fosse ancora stato bisogno, che i due ragazzi fossero degli eroinomani. Il prof Chiarotti infatti, nella sua relazione indicava che non era possibile affermare che i due giovani si fossero iniettati la droga spontaneamente e quindi lasciava spazio all’ipotesi che l’assunzione di eroina fosse stata forzata da qualcuno.
Il perito rivelava anche che la sostanza stupefacente sia stata iniettata in vena ai due giovani non più di due ore prima del decesso e ne indicava la percentuale che era superiore del 10 per cento a quella normalmente in vendita.
Si trattava quindi di eroina pura al 89 per cento. Una percentuale ‘letalissima’ di cui chiunque si droga ne ha conoscenza.
Spazzato via ogni dubbio a questo punto viene spontaneo chiedersi, perché sono stati uccisi?
Fin dall’inizio le famiglie dei due giovani hanno sempre cercato di tenere viva l’attenzione sul caso. Un atteggiamento, quest'ultimo, legato alla convinzione che i due fossero stati uccisi e non morti per overdose come l’autopsia aveva evidenziato. E’ convinzione di molti che i due erano venuti a conoscenza di un possibile traffico di fatture false tra agenzie ONU operanti in Afghanistan. Iannelli era infatti, impiegato come responsabile della logistica presso l’International Development Law Organization, Idlo. Si tratta di un organizzazione dell’ONU che si occupa di sviluppare i sistemi giudiziari nei Paesi del terzo mondo.
La vicenda richiama alla mente quella di Ilaria Alpi, giornalista Rai e inviata tg3, che insieme all’operatore Miran Hrovatin vennero uccisi in circostanze mai chiarite nel 1994 in Somalia. La loro condanna a morte venne emessa forse perché avevano scoperto un grosso traffico di armi e rifiuti tossici.
Andando a ritroso nel tempo si giunge fino al quel lontano mese di febbraio del 2006 e ci si ritrova nella capitale afghana Kabul. Sono i primi anni dell’intervento internazionale per aiutare il Paese asiatico messo in ginocchio dal regime dei Talebani e martoriato da una guerra che ancora oggi si combatte. Un fiume di aiuti, anche economici, vi giungevano da ogni parte del mondo, Italia compresa.
Si parla di circa mezzo miliardo di euro versati allora, solo dalla Farnesina. Fondi destinati soprattutto alla ricostruzione, ma anche a programmi e progetti.
Uno di questi era il ‘progetto giustizia’ per la ricostruzione del sistema giudiziario afghano di cui l’Italia era uno dei principali Paesi donatori. Un progetto costato almeno 30 mln di dollari. Poter gestire questi fondi diventò un affare d’oro. Per i progetti vengono contattate Ong nazionali e internazionali, che a loro volta ne contattano altre. In genere ne vengono coinvolte tre o quattro e nel passaggio da un intermediario ad un altro avviene una ‘scrematura’ dei fondi. Una stima dell’istituto di ricerca ‘CorpWatch’ rivala che ogni passaggio comporta una ‘trattenuta’ variabile tra il 6 e il 20 per cento della somma disponibile. Una dimostrazione questa, che la solidarietà è ormai diventata un business. Ovviamente per pochi eletti. In Afghanistan poi, è il luogo dove più si sono registrati gli sprechi e gli ammanchi.
Ed è in questo contesto che entrano in scena i due cooperanti italiani.
Fin dalle prime battute la vicenda si tinse di giallo circondata da un alone di mistero e strane concomitanze.
La cronaca del tempo racconta: La morte di Siringo e Iannelli viene scoperta la mattina del 16 febbraio 2006, ed è a quella data che ufficialmente si è fatta risalire la loro morte. Per molti però, la morte potrebbe risalire al 15 febbraio 2006, tra le 20,15 e le 21,33.
