sabato 18 aprile 2009

Nel mare del Corno d'Africa continuano gli arrembaggi e i sequestri di navi da parte dei pirati somali

Oggi nel Golfo di Aden è stata sequestrata un'altra nave. I pirati somali hanno colpito ancora. Questa volta la preda è stata una nave mercantile belga, la Pompei. La nave, il cui equipaggio è composto da 2 belgi, 1 olandese, 4 croati e 3 filippini, è lunga 65 metri e pesa 1.850 tonnellate e appartiene alla società 'De Nul', specializzata nel trasporto e la posa di massi per proteggere le pipeline. Dell'imbarcazione, dopo che era stato lanciato l''SOS', si erano perse le tracce e ogni tentativo di ritrovarla, da parte delle unità navali da guerra che operano nell'area, era stato inutile. Nel pomeriggio si è poi saputo che la nave era stata catturata dai pirati e che questi ora erano diretti verso il porto di Haradheere. Uno dei porti sulla costa somala che i nuovi filibustieri hanno trasformato in loro basi.
Alla stessa sorte era invece, scampata ieri la nave da carico danese, 'Puma', il cui equipaggio era riuscito a respingere l' arrembaggio dei pirati. I 7 membri dell'equipaggio, 3 ufficiali danesi e 4 marittimi filippini, infatti era riuscito ad avere la meglio sugli attaccanti utilizzando i razzi di bordo per segnalare l'emergenza in atto, allertando di fatto le forze navali internazionali dispiegate nel mare del Corno d'Africa a protezione delle rotte commerciali, e riuscendo a ritardare l'arrembaggio fino all'arrivo sul posto di un elicottero decollato da una delle navi da guerra che pattugliavano nelle vicinanze. Nelle stesse ore in cui veniva messo a segno un nuovo colpo da parte dei pirati somali, una fregata olandese, che opera nel mare della Somalia nell'ambito della missione Nato, catturava 7 di loro. Il gruppo aveva tentato l'arrembaggio ad una petroliera, la 'Handytankers Magic' di proprietà della società greca 'Roxana Shipping SA' battente bandiera delle Isole Marshall ch eperò aveva lanciato in tempo il segnale di soccorso. Una richiesta raccolta dalla fregata olandese che è accorsa immediatamente riuscendo a sventare il sequestro della nave greca e, inseguendo i pirati, lì ha raggiunti quando questi erano già sulla 'nave madre'. Il pattugliatore olandese a quel punto ha attaccato la nave pendendola senza incontrare resistenza. Un'azione che ha comportato anche la liberazione di 20 marinai che erano tenuti in ostaggio a bordo della 'nave madre' pirata. Tutti marinai yemeniti sequestrati nell'assalto alla nave cisterna greca avvenuto domenica scorsa.
La cattura di pirati, da parte dei pattugliatori della flotta internazionale, non è più una novità. Finora sono stati assicurati alla giustizia circa 300 pirati. In precedenza l'ultimo colpo messo a segno contro i pirati era stato quello della fregata francese, la 'Nivose', che lo scorso mercoledì aveva intercettato 11 pirati che tentavano di arrembare un mercantile battente bandiera liberiana in navigazione nelle acque a largo della Somalia. L'unione europea ha intanto comunicato di voler intensificare l'azione di contrasto avviata lo scorso dicembre contro i pirati al largo della Somalia e nel golfo di Aden. Il prossimo mese di maggio la missione europea anti-pirati 'Atalanta', che dovrebbe concludersi nel dicembre 2009, riceverà come rinforzo altre 5 navi: 3 svedesi, 1 norvegese e 1 olandese. Navi che si andranno a congiungersi con le altre 8 unità da guerra e i due aerei da ricognizione già dispiegati a pattugliare quell'area. Al gruppo si potrebbe aggiungere anche un'unità navale del Belgio portando di fatto la flotta europea a raggiungere il totale di 14 navi da guerra. La flotta targata Ue non è la sola ad essere stata dispiegata, a difesa delle navi mercantili, nel mare del Corno d'Africa. Sono molti i Paesi che hanno inviato loro unità navali da guerra per contrastare i pirati, alcune operano in maniera indipendente, come l'Italia in questo periodo e altre sono raggruppate sotto un'unica bandiera, quella della Nato. La decisione comunicata oggi dai due organismi internazionali arriva dopo che i pirati somali ormai sono in aperta sfida con le potenze navali mondiali presenti in chiave anti pirata al largo della Somalia e dopo che questi hanno allungato il loro raggio d'azione in profondità nell'Oceano Indiano.
Nel frattempo è giunta anche la conferma che gli Stati Uniti parteciperanno alla conferenza dei donatori sulla Somalia in programma il prossimo 23 aprile a Bruxelles. Per quella data infatti, l'Ue, e l'Onu hanno organizzato, a Bruxelles, una conferenza internazionale che intende affrontare il problema della pirateria dalle radici, analizzando la crisi politica del Paese e individuando delle azioni che vadano oltre l'invio di navi da guerra nell'Oceano Indiano. Con questa iniziativa la comunità internazionale auspica di raccogliere almeno 200 milioni di euro per rafforzare le forze di sicurezza nazionali e contrastare la guerriglia islamica e la pirateria. Di cui almeno 170 milioni di euro a sostegno della missione di pace dell'Unione africana e altri 24 milioni di euro per la forza di polizia somala, creata solo lo scorso anno.
Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Robert Wood, ha precisato che sarà il Sottosegretario per gli Affari africani, Philip Carter, a partecipare ai lavori, oltre a un funzionario dell'Agenzia per lo Sviluppo internazionale. Il vertice sarà presieduto dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, e vedrà la partecipazione del Rappresentante Ue per la politica estera Javier Solana, dei rappresentanti della Commissione europea, dei leader della Somalia, del capo dell'Organizzazione della conferenza islamica (Oic) Ekmeleddin Ihsanoglu, e del Segretario generale della Lega Araba Amr Moussa. Saranno presenti anche i comandanti della missione di peacekeeping dell'Unione africana in Somalia e i vertici della missione anti-pirateria Ue 'Atalanta'.
Al summit in programma la prossima settimana dovrebbe poi, seguire una nuova conferenza dei donatori dedicata alla ricostruzione della Somalia, volta a sostenere la rinascita delle istituzioni governative e a migliorare le condizioni di vita della popolazione. Il nuovo governo di unità insediatosi alla fine di gennaio ha avviato colloqui di pace con i diversi gruppi di guerriglieri che operano nel Paese.

venerdì 17 aprile 2009

Oggi al via il 'Summit of the Americas'. Il periodico vertice dei leader del continente americano a cui partecipa anche Obama dopo la tappa messicana

Oggi 17 e domani 18 aprile al via il 5° 'Summit of the Americas'. Il periodico vertice dei leader del continente americano. L'edizione 2009 sarà ospitata da Trinidad e Tobago. Al vertice parteciperà anche il presidente americano Barack Obama che ieri, nel recarsi a Trinidad e Tobago, ha compiuto una tappa in Messico. Per l'inquilino della Casa Bianca, dopo il viaggio in Europa, quella iniziata ieri è stata la sua prima visita in America Latina. Oggi c'è attesa per un gesto di apertura americano nei confronti di Cuba. Un attesa rafforzata dalla missione che nei giorni scorsi ha portato all'Avana alcuni membri del Congresso che hanno incontrato sia Raoul, sia lo stesso Fidel Castro. L'anziano leader cubano, ai deputati, è apparso carico di energie e disponibile. Il deputato della California Barbara Lee, ha riferito che la sua impressione è quella che Cuba è pronta al dialogo e ad accogliere positivamente aperture della nuova amministrazione americana. Obama ha già compiuto alcuni passi, in parallelo con il Congresso, per rimuovere una serie di vincoli ai viaggi dei cubani-americani verso il loro Paese d'origine e all'invio da parte loro di denaro ai familiari rimasti sull'isola. La certezza è che Cuba attende la fine dell'embargo decennale americano. Una fine dell'embargo che però incontra le resistenze soprattutto all'interno del partito di Obama, in particolare tra i membri del Congresso di origini cubane e anticastristi. Insieme alle attese sulla politica per Cuba, in molti si interrogano su quale sarà l'atteggiamento che Obama terrà nei riguardi del Venezuela, dopo anni di aperta ostilità tra Caracas e Washington. Obama e Chavez si incontrano per la prima volta e forse potrebbero arrivare anche ad una stretta di mano. Per ora però sembra ancora lontano un dialogo faccia a faccia tra i due. Ieri, in Messico, al centro dei colloqui sono stait posti, oltre alla questione del contenzioso commerciale e il nodo, sempre rovente, dell'immigrazione anche la lotta al narcotraffico, che è il tema chiave nelle relazioni bilaterali tra gli Usa e il Mexico. Il Presidente americano ha sottolineato anzitutto come gli Stati Uniti debbano ridurre la domanda di sostanze stupefacenti provenienti dal Messico e limitare il flusso di denaro e armi diretto a sud, riconoscendo che si tratta di una strada a doppio senso di marcia. Il capo dell'amministrazione americana ha affermato di voler colpire i narcos e lo spaccio di droga anche sul territorio americano fornendo anche una valida collaborazione ai vicini messicani. Sinora la dottrina di Washington, era stata sempre quella di considerare la questione narcos un problema locale, da combattere e risolvere esclusivamente sul territorio messicano. Obama ha spiegato più volte che ha intenzione di cambiare radicalmente l'approccio americano nei confronti del narcotraffico dei cartelli messicani. Per la prima volta l'America si riconosce parte del problema dando vita di fatto ad una svolta senza precedenti. Il via era stato dato dal segretario di stato Hillary Clinton,che per prima aveva ammesso le 'responsabilità' americane in fatto di narcotraffico e di droga. Tenendo fede al nuovo approccio con il Messico infatti, la venuta nel Paese latino americano dell'inquilino della Casa Bianca è stata preceduta nelle scorse settimane dai viaggi del segretario di stato Clinton, della responsabile della National Security, Janet Napolitano e del ministro della giustizia Eric Holder.
