Nel frattempo le autorità sudanesi hanno identificato il luogo dove sono tenuti in ostaggio gli operatori di M

Secondo quanto pubblicato dal giornale arabo 'al-Hayat', che cita fonti locali, i rapitori fanno parte di un gruppo armato delle tribù arabe del Sudan.
Anche se, nei giorni scorsi, lo stesso Siddiq, si era impegnato a garantire l'incolumità degli operatori umanitari in Darfur e in tutto il Paese. Oggi in una nota del ministero, si legge, "avevamo avvertito la comunità internazionale circa le gravi ripercussioni che avrebbe potuto arrecare, sulla situazione umanitaria in Darfur, la decisione dell'Alta Corte Penale Internazionale". Parole che suonano come un chiaro monito. Anche se il direttore di protocollo del ministero degli Esteri sudanese, Ali Yusef, aveva definito 'banditi' i responsabili del rapimento, condannandolo.
D'Ascanio, il medico italiano rapito in Darfur, era alla sua prima missione all'estero. Svolgeva funzioni di responsabile, per conto di Msf, dell'ospedale a Serif Umra. Il medico era in Darfur da circa 6 mesi. Questo sono le scarne notizie finora diffuse dalla Farnesina, dal momento che il ministro degli Esteri Franco Frattini è stato categorico: “non dare comunicazioni ai media”. Una decisione presa in considerazione della delicatezza della situazione e dalla indispensabile discrezione da mantenere in questi casi, ha spiegato il capo della diplomazia italiana.
Intanto lo scorso giovedì il governatore del Nord Darfur, dove è avvenuto il sequestro, Osman Mohammed Yusef Kabir, ha reso noto che i sequestratori si sono fatti vivi chiedendo un riscatto. Secondo le prime informazioni, uno dei due locali, che erano con i rapiti, è stato rilasciato, mentre l'altro rimane nelle mani del gruppo insieme ai 3 operatori internazionali. All'ostaggio liberato è stata consegnata una lettera in cui era contenuta la richiesta di riscatto. I rapitori chiedono in cambio del rilascio degli ostaggi, oltre a un riscatto di 1 milione di dollari, il ritiro del mandato d'arresto emesso contro il presidente sudanese Omar el Bashir il 4 marzo scorso dal Tpi per crimini di guerra e contro l'umanità in Darfur.. Il procuratore capo dello stesso tribunale, Louis Moreno Ocampo, che ha chiesto ed ottenuto l'incriminazione di el Bashir, insiste nel volerlo far incriminare anche per genocidio. Ocampo ha infatti ricorso in appello contro la decisione del Tribunale dell'Aja di escludere l'incriminazione per genocidio dal mandato d'arresto spiccato contro il presidente sudanese. Il ricorso, sembra sia stato presentato il 10 marzo scorso. Il giudice basa la sua accusa facendo riferimento alla convenzione dell'Onu sulla prevenzione e la punizione di crimini di genocidio, sottolineando che genocidio può essere il costringere un determinato gruppo di persone a certe condizioni di vita con l'obiettivo di uccidere l'intero o gran parte del gruppo. Secondo il procuratore è in questo modo che sta agendo il governo sudanese. Utilizzando come 'armi di genocidio' le milizie arabe dei Janjaweed, diavoli a cavallo, che in Darfur hanno commesso uccisioni e stupri di massa e hanno costretto centinaia di migliaia di persone alla fame stipati nei campi profughi, provocando la loro morte dopo una lenta agonia. Si stima che in ogni campo, allestiti per ospitare 25mila persone,vi siano almeno 60mila profughi. La guerra in Darfur, secondo l'Onu, ha provocato finora 300 mila morti e 2,7 milioni di profughi. Per Khartoum, invece, le vittime sono solo 10mila, negando di fatto che la regione ormai si è trasformata in un enorme fossa comune.
Nel frattempo oggi si è appreso che Msf-Belgio ritirerà tutti i suoi uomini impegnati in Darfur. Ad averlo annunciato è stato lo stesso direttore generale della sezione, Christopher Stokes. Unica eccezione, ha spiegato Stokes, saranno 4 operatori internazionali che avranno il solo compito di seguire gli sviluppi del rapimento.
Nei giorni scorsi, dalla regione, si erano già ritirate le sezioni di Francia e Olanda, quella del Belgio insieme alla Svizzera e Spagna erano le ultime rimaste. Stokes ha comunque confermato di aver avuto contatti con i rapiti, sottolineando che stanno bene e vengono trattati bene.
Il governo sudanese di recente aveva invitato ben 13 organizzazioni umanitarie non governative, Ong, a lasciare il Paese. Secondo stime dell'Onu esse fornivano il 40 per cento degli aiuti umanitari destinati alle popolazioni colpite dalla guerra in Darfur. In particolare tra queste vi è Msf che è stata accusata dal governo di Khartoum di aver supportato in maniera significativa il Tribunale Penale Internazionale dell'Aja che ha emesso un mandato di arresto nei confronti del leader africano.
La scorsa Domenica il leader di Khartoum, aveva effettuato una visita nel Nord Darfur, in aperta sfida al Tpi, ed aveva lanciato una dura minacce alle Ong e ai diplomatici occidentali.
"L'ordine di espellere Msf dal Darfur è una drammatica svolta degli eventi senza precedenti, che avrà ripercussioni sulla popolazione della regione, gran parte della quale è totalmente dipendente dagli aiuti umanitari internazionali” aveva affermato Christophe Fournier, presidente internazionale di Msf.
Così è stato!
L'improvvisa interruzione dei programmi medici, inclusi gli interventi chirurgici, nutrizionali e di assistenza sanitaria di base, hanno in vaste zone del Darfur, avuto un impatto immediato e le conseguenze sono devastanti sulla popolazione ormai lasciata a se stessa. Probabilmente un altro modo per portare avanti lo sterminio in corso nella regione sudanese.
Msf, fondata dall'attuale ministro degli Esteri francese Bernard Kouchener, opera in Sudan dal 1979 e in Darfur dal 2003. La Ong sembra tra le più 'perseguitate' nel Paese africano forse anche perchè è tra le più attive. Dopo l'espulsione decretata da el Bashir i suoi operatori avevano dovuto abbandonare 5 aree del Darfur meridionale e occidentale, tra cui Feina nel Jebel Mara; Kalma, Muhajariya, Niertiti e Zalingei. Mentre erano rimasti operativi i gruppi ad Killin Golo e nel nord della regione a Kebkabiya, Kaguro, Serif Umra, Shangil Tobaya e Tawila.
Prima delle espulsioni erano operativi in Darfur oltre 100 operatori umanitari internazionali con cui collaboravano 1.625 volontari locali che garantivano l'assistenza a 500mila persone. Dopo, invece, il numero degli operatori è stato drasticamente ridotto fino all'annuncio del ritiro totale.
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