
Con la 'Secure Fence Act', era stato preventivato che l'attuazione del progetto si concludesse entro la fine del 2008 e aveva previsto il raddoppio dei 6mila agenti di frontiera in servizio all'epoca, numero che poi dove

Nel 2006, anno di rielezione per il Congresso, la riforma del sistema dell'immigrazione sembrava la priorità assoluta. Fu per questo che nel settembre di quell'anno, dopo essere stata approvata dal Congresso americano, successivamente questa discussa legge fu firmata e promulgata dal presidente degli Stati Uniti in carica George W. Bush. Una decisione che scatenò le ire del governo messicano che dichiarò le nuove disposizioni estreme. Intervenne anche il neo eletto presidente messicano Felipe Calderón che affermò: “L’umanità ha commesso un errore con il muro di Berlino. E gli Stati Uniti commettono lo stesso grande errore nell’erigere un muro tra i nostri due Paesi”.
In seguito, per molto tempo, non se ne è più parlato di questa normativa che era stata salutata da Bush come la soluzione che avrebbe protetto il popolo degli Stati Uniti e che avrebbe reso la frontiera meridionale degli States più sicura. Una convinzione, quella di Bush e non solo, che si basava sul fatto che nell’ultimo decennio l’immigrazione irregolare verso gli Usa era aumentata perché facilitata dal fatto che le autorità americane non erano riuscite a mantenere il controllo assoluto della frontiera con il Messico. Oggi però si sta cercando riattivare il discorso della costruzione del muro. Nel 2006 l'amministrazione americana cercava, con questa iniziativa, di condurre chi era fuori dalla legge su un percorso che lo portasse al riconoscimento della cittadinanza. Oggi invece cerca di evitare di perdere il controllo totale di un confine che appare sempre di più un colabrodo. Secondo le ultime stime risulta che negli States la presenza dei latinoamericani è di circa 12 milioni, metà dei quali in forma illegale. Nonostante siano in atto maggiori controlli e già sia stato costruito un primo muro lungo alcuni centinaia di chilometri, in un anno negli Usa sono stati comunque arrestati oltre 800mila clandestini, molti dei quali, una volta rispediti indietro ci riprovano ancora. In un rapporto di qualche anno fa, la 'Border Patrol' sosteneva di avere il controllo operativo solo di 449 miglia di confine, meno di un quarto del suo totale. Di fatto il confine oggi è una 'zona grigia' un punto di passaggio illegale per cose e persone. Purtroppo vi è anche la corruzione che olia gli ingranaggi del sistema e favorisce il passaggio di droga e uomini. E' stato calcolato che l'85 per cento della droga che entra negli Usa passa sotto il naso dei doganieri senza che essi se ne accorgano o fingano di non accorgersene. Il traffico commerciale che attraversa il confine è intenso, un camion ogni sette secondi, creando una intermin

In verità sullo sfondo della questione, dei pro e dei contro, ci sono da un lato le paure dell'America che si vede invasa da orde di immigrati messicani, tra cui si possono infiltrare terroristi stranieri e anche l'essere divenuta la meta finale della droga sudamericana. Però la popolazione americana è costituita da immigrati, per cui per molti, politici compresi, parlare di questa paura è tabù. Per tanto quelli che chiedono una frontiera più sicura incentrano le loro motivazioni sull'illegalità dei clandestini, non su gli immigrati.Dall'altro la presa di coscienza che ormai il Paese non può più andare avanti senza i 'latinos' che sono diventati per gli americani indispensabili. Oggi sono quelli che costruiscono le loro case, cucinano i loro pasti, puliscono i loro appartamenti, svolgono i lavori più umili nelle loro fabbriche.
Finché negli Usa avranno bisogno di questa manovalanza a basso costo, ci saranno sempre 'latinos' pronti alla fuga oltre confine perché una vita migliore è l'aspirazione di chiunque lasci il suo Paese. Una convinzione che suscita una nuova inquietudine negli americani, come ha fatto notare Samuel Huntington nel libro 'La Nuova America'. Il Paese per oltre 200 anni ha assorbito i nuovi arrivati ingombrandoli in un modello linguistico/culturale del tipo anglosassone. Oggi però gli americani vedono nei 'latinos' una forza crescente e che non si integra nel modello ma lo trasforma, portandolo al bilinguismo. A dar sostegno a tutto questo ci sono le cifre fornite da vari enti che dicono di quanto il numero degli ispanici negli Usa hanno superato gli afro-americani, diventando di fatto la prima minoranza etnica nel Paese. In un recente rapporto pubblicato da un'autorevole fonte americana veniva indicato il 2042 come l'anno in cui i bianchi non saranno più la maggioranza in America. Pertanto appare chiaro che si sta combattendo una battaglia già persa, in un Paese che ormai sembra indirizzato a cambiare pelle.
Inoltre l'annosa questione della lotta agli immigrati clandestini coinvolge direttamente e indirettamente i Paesi aderenti all'Organizzazione degli Stati Americani, l'Osa. Sono numerose e ripetute, infatti, le richieste provenienti dal Messico ma anche dagli altri 27 Paesi della regione che hanno presentato all’Osa, continue richieste di fermare quella che essi giudicano una misura unilaterale e contraria allo spirito di comprensione che deve invece caratterizzare l’approccio ai problemi comuni tra Paesi vicini. Questi Paesi, Messico in testa, hanno anche ribadito che: “La costruzione di muri non favorisce l’adeguata attenzione alla problematica migratoria né riconosce il contributo storico dei lavoratori migranti nei paesi di arrivo”.
La costruzione del muro all'origine sarebbe dovuta costare circa 2 milioni di dollari e terminare entro la fine del 2008. Sabotata però dai repubblicani più estremi, la riforma sull'immigrazione è saltata mentre la costruzione della 'border fence' è andata avanti ma molto a rilento sia per problemi economici sia tecnici. I problemi maggiori si sono incontrati soprattutto nel Texas, dove l'opposizione alla costruzione del muro è fortissima ed è sostenuta dalla popolazione al confine, soprattutto dai proprietari dei terreni che lo stato vuole espropriare e dalle amministrazioni locali che hanno fatto causa allo Stato.
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