Un primo significativo segnale di questa svolta è arrivato dalla nomina del nuovo capo della sicurezza della frontiera. Si tratta di Alan Bersin che si farà carico delle scelte di Obama e le attuerà. Bersin in passato ha già ricoperto il ruolo di responsabile della frontiera ed è stato il promotore della 'Operación guardian', che portò alla costruzione di un muro tra gli Usa e il Messico. Una triplice barriera sormontata da luci ad alta intensità che fu innalzata sulla linea che separa Tijuana da San Diego. Un apparato che rese obiettivamente difficile l'attraversamento della frontiera portando molti emigranti a scegliere vie alternative e molto più rischiose. La questione migratoria è molto sentita da Obama. I messicani negli Stati Uniti superano i 10milioni, moltissimi dei quali sono clandestini. Definito dai media americani lo 'Zar de la frontera' Bersin va a completare il mosaico che Obama da tempo ha cominciato a comporre prima con l'annuncio dell'impiego di altre unità della polizia federale sulla zona, e poi con la promessa di controllare con maggiore severità il traffico di armi dagli Stati Uniti al Messico. Una serie di misure che il capo dell'Amministrazione americana ritiene necessarie per combattere i narcotrafficanti. Tra le tante ha deciso anche di contrastare 3 dei principali cartelli dei narcos messicani: il cartello di Sinaloa, quello di Los Zetas, e la Famiglia Michoacana. A tal scopo ha adottato una serie di sanzioni che di fatto consentiranno agli agenti federali di sequestrare beni di appartenenti ai gruppi e prevedono pene durissime per le aziende americane che fanno affari con i narcos messicani. Un'azione che di fatto ha portato i 3 cartelli ad essere inseriti nella lista, stilata dagli americani, dei cosiddetti 'Signori della droga' operanti all'estero. Seconde le stime rese note dal governo Usa i tre cartelli 'incassano' ogni anno tra i 19 e i 39 miliardi di dollari e lo scopo delle sanzioni è appunto bloccare questo flusso di denaro che non fa altro che finanziare altre loro attività illecite. Altro flusso che l'amministrazione americana si è imposta di arrestare è il rifornimenti di armi. Dal 2006 le autorità messicane hanno sequestrato oltre 35mila armi da fuoco ai narcos e di queste oltre il 90 per cento sono di provenienza americana. “Gli Stati Uniti e il Messico lavoreranno congiuntamente per frenare il traffico delle armi dagli Usa verso il paese latinoamericano”, questo è l'annuncio che ha fatto il presidente Usa nel corso di una conferenza stampa congiunta con il suo omologo messicano Felipe Calderon. Obama ha in particolare ricordato che chiederà al senato Usa di ratificare il trattato interamericano che prevede la limitazione delle armi di piccola dimensione, le quali molto spesso sono proprio quelle che vengono usate dai narcos. Nel ricordare il coraggio dimostrato da Calderon nella lotta ai narcotrafficanti avviata da questi nel gennaio 2007 con l'Operacion 'Mexico Seguro', Obama ha precisato che la responsabilità del fenomeno non è solo del Messico ma anche degli Usa. Il presidente messicano Calderon, nei mesi scorsi aveva puntato il dito denunciando che: “La guerra al narcotraffico al confine fra Messico e Stati Uniti è complicata dalla corruzione degli agenti e dei funzionari americani”. Calderon aveva poi anche ribadito che il 90 per cento delle armi usate dai narcos provengono dagli Stati Uniti. Lungo la frontiera sono circa 11mila i negozi di armi nelle città americane. Il capo dello Stato messicano finora ha inviato decine di migliaia di uomini lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti, 3mila lunghissimi chilometri, teatro di una guerra fra bande sanguinaria che nel 2007 ha ucciso oltre 10mila persone. Mentre sono stati 6mila i morti nel 2008, di cui 1.600 solo a Ciudad Juarez, un pueblo distante appena un miglio da El Paso in Texas. Il governo di città del Messico, nella sola Juarez, ha dispiegato 10.800 uomini fra poliziotti e soldati con compiti di pattugliamento in totale sono 40 mila, tra polizia federale e soldati, gli uomini impegnati nell'impresa di contrastare i narcos.
Le violenze causate dai narcotrafficanti messicani stanno ormai interessando anche gli stati americani e in particolare le città di confine e comincia a costituire una seria minaccia pari quasi al terrorismo. La guerra dei narcos in atto in Messico miete infatti più vittime. Proprio mentre Obama era con Calderon, nella provincia di Guerrero, si è registrato l'ennesimo episodio legato alla guerra ai narcos in Messico. Per delle ore, forze dell'esercito e della polizia si sono scontrate con un agguerrito gruppo di 30 narcotrafficanti dando vita ad una vera e propria battaglia. I narcos erano stati sorpresi mentre con delle auto trasportavano droga. Il bilancio dello scontro è stato piuttosto pesante quasi venti persone sono rimaste a terra tra cui diversi soldati.
Al centro dell'incontro tra Obama e il suo omologo Felipe Calderón c'è stata anche la questione economica e il tema dell'immigrazione dal sud e dal centro-America verso il Nord. gli Usa sono un partner commerciale di vitale importanza per il Messico, dato che è l'acquirente dell'80 per cento delle esportazioni del Paese latinoamericano, e la contrazione dei consumi generata dalla crisi rischia di avere conseguenze molto pesanti sull'economia messicana. Mentre le rimesse degli oltre 10milioni di messicani emigrati rappresentano la terza fonte di introiti per il Messico dietro il petrolio e il turismo. Nei confronti dei tanti clandestini sembra che Obama abbia intenzione di autorizzarne la legalizzazione di una buona parte entro la fine dell'anno, nonostante l'opposizione di parte del Congresso. Inoltre una particolare attenzione è stata dedicata alla lotta contro i cambiamenti climatici e allo sviluppo di forme di energia non inquinanti. Al centro del nuovo impegno tra i due Paesi ci saranno settori quali energia rinnovabile, efficienza energetica, meccanismi di mercati, sfruttamento delle foreste e della terra, lavoro ecologico, sviluppo di tecnologie con basso uso di energia dal carbone, strategie contro l'effetto serra.

