

Una protesta, quella in atto, capeggiata dalle associazioni degli avvocati che è nata dopo la richiesta, disattesa, a Zardari di reintegrare al loro posto i magistrati esautorati dopo la proclamazione dello stato di emergenza nel novembre del 2007 dall'allora presidente Pervez Musharraf. I giudici furono rimossi da Musharraf perchè non si pronunciassero contro la possibilità di una sua rielezione a presidente. Soprattutto essi chiedono il ritorno al suo ruolo del potente capo della Corte Suprema, il giudice Iftikhar Mohammed Chaudhry, nemico giurato dell'ex presidente pachistano. A dar mano forte agli avvocati, dando un tono anche politico alla protesta, è accorso anche il partito all'opposizione la Lega Musulmana-N, Plm-N, dell'ex premier Nawaz Sharif, a cui l'attuale Corte Suprema in carica impose, per ordine di Musharraf, il divieto di candidarsi a future elezioni. I tentennamento di Zardari è dovuto al fatto che egli teme che i magistrati una volta reintegrati possano abrogare l'amnistia che gli è stata concessa da Musharraf e che di fatto lo ha liberato da numerose accuse per corruzione. Pertanto in Pakistan sono in molti a credere che il presidente abbia attuato una diabolica macchinazione contro Sharif, primo per garantirsi che il suo nemico, politico e personale, non possa diventare premier e poi per impedire il reinsediamento di una Corte che, di certo, non esiterebbe ad avviare contro di lui un procedimento d'impeachment per tutti i reati di corruzione di cui si è macchiato. Una scelta però, forse anche dettata dalla volontà di non volersi inimicare lo stesso Musharraf, il quale pare che controlli ancora il potente servizio segreto pachistano, Isi. L'unico organo statale, che per molti, è il vero artefice del fare e del disfare delle strategie politico-militari in Pakistan.
Di fronte al successo della protesta e alla crescente popolarità nel Paese di Sharif, nei giorni scorsi, il governo aveva cercato di moderare i toni e affidando la mediazione al ministro dell'Interno, Rahman Malik, aveva cercato la riconciliazione dicendosi non contrario alla marcia di protesta e di ritenere il dial

La lotta per il potere tra Zardari e Sharif, nella foto insieme, si è evoluta lentamente degenerando poi negli ultimi mesi. I due inizialmente si erano legati da un patto, uniti dall'intento comune di voler abbattere il 'regime' di Musharraf. Poi dopo l'assassinio dell'ex premier Benzair Bhutto e le dimissioni del generale, la visione delle cose, per i due, sono cambiate anche perchè sono venute fuori tutte le contraddizioni di un Paese che sperava di passare dalla dittatura militare alla democrazia e che invece è rimasto imbrigliato nelle sue follie e ambiguità. Nel frattempo oggi alcune personalità politiche legate al presidente Zardari, in segno di protesta per la linea dura scelta dal governo, hanno deciso di passare all'opposizione, andando ad ingrossare di fatto le fila dei manifestanti. Fra i dissidenti c'è il vice procuratore generale del Pakistan, Abdul Hai Gilani, l'ispettore generale della polizia del Punjab, Khalid Farouq e il Responsabile del coordinamento del distretto (Dco) di Lahore, Sajjad Bhutta.
Nella comunità internazionale c'è il timore che la linea dura scelta dal governo possa far precipitare la situazione nel Paese in maniera incontrollabile e che i terroristi possano approfittarne. Il Pakistan ha un ruolo fondamentale nella strategia Usa di stabilizzare l'Afghanistan e sconfiggere al Qaeda. Pertanto gli Usa, da parte loro, hanno sviluppato un'intensa attività diplomatica, preoccupati per la deriva che potrebbe intraprendere il Pakistan in caso di un eccessivo indebolimento dell'autorità di Zardari. L'inviato speciale del presidente Barack Obama per il Pakistan

Di fronte alla nuova fiammata della crisi pachistana, il comandante generale dell'esercito, il generale Ashfaq Parvez Kayani, che non nasconde la sua antipatia per il capo dello Stato e che la settimana scorsa gli ha ingiunto di ''agire o andarsene'', ha incontrato il premier Yusuf Raza Gilani per valutare la situazione. Kayani potrebbe favorire un atto di forza militare per consegnare il potere a Gilani, in un Paese che ha trascorso metà della sua esperienza post coloniale, dall'indipendenza del 1947, sotto i militari.
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