Stefano e Iendi erano due ragazzi di Roma e si erano trovati a Kabul ed erano diventati subito dei buoni amici. Stefano era esile, mentre Iendi era invece, alto e forte, era un ex giocatore di rugby. Il primo era un impiegato del ministero degli Esteri presso l’ufficio italiano giustizia e si trovava nel Paese asiatico da circa un anno, mentre l’altro era a Kabul da circa 5 mesi, e lavorava presso l’Organizzazione internazionale di diritto per lo sviluppo, Idlo. Iendi era contabile e si occupava del settore logistico. Vennero ritrovati entrambi morti nella camera che Iannelli aveva in uso presso la Guesthouse dell’Idlo. I due erano morti per avvelenamento. I corpi ne mostravano tutti i sintomi fisici, mentre non mostravano segni di violenza. Questa circostanza, fin dall’inizio, fece escludere una morte violenta.
La prima ipotesi, per spiegare il doppio decesso, fu che la morte era sopravvenuta per esalazioni da monossido di carbonio fuoriuscite da una stufa a gas. Ipotesi che venne poi, scartata in quanto la stufa nella stanza era elettrica. I medici dell’ospedale di Kabul però, confermarono la morte per avvelenamento, ma senza specificarne le cause.
A questo punto si fece strada l’ipotesi della droga. Alla fine risulterà proprio che entrambi sono stati stroncati da una dose letale di eroina. Una conclusione a cui si era giunti per il fatto che i due avevano nel loro sangue eroina. Questo venne affermato nonostante tutti siano stati concordi nel ribadire che essi non facessero uso di droghe.
La versione ufficiale della morte non ha mai infatti, convinto nessuno, specie chi li conosceva bene, anche perchè non trovò mai riscontri validi.
Per quanto riguarda il luogo del ritrovamento dei corpi. Quando giunsero i soccorsi, la stanza si presentò loro talmente perfetta, al punto da sembrare una scena costruita ad hoc.
Dopo aver abbattuto la porta della stanza, la chiave non venne trovata o almeno non subito e, stranamente venne trovata al di fuori della stanza stessa, i soccorritori trovano i corpi di Stefano e Iendi distesi in maniera ordinata sul letto con la testa sul cuscino. I due cadaveri, entrambi vestiti, si trovavano in una posizione quasi innaturale, come se li avessero adagiati. Nella stanza vi erano gli oggetti personali, come cellulari, computer, sigarette, sembrava tutto in ordine. Quelle che invece, era fuori dall’ordinarietà le evidenti tracce di eroina, sparse per tutta la stanza. Questo, come a voler fa ‘credere’ che in quel luogo vi fosse un uso continuo di stupefacenti. Un fatto questo, però, poco plausibile in quanto le stanze del Guesthouse, che ospitano i cooperanti, oltre ad essere praticamente accessibili a tutti, non sono mai chiuse a chiave. Sono accessibili soprattutto per il personale delle pulizie che provvedono quotidianamente a tenerle in ordine. Un fatto questo che non giustificava la presenza di tracce di eroina in giro per la stanza come se vi fosse lì lasciate nel tempo.
Inoltre, analizzando il Pc di Iendi non vi venne trovata alcuna traccia di attività, come se non fosse mai stato usato nei mesi che il giovane aveva lavorato per la Idlo nel Paese asiatico. Cosa questa del tutto impossibile e quindi sospetta. Manomesso?
Una prima autopsia effettuata sui loro corpi, eseguita a Roma, confermò che il decesso era avvenuto per un’overdose. I due presentavano una sola puntura da siringa sul braccio. Cosa questa, impossibile per un drogato che ne presenta diverse. Inoltre, l’autopsia eseguita sui cadaveri condusse alla scoperta di un altro buco sospetto, provocato da una ago. Un buco che per entrambi era sull’inguine e da cui potrebbe essere stata proprio iniettata da qualcuno la droga. Inoltre, i valori chimici rinvenuti nel sangue dei due ragazzi non indicava un uso abituale di droghe.
Dati quindi che confermerebbe la tesi sostenuta finora da chi li conosceva bene ossia che non erano dei tossici.