mercoledì 15 aprile 2009

Tempi duri per i pirati somali dopo i primi arresti da parte delle unità navali della Task Force internazionale nel Golfo di Aden

Stamani 11 pirati sono stati arrestati dalla fregata della Marina militare francese 'Nivose' al largo di Mombasa in Kenya. L'arresto è stato compiuto da un'unità navale che opera nelle acque dell'Oceano Indiano nell'ambito della missione europea 'Atalanta'. La flotta navale dell’Unione Europea, Eunavfor, è giunta nel Corno d’Africa lo scorso mese di dicembre avvicendando di fatto la forza navale permanente Nato, Snmg2, presente in quelle acque dallo scorso mese di giugno. Nelle acque della Somalia negli ultimi mesi il pericolo è senza dubbio cresciuto ma in maniera proporzionale. Nel senso che chi deve temere sono sia gli uomini delle navi mercantili sia i pirati. I governi dei Paesi che possono essere coinvolti in un sequestro di un imbarcazione da parte dei moderni filibustieri sono ormai preparati ad ogni evenienza. I francesi in particolare, si sono già resi protagonisti di ben tre azione delle loro 'teste di cuoio', due lo scorso anno e la terza pochi giorni fa, per liberare gli equipaggi di altrettanti yacht francesi tenuti in ostaggio. Purtroppo ogni volta l'operazione diventa sempre più difficile in quanto i pirati imparano presto. Con l'avvento della nuova amministrazione Usa guidata da Barack Obama, è stata posta in essere la necessità di garantire la libertà di navigazione e la sicurezza marittima nell'Oceano Indiano e pertanto da parte americana è stata predisposta una strategia per fronteggiare gli attacchi dei pirati che prevede lo sviluppo della cooperazione multilaterale, lo sforzo per potenziare le autorità legali internazionali, la stretta collaborazione con le società di navigazione, il tentativo politico e diplomatico per ridare una maggiore sicurezza e stabilità alla Somalia. In base a tale strategia, da alcuni mesi, la marina statunitense ha allestito una sorta di Guantanamo galleggiante nelle acque del Golfo di Aden. Si tratta dell'unità navale Uss 'Lewis and Clark', normalmente adibita al trasporto di equipaggiamenti e come deposito munizioni. La nave da rifornimento ora invece, è stata trasformata per l'occasione in un supercarcere dove detenere temporaneamente coloro che saranno catturati perché sospettati di prendere parte ad atti di pirateria nelle acque somale. La nave militare, nella cui stiva sono state realizzate alcune celle, può ospitare fino a 26 prigionieri. Per consentirne il nuovo impiego, l’equipaggio della 'Lewis and Clark' è stato ridotto da 158 a 118 marinai mentre nella zona della nave trasformata ad area di detenzione, sono state deposte stuoie e coperte e sono state predisposte grandi quantità di cibo come riso e fagioli. La nave è attualmente parte integrante della Combined task force 151, Ctf 151, la forza navale multinazionale a guida Usa e a cui partecipano ben 14 Paesi dell'Europa, Africa, Asia e Oceania, che conduce le operazioni di pattugliamento nell'area che comprendente il Golfo di Aden, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano e il Mare Arabico.
Il soggiorno dei prigionieri nella prigione galleggiante sarà di breve durata. E' infatti previsto che essi siano poi, trasferiti in Paesi africani con cui gli Usa hanno sottoscritto accordi in merito alla deportazione di cittadini sospettati di pirateria o terrorismo internazionale. Dopo il Kenya sembra che stiano per essere firmati accordi anche tra Washington la Tanzania e Gibuti.
Ed è proprio in virtù dell'accordo, il cui contenuto è stato segretato, sottoscritto, alla fine dello scorso mese di gennaio, tra il Dipartimento di Stato americano e il governo di Nairobi in Kenya, lo scorso marzo si sono avute le prime 'deportazioni' di pirati catturati in alcuni centri di detenzione del Paese amico dove poi, resteranno in attesa di essere giudicati da un tribunale nazionale. Anche alcuni governi europei, come la Gran Bretagna, hanno firmato accordi simili con il Kenya. Il primo colpo anti pirateria messo a segno da questa forza navale schierata nel Golfo di Aden è avvenuto lo scorso 11 febbraio. Grazie all'intervento dell’incrociatore lanciamissili Uss 'Vella Gulf', nave ammiraglia della Ctf 151, venne sventato l'arrembaggio del mercantile Polaris, battente bandiera delle Isole Marshall. L'intervento della nave statunitense permise la cattura dei 7 pirati che si trovavano a bordo della piccola imbarcazione a motore che aveva assalito la nave mercantile. Dopo 25 giorni di detenzione sull’unità navale 'Lewis and Clark,' i 7 vennero poi, deportati in Kenya dove le autorità di Nairobi ne hanno assunto la custodia in attesa del processo nei Paesi d'origine. Il sottosegretario Usa per la sicurezza internazionale, Stephen Mull, ha da tempo auspicato che ci sia al più presto la costituzione di una Corte internazionale che giudichi gli autori degli atti di pirateria.
Ancor prima, nel mese di dicembre, era stata un'unità della Marina indiana a catturare altri 23 pirati risultati di nazionalità somala e yemenita. I predoni del mare erano stati arrestati mentre stavano arrembando una nave mercantile nel Golfo di Aden. In seguito furono consegnati alle autorità dei rispettivi Paesi d'origine. Sempre in Kenya sono stati condotti i 7 pirati somali arrestati alla fine del mese di marzo da un'unità della marina tedesca quando hanno tentato di assalire una nave cisterna tedesca nelle acque del Golfo di Aden. La loro cattura è stata eseguita dalla Fregata 'Rheinland-Pfalz'. Per la Germania si tratta della seconda volta in cui consegna pirati somali al Kenia. Nel frattempo Washington ha informato gli alleati che
nel caso del pirata catturato con un blitz dopo l'assalto dato alla nave porta container 'Maersk Alabama', battente bandiera a stelle e strisce, intende istruire in Usa il processo a suo carico. Il Dipartimento di Giustizia sta valutando solo se tenere il processo a Washington oppure a New York, dove l'armatore della nave americana ha la sua sede legale. In questo caso non verrebbe applicato l'accordo che vige tra gli Stati Uniti e il Kenya nel trattamento dei pirati catturati nelle acque somale. L'accordo non contempla casi riguardanti attacchi di pirati nei confronti di navi americane. Se il processo verrà celebrato in America sarà il primo caso di pirateria dopo 200 anni. Per i reati di pirateria e di sequestro di persona negli Stati Uniti è previsto il carcere a vita. Sono invece stati portati in Francia, dove saranno processati, i 3 pirati somali arrestati nel corso del blitz delle forze speciali francesi, di alcuni giorni fa per liberare 4 dei 5 ostaggi sequestrati su uno yacht francese, Tanit, che era stato catturato dai pirati il nel Golfo di Aden. Ieri la Procura di Rennes in un comunicato si era dichiara competente a procedere in virtù della nazionalità francese e del domicilio degli ostaggi superstiti e della vittima.
