Se si riflette si nota che, il fenomeno della pirateria marittima nel bacino somalo ha avuto la sua impennata iniziale nel 2005. Ebbene in quell’anno, a Natale, ci fu lo Tsunami. Un onda anomala che spinse sulla costa orientale dell'Africa tonnellate di rifiuti radioattivi e sostanze chimiche tossiche che fino ad allora erano rimaste sul fondo del mare al largo della Somalia. Poi, la situazione cominciò a riscaldarsi sempre di più nel 2006. In quell’anno ci fu la denuncia alle Nazioni Unite dei pescatori somali che si lamentavano delle flotte da pesca straniere che saccheggiavano sempre di più il loro mare. L’ONU decise di non decidere. Mentre, le compagnie di pesca straniere cominciarono a reclutare miliziani per combattere i pescatori somali che cercavano sempre di più di difendere da soli il loro mare. Ne è nato uno scontro che ha visto i pescatori prevalere. Tanto è vero che le flotte da pesca provenienti da Francia, Spagna, Giappone, Russia, Corea del Sud, India, Italia e altri Paesi si sono viste costrette a dover andare a pescare altrove. Stranamente nel 2008 la comunità internazionale però, si è accorta del fenomeno. Denunciando che stava fortemente danneggiando, curiosamente, l’economia, ma non quella somala, quella mondiale. Denunciando anche che il fenomeno minacciava una delle rotte più importanti al mondo.
Si tratta di quella che collega l’Asia all’Europa e attraverso cui passa la maggior parte dell’approvvigionamento energetico per l’occidente. Di conseguenza era diventato anche un rischio enorme per i marittimi che lavorano a bordo dei mercantili che transitano lungo questa rotta. Fino ad allora qualche marittimo era caduto nelle mani dei predoni del mare che li avevano usati come ostaggi per chiedere un riscatto in cambio del loro rilascio. Per lo più si trattava dei membri di equipaggio di pescherecci stranieri catturati nel mare della Somalia. Infatti, analizzando il fenomeno si nota che nessuna nave somala è stata mai arrembata dai pirati. A mobilitarsi, per combattere i nuovi filibustieri del mare, gli stessi Paesi che non si sono mai preoccupati di soccorrere i somali e nemmeno di proteggere le coste somale dalla depredazione e distruzione. Paesi che però, hanno assunto una dura posizione contro la pirateria marittima somala. Negli ultimi tre anni la pirateria somala è stata dichiarata la più grande minaccia regionale del Corno D’Africa addirittura l’ONU, a cui i somali si erano appellati, l’ha dichiarata un’attività criminale da combattere. Nascondendo però, all’opinione pubblica mondiale tante verità inconfessabili. Poi, per accentuare il pericolo è stato fatto passare il messaggio che i pirati somali sono dei feroci banditi. Addirittura si è cercato di associarli ai terroristi islamici. Alla fine hanno ottenuto che le gesta di poco più di un migliaio di pirati somali, alle orecchie dell’opinione pubblica mondiale, fanno più ‘rumore’ delle stragi di centinaia di civili, in tante parti del mondo, e della pietosa situazione delle centinaia di migliaia di rifugiati e profughi in Somalia e in altre parti del continente africano.
Dal 2008 la comunità internazionale, USA in testa appoggiata dall’ONU, finalmente si è mobilitata. Una mobilitazione però, contro chi rivendicava i suoi diritti, contro chi, per anni, chiedeva la restituzione di un mare e delle sue ricchezze, contro chi si è visto costretto ad agire da solo e con propri mezzi per sopravvivere. Nel ‘mare dei pirati’ sono state inviate decine di navi da guerra come forza di contrasto al fenomeno. Navi appartenenti ad almeno 25 diversi Paesi. Un contrasto che comporta, per la comunità internazionale, un costo pari a diversi miliardi di dollari annui. Mentre nelle casse dei pirati somali nel 2008 sono entrati poco più che 50 mln di dollari, nel 2009 quasi 100 mln di dollari, nel 2010 oltre 100 mln di dollari e nel 2011 è previsto che saranno quasi 200 mln di dollari. Appare evidente quanto il rapporto tra spesa per contrastare fenomeno e costo del fenomeno stesso sia impari e penda dal lato della spesa. Cosa del tutto negativa anche in virtù della crisi economica incombente. Eppure nonostante si agisca in perdita si continua, come mai? Viene spontaneo chiedersi anche perchè se il costo del fenomeno è così irrisorio si tergiversa a pagare evitando tante sofferenze? Ufficialmente molti Paesi come l'Italia hanno scelto di affrontare l'emergenza pirateria marittima con i metodi della trattativa diplomatica senza specificare quali e con chi. Però, non è mai successo che i pirati somali abbiano rilasciato una nave senza ottenerne in cambio il pagamento di un riscatto. Per cui c’è una doppiezza nel modo di affrontare il fenomeno. Inoltre, i Paesi che lo combattono, in un modo o in un altro, sono legati a quelle che ormai sono state individuate come le cause della nascita del fenomeno della pirateria marittima nel mare del Corno d’Africa. Ancora più stranamente questo forte impegno, economico e militare, non è però, riuscito a debellare il fenomeno, ma solo a tamponarlo. I predoni del mare continuano la loro attività trasformatasi anche in una sorta di quotidiana sfida a quelle potenze navali militari mondiali che pattugliano il ‘mare dei pirati’. Addirittura i pirati somali hanno allargato il loro raggio d'azione. Di contro però, poco più di un centinaio di pirati sono finiti in galera. Gli stessi Paesi che li combattono stranamente non sono poi, disposti a processarli e detenerli nelle proprie carceri. Questo ha favorito una sorta di scollamento tra contrasto al fenomeno e sanzione dei responsabili. Il problema di fondo che ne nasce è che non punendo i predoni catturati, ma rilasciandoli, come spesso accade, si finisce per ritrovarseli di nuovo di fronte e quei pochi che soccombono o vengono condannati vengono presto sostituiti da altri. In questo modo il fenomeno non sarà mai debellato anzi, negli ultimi tempi si è registrato anche un aumento della violenza e sempre più spesso al ricorso all’uso delle armi dall’una e dall’altra parte.
Inoltre, mentre la pirateria marittima è lentamente cresciuta perdendo la sua identità, ma non la sua origine, continuano la pesca di frodo e lo scarico di rifiuti tossici nel mare della Somalia. Ancora oggi infatti, coloro i quali denunciavano queste illegalità continuano a farlo. Purtroppo nemmeno ora nessuno li ascolta e tantomeno interviene. Non lo fanno nemmeno le navi da guerra, che si trovano nel mare del Corno D’Africa per contrastare i pirati. Nascondono il loro non intervenire dietro al fatto che non hanno un mandato per operare. Ironia della sorte però, gran parte dei rifiuti e dei pescatori di frodo provengono proprio da molti dei Paesi che oggi partecipano alla coalizione navale internazionale di contrasto ai pirati somali. Di fronte a tutto ciò è impensabile che il fenomeno sarà mai debellato se non sarà affrontato in maniera sana e corretta.
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