Per il fatto che Stefano e Iendi avevano dei fisici notevolmente differenti, la loro reazione ad un’iniezione letale di eroina sarebbe dovuta essere stata differente. Nel senso che almeno Iendi, avrebbe potuto resistere di più all’effetto della micidiale dose e quindi forse avere il tempo di dare l’allarme o per lo meno muoversi, scuotersi cosa, che da come sono stati ritrovati i corpi, così non sembra essere stato.
Fatto ancora più strano. I corpi dei due cooperanti sembra siano stati cremati dopo il loro arrivo in Italia e questo contrariamente alla volontà delle famiglie. Perché?
Il motivo potrebbe essere facile pensare quale sia.
Tantissimi dunque i misteri e i dubbi che ruotano intorno a questa intricata vicenda e a cui finora non si è riuscito a dare una spiegazione plausibile.
A cercare di fare chiarezza in merito è l’interrogazioni a risposta scritta presentata alla Camera nella seduta n. 376 del 30/9/2010 a firma degli On Antonio Rugghia e Francesco Tempestini del Pd. La risposta scritta all’interrogazione è giunta il 3 novembre 2010 a firma dell’allora sottosegretario agli esteri, Alfredo Mantica.
Ancora una volta non è stata fatta però, chiarezza anzi si è cercato di minimizzare l’accaduto. Eppure si legge nell’interrogazione che: “Marcello Rossano, collega e amico di Iannelli, ha dichiarato ai Carabinieri del nucleo investigativo di Roma che il responsabile del progetto Idlo a Kabul, all’epoca dei fatti, gli aveva riferito che Iannelli, pochi giorni prima del decesso, gli aveva confidato l’esistenza di false fatturazioni tra organizzazioni ONU: la Idlo e la Unops, United Nations Office for Project Services, quest’ultima si occupa di fornire servizi e offrire assistenza alle Nazioni per la realizzazione di progetti di sviluppo; sempre Rossano aveva riferito che a seguito di un controllo di bilancio, eseguito unitamente al successore di Iannelli, emersero doppie o false fatturazioni per un valore di circa 1,5 milioni di dollari. Tali circostanze sarebbero state confermate da Samuel Gonzales, un magistrato messicano anche lui a Kabul nel 2006 impegnato nel progetto dell’Idlo”.
Finora la Idlo non ha mai collaborato alle indagini e si è sempre appellata all’immunità diplomatica rifiutandosi di fatto di mostrare i bilanci sospetti alla magistratura.
Se si è in buona fede, perché assumere un simile atteggiamento?
Alla fine una sola cosa è certa. Questa tragica vicenda non deve essere dimenticata e si deve fare in modo di arrivare alla verità anche se inconfessabile.
1 commento:
Gentile sig. Pelliccia, la ringrazio per aver dato risalto ad una notizia così importante specialmente in un periodo in cui in Italia la magistratura è da molti delegittimata.
Ho molto apprezzato il suo articolo che riporta con esattezza le tante incongruenze che per anni il Pubblico Ministero ha voluto minimizzare se non addirittura nascondere.
Mi preme però precisare che in questi interminabili 2.113 giorni solo mio padre ed io abbiamo condotto una lotta, mi creda davvero dura e piena di difficoltà, perché la Verità fosse finalmente ammessa.
Solo noi come famiglia di Stefano infatti ci siamo opposti per ben due volte alle richieste di archiviazione come morte in conseguenza di altro reato presentate dal P.M. Luca Palamara.
Solo noi, con l’unico sostegno del nostro avvocato, abbiamo seguito giorno dopo giorno la lentissima evoluzione di questa vicenda.
Solo abbiamo assistito alle udienze e siamo intervenuti tramite il nostro avvocato Luciano Tonietti.
Mi creda, è davvero importante che questo sia chiaro a tutti, ognuno ha il suo modo di elaborare il dolore di una perdita così grave ma è giusto ricordare che UNA SOLA famiglia ha collaborato con le autorità e difeso con le unghie e con i denti la Verità che era già evidente dai primi giorni.
La ringrazio se vorrà tenere conto di questa mia.
Cordiali saluti
Barbara Siringo
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