Lo scorso sabato invece un tribunale della regione autonoma autoproclamata del Puntland, nel nordest della Somalia, ha condannato a 20 anni di carcere i 10 pirati, arrestati dalla guardia costiera del Puntland, che lo scorso mese di ottobre avevano sequestrato il cargo 'Awail' battente bandiera somala con a bordo un equipaggio siriano e somalo. Alla sentenza i condannati potranno presentare appello. Significativo l'intervento fatto dopo la condanna da uno degli imputati. Abdirashid Muse Mohamed ha preso la parola e a nome dei compagni ha affermato: “Non siamo criminali. Il motivo per cui attacchiamo queste navi è che esse depredano le nostre risorse naturali”. Un'analoga sentenza sempre emessa dal tribunale del Puntland aveva in precedenza condannato all'ergastolo altri 7 pirati e 4 loro complici. Finora sono oltre 150 i pirati che sono stati arrestati nel golfo di Aden.

Pirateria. A causa dei pirati sono molte le compagnie marittime che stanno ripercorrendo la vecchia rotta disegnata da Vasco de Gama

E' sempre più teso il braccio di ferro tra la comunità internazionale e i pirati somali. Quello della pirateria è un fenomeno che sta assumendo dimensioni preoccupanti. I pirati negli ultimi quattro giorni hanno sfidato le potenze navali mondiali presenti al largo della Somalia, allargando il loro raggio d'azione in profondità nell'Oceano Indiano e sequestrando numerose imbarcazioni.
Il fenomeno ha fatto lievitare fortemente i costi di spedizione su cui ha pesato molto l'aumento dei premi assicurativi. Lo scorso mese di maggio i Lloyds di Londra avevano già riclassificato l'area del Golfo di Aden come zona di guerra, paragonandola per quanto riguarda il rischio all’Iraq, e di conseguenza aveva aumentato i premi assicurativi. Ad un anno di distanza la situazione non è cambiata e si prefigurano nuovi aggiornamenti. Il rischio di fare brutti incontri ha anche costretto, le compagnie di trasporto marittimo, a cercare nuove rotte per proteggere le loro navi e i loro carichi. In molte stanno pensando di ritornare ad una vecchia rotta, quella di Vasco de Gama, scoperta nel 1498. Per raggiungere il Pacifico si dovrebbe compiere la circumnavigazione dell’Africa. E' dal 1869, anno dell'inaugurazione del canale di Suez, che in pratica pochi o nessuno segue più quella rotta che del resto è più lunga e rischiosa. Se fosse ripristinata, il fatto avrebbe un valore negativo in quanto costituirebbe un grosso passo indietro nella moderna società e tutto a causa dei pirati. Tra le compagnia marittima che hanno già deciso di ripercorrere la rotta di Vasco de Gama vi è la danese 'Moeller Maersk' che è stata subito imitata dalla norvegese 'Odfjell' che è tra le più grandi compagnia al mondo che trasportano greggio. Fatto questo che comporterà di certo anche un aumento del costo del trasporto del greggio e di conseguenza dei suoi derivati. Sebbene il fenomeno nelle acque al largo della Somalia abbia fatto 'capolino' nel 2006 e i pirati siano saliti alla ribalta nel settembre 2008, quando hanno sequestrato il cargo ucraino 'Faina' carico di armi rilasciato poi lo scorso febbraio, è indubbiamente il 2009 l'anno che ha visto l'intensificarsi dell'attività piratesca nel Golfo. Praticamente i sequestri di navi al largo della Somalia sono raddoppiati dal 2007 al 2008. Nel 2007 sono stati 41 mentre nel 2008 il numero degli attacchi sono stati 111. Nei primi 4 mesi del 2009 sono già 77. Nell'area, vasta circa 2,5 milioni di chilometri quadrati, da mesi incrociano navi da guerra di ben 15 nazioni. Dallo scorso giugno infatti, l’estensione delle attività dei filibustieri somali e la varietà degli interessi colpiti ha indotto la comunità internazionale alla costituzione di coalizione in chiave anti pirati, in barba a divisioni politiche e geografiche, composta da decine di navi da guerra messe a disposizione da Spagna, Germania, Francia, Italia, Danimarca, Portogallo, Grecia, Stati Uniti, Belgio, Olanda, Canada, Cina, Iran, Corea del Sud, Svezia, Giappone, Gran Bretagna, India e Russia. Alcune di queste navi pattugliano l’area in forma indipendente dalle altre, ma la gran parte della flotta anti pirati fa parte di 2 missioni, il dispositivo Combined Task Force, Ctf-151, a guida Usa e la missione 'Atalanta' a guida Ue. Tutto questo però, non basta per prevenire e sconfiggere gli atti di pirateria perché, nonostante la presenza delle navi è impossibile tenere sotto controllo un mare così vasto. Il Golfo di Aden è una delle vie marittime più trafficate al mondo. Per questa rotta vi transita la gran parte delle forniture energetiche mondiali, oltre che una buona parte del commercio marittimo tra Asia ed Europa. Prima di quella del mare di Somalia il fenomeno aveva interessato un’altra importante via marittima mondiale quella dello stretto di Malacca. Quell'area ora è stata 'bonificata'. Il risultato raggiunto è stato reso possibile da un'efficace contrastato favorito innanzitutto dal fatto che i Paesi della regione hanno trovato un intesa comune e sono intervenuti direttamente sui covi dei pirati situati sulla terraferma e senza limitazioni di confine. Cosa che purtroppo non è possibile attuare in Somalia. Il Paese del Corno d'Africa è una polveriera pronta ad esplodere. Sul suo territorio ci sono migliaia di miliziani armati fino ai denti e pronti a coalizzarsi contro chiunque tenti azioni di forza all'interno del Paese. Tra i gruppi più pericolosi ci sono quelli di 'al Shabaab', l'organizzazione islamica ritenuta vicina ai terroristi di al Qaeda e che controlla gran parte del Paese. Finora tranne alcune sortite di tipo punitivo compiute da commandos francesi, nessuno si è mai azzardato a pensare di poter interventi anche sulla terraferma. Secondo l'inviato speciale delle Nazioni Unite in Somalia, Ahmedou Ould-Abdallah, andrebbe per prima affrontato il problema della 'governance' in Somalia, dove dal 1991, anno della caduta del dittatore Siad Barre, regna un caos indescrivibile, per trovare poi una soluzione al problema dei pirati che ne è una diretta conseguenza. La mancanza di un governo legittimato dalla volontà popolare infatti, mentre da un lato spinge i più disperati a correre ogni rischio per assicurarsi la sopravvivenza dall’altro rende impossibile il controllo del territorio. Questo opzione però, sembra ricominciare a prendere piede. Sono in molti a ritenere che l'unica soluzione sia attaccare le basi a terra dei pirati che del resto sono tutte state identificate. L'ipotesi sarebbe l'invio di una forza anfibia internazionale che con una rapida azione ripulisca le coste dai bucanieri somali. Una soluzione questa che è prevista dal Trattato di Montego Bay del 1982 meglio conosciuto come la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare che sancisce anche il diritto alla repressione della pirateria. Un diritto che comporta anche l'autorizzazione ad inseguire una nave dalle acque internazionale fino in quelle territoriali, e anche fino alla costa. E ancor di più, che vede il diritto di distruzione del 'sorgitore'. Quest'ultimo è il termine marinaresco il cui significato è: qualsiasi zona da cui può partire un mezzo marino che non sia un porto. A frenare il ricorso all'opzione di intervento armato sulla terraferma pesa anche il fatto che i pirati appaiono agli occhi delle popolazioni locali come degli eroi e pertanto, di certo, le genti somale sarebbero pronte ad aiutarli. Non a caso nei giorni scorsi uno dei predono del mare catturati recentemente in un 'intervista si è dipinto come un moderno Robin Hood. Sembra infatti che il messaggio che i pirati lanciano alla gente sia: “Noi togliamo dei soldi a chi ne ha tanti e li usiamo per stare meglio tutti”. Un'idea che ci riporta con la mente alle imprese del pirata Morgan. Con il cambio dell'inquilino alla Casa Bianca la pirateria in Somalia è diventata oggetto di forte dibattito anche negli Usa. Una discussione che ruota intorno alle due opzioni classiche: mantenere un profilo basso o attaccare le basi dei pirati sulla terraferma. Un confronto politico e militare che a Washington ha assunto connotati diversi dopo che è stato compiuto da parte dai pirati somali l'abbordaggio, il primo dopo 200 anni, di una nave americana. Il fatto che siano stati attaccati gli 'interessi americani' potrebbe ora far prevalere quella parte che protende per l'azione di forza. Tuttavia, pochi Paesi sono favorevoli a un'operazione militare condotta in terra di Somalia. In proposito l'edizione odierna del quotidiano americano 'Los Angeles Times' riporta una dichiarazione del premier somalo Omer Abdirashid Ali Sharmarke che ha affermato: “La lotta contro i pirati potrebbe contare su una soluzione rapida, semplice e relativamente poco costosa: il coinvolgimento delle autorità somale”. In effetti nei giorni scorsi il presidente somalo, Sheikh Sharif Ahmed, aveva sostenuto di avere un piano per sconfiggere i pirati simile a quello con cui nel 2006, quando era a capo dell'Unione delle Corti Islamiche, Uci, ebbe per qualche mese ragione del problema. Un piano che ipotizza l'invio di 1000 soldati in alcuni dei porti della costa somala per dare la caccia ai pirati e la creazione di una Guardia costiera composta da circa 3mila uomini. Purtroppo la mancanza di fondi ne ha finora impedito l'attuazione. Quando nei giorni scorsi, il deputato americano Donald Payne, si è recato in visita a Mogadiscio le autorità somale gli hanno fatto presente questa loro necessità illustrandogli quanto, nella lotta contro i pirati, il loro piano potrebbe dare risultati migliori rispetto all'attuale strategia. Trovando nell'inviato di Obama un valido sostenitore. “costa di meno affrontare questo problema sulla terra, prima che i pirati salpino per andare ad attaccare le navi nelle acque del Golfo di Aden”, ha affermato Payne, che ha annunciato la sua intenzione di chiedere fondi al Congresso.
Il presidente americano, Barack Obama, dopo aver seguito la linea del silenzio, ad aver aletto a portavoce del suo pensiero il segretario di Stato, Hillary Clinton, di recente ha dichiarato che intende porre fine alla pirateria al largo della Somalia, rafforzando la collaborazione con gli alleati e ha ordinato un blitz delle forze speciali americane contro i pirati per liberare un ostaggio americano nelle loro mani. Da parte loro, i pirati hanno minacciato rappresaglie e attacchi. “le recenti azioni di autodifesa effettuate da Francia ed Usa hanno lanciato un forte messaggio ai pirati e, ciò che più conta, a quanti li manovrano sfruttando la povertà e la disperazione dei loro giovani compatrioti”, con queste parole, il rappresentante speciale dell'Onu per la Somalia ha commentato i blitz. Gli Stati Uniti attualmente stanno valutando anche l'ipotesi di inviare navi da guerra lungo la costa somala per lanciare una campagna contro le navi madre dei pirati. Quelle grandi imbarcazioni da cui partono le veloci scialuppe utilizzate dai pirati durante gli attacchi e razzie via mare.
Nel contesto si inseriscono anche i timori degli operatori umanitari del Programma alimentare mondiale dell'Onu, Pam, i quali temono che la popolazione somala possa rimanere senza aiuti alimentari a causa del precipitare della situazione al largo della Somalia. Anche le navi cariche di aiuti umanitari vengono arrembate dai predoni del mare. Quasi metà dei 7 milioni di abitanti della Somalia dipendono da questi aiuti.

martedì 14 aprile 2009

Pirateria in somalia. I pirati annunciano il cambio di strategia e intensificano gli attacchi alle navi

Dopo gli ultimi assalti compiuti dai pirati somali sono ora trattenute nelle loro mani 20 navi e 300 ostaggi. Di fatto è un record in quanto è il numero più alto mai raggiunto da quando ha preso il via il fenomeno nel 2006. Nelle ultime 24 ore, nelle acque al largo della Somalia, sono state catturate altre 4 imbarcazioni: Due pescherecci egiziani, un mercantile greco e una nave battente bandiera togolese. I dati forniti dall'Agenzia marittima internazionale, Imb, con sede a Kuala Lumpurn che si occupa del monitoraggio di questo fenomeno, sono in continuo aggiornamento. Mentre nel 2008 le navi sequestrate erano state poco più di 80, contro le 31 del 2007. Nei primi 4 mesi del 2009 sono già 77 le navi catturate dai pirati. Dati questi che hanno fatto diventare la Somalia il cuore della pirateria mondiale. Un primato raggiunto tranquillamente nonostante nella zona sia schierata una coalizione navale internazionale in chiave anti pirata, pronta anche al blitz per salvare gli uomini tenuti in ostaggio dai predoni del mare. Cosa che si è puntualmente verificata con due blitz compiuti nei giorni scorsi dalle forze speciali francesi e americane per liberare alcuni loro connazionali. Ora però i moderni filibustieri che finora non hanno mai ucciso ne hanno mai praticato violenza di sorta sugli ostaggi, dopo i blitz, hanno minacciato di voler cambiare metodo. I primi segnali stamani quando i pirati dopo aver catturato due mercantili hanno, per la prima volta, aperto il fuoco su una terza nave. Sia gli ostaggi sia le navi sono tenuti in custodia nel porto di Eyl, nel Puntland, regione semiautonoma a Nord est della Somalia, una volta piccolo porto di poverissimi pescatori, ora capitale della nuova Tortuga dei bucanieri, a cui poi, si associano anche una serie di altri porticcioli vicini. Pur conoscendo il luogo esatto dove vengono condotte navi e uomini, fino ad oggi nessuno è mai intervenuto per porre fine a tutto questo anche perchè gli ostaggi, in caso di attacco da parte delle forze internazionali, potrebbero trasformarsi in scudi umani. Il fenomeno nonostante il massiccio impiego di forze navali di contrasto ha negli ultimi mesi subito un'accelerazione inattesa inoltre sembra che per quanto riguarda gli ultimi sequestri le imbarcazioni sono state portate invece che a Eyl, più a nord, tra Puntland e Somaliland, l'altra regione somala autoproclamatosi indipendente nel marzo del '91. Essendo l'area peraltro storicamente contesa tra le due regioni il fatto fa pensare che sia avvenuta una scelta strategica da parte dei pirati per esacerbare i contenziosi geografici tra Puntland e Somaliland, da sempre forti.
Oggi il termine pirata pur evocando immagini d'altri tempi: bandiere nere con il teschio e le ossa incrociate, arrembaggi e scorrerie e ormai tutt'altra cosa. I moderni bucanieri che infestano i mari sono sempre di più dotati di mezzi moderni e hi tech, e rappresentano, al pari dei loro predecessori, una minaccia molto seria per i commerci e il turismo via mare. I pirati sanno adoperare internet e i sistemi satellitari di rilevamento e sono in grado di compiere transazioni bancarie e hanno contatti internazionali che gli consentono di riciclare i proventi dei loro arrembaggi. Oggi le zone del mondo più colpite dal fenomeno sono: il Corno d'Africa e l'Oceano Indiano.
I predoni del mare somali sono facilitati nella loro attività dal vuoto di potere e dal caos che da 1991 regna in Somalia. In un Paese privo di istituzioni legittimate dal popolo la pirateria ha finito per incontrare enormi consensi popolari. Tanto è vero che intere cittadine sono solidali e collaborano con i pirati partecipando anche alla ripartizione dei proventi. Per molti dei somali che abitano lungo le coste il ricorso alla pirateria di fatto non è stato altro che un lavoro alternativo, l'unico praticabile per chi si è visto togliere il mare, ormai il più inquinato del mondo, che era la sua unica fonte di sostentamento. Tra i pirati ci sono anche persone che con il mare hanno poco a che fare e il mestiere del marinaio-pirata l'hanno imparato per necessità. Sono per lo più pastori che hanno appreso una discreta abilità marinara che li ha resi capaci di spingersi, a bordo di piccole imbarcazioni, anche per centinaia di miglia dentro l'Oceano Indiano per poi, abbordare con funi e rampini le navi.
Recentemente è avvenuto anche il sequestro di una nave statunitense, il primo dopo due secoli. Il presidente americano, Barack Obama, ha promesso di voler risolvere il problema della pirateria, lungo quella che è una rotta fondamentale per il commercio marittimo mondiale. Anche il suo omolgo francese Nicolas Sarkozy ha lanciato un appello alla mobilitazione internazionale per bloccare il fenomeno. Finora la comunità internazionale ha dislocato nell'area una forza navale internazionale in chiave anti pirata. Una coalizione navale che però, non ha avuto finora grande effetto nel contenere quella che è stata definita la principale minaccia che colpisce interessi politici, strategici e commerciali di tutto il mondo. Finora l'Onu ha approvato delle risoluzioni che autorizzano le marine da guerra di Paesi terzi a entrare nelle acque somale per inseguire i pirati e consentono loro l’utilizzo della forza. Dallo scorso dicembre il Consiglio dei ministri degli Esteri dell'Unione europea ha inviato in quelle acque una missione navale europea a difesa del traffico marittimo al largo della Somalia, nel Golfo di Aden, nell'oceano Indiano e nel mar Rosso infestati dai pirati, la 'missione Atalanta'. Alla missione vi partecipano Italia, Belgio, Francia, Grecia, Olanda, Svezia, Spagna, Gran Bretagna e Germania. Dall'inizio dell'anno è operativo anche un dispositivo anti pirateria creato dal Pentagono e gestito dalla V Flotta, il 'Combined Task Force', Ctf 151. Inoltre il Golfo di Aden è pattugliato anche da navi militari del Canada, Russia, India, Giappone, Corea del Sud e Cina. La sola Russia ha mobilitato una propria forza navale costituita da ben 5 navi. Il primato di essersi attivata per prima nel Golfo di Aden in chiave anti pirati, è dell'Italia che intervenne nel 2005 con la fregata lanciamissili della Marina militare 'Granatiere'.
Finora l'informazione fornita dai media sul fenomeno è stata piuttosto selettiva. Una dimostrazione è data in occasione del recente sequestro del rimorchiatore italiano, Buccaneer, con a bordo 10 marinai italiani. Solo in questo caso il fenomeno della pirateria ha trovato spazio ed è stato riportato dai media italiani. Sulla loro liberazione si tratta ed è stata presa in considerazione l'ipotesi di un blitz, se non come ultima ed estrema opzione. Naturalmente la fregata della Marina militare italiana 'Maestrale', che partecipa alla missione europea antipirateria 'Atalanta', con 220 uomini a bordo, è pronta ad ogni evenienza. In caso di blitz, secondo la prassi ricorrente, sono le forze del Paese interessato ad intervenire, pertanto saranno i due elicotteri e gli incursori di Marina imbarcati sulla fregata ad entrare in azione, naturalmente insieme e in coordinamento con gli alleati.
Se si guarda in profondità in questo fenomeno si legge un messaggio. I pirati lo hanno lanciato da tempo. Un messaggio che però non è piaciuto e allora quasi nessuno si è incaricato di trasmetterlo alle opinioni pubbliche occidentali. Il fenomeno della pirateria in Somalia nasce dalla necessità di voler sopravvivere e i pirati non sono altro che i pescatori somali che sono rimasti senza lavoro a causa di responsabilità da ricercare nell'ambito nazionale e internazionali. Per quasi vent'anni nessuno si è preoccupato di tenere sotto controllo le acque territoriali della Somalia. Questo ha permesso per primo che il mare somalo fosse invaso fin sotto costa dai pescherecci dei Paesi industrializzati che lo hanno depredato di ogni sua ricchezza. Poi, che venisse invaso dai rifiuti dei Paesi industrializzati trasformandolo in un immondezzaio internazionale. Quando in seguito, nell'Oceano Indiano si verificò lo tsunami, l'onda anomala arrivò anche in Somalia e fece risalire a galla il micidiale cocktail di rifiuti tossici che era stato mandato a fondo. I villaggi dei pescatori già senza pesce, si ritrovarono anche con le falde acquifere inquinate. Nel Paese nessuno si preoccupò, come era ovvio, di monitorare la situazione. Migliaia di somali, che popolavano le coste, morirono e molti altri oggi soffrono di malattie da contaminazione industriale in un Paese dove invece non esistono industrie. In un certo modo disturba pensare che quella stessa comunità internazionale che non si è mai preoccupata di soccorrere queste persone e nemmeno di proteggere le coste somale dalla depredazione e distruzione oggi invece, ha assunto una posizione dura contro la pirateria. Che di fatto è l'unica attività possibile a cui i pescatori somali possono dedicarsi. Se si è giunti a questo punto è solo per il fatto che è rimasta inascoltata la voce di chi per anni, con forza, chiedeva la restituzione di un mare e delle sue ricchezze che per secoli avevano dato felicità e prosperità a tanta gente. Voci che nessuno ha mai trasmesso all'opinione pubblica mondiale favorendo invece la nascita del fenomeno dei pirati dipinti come feroci terroristi o ancora peggio. E facendo passare soprattutto il messaggio che a causa dei pirati che infestano le acque a largo delle coste somale sono minacciate le consegne degli aiuti umanitari a tutti quei Paesi africani che sopravvivono grazie agli aiuti umanitari. D'altronde chi non considererebbe una preda ambita le centinaia di navi che ogni anno, passando davanti alla propria casa, trasportano l'opulenza dell'occidente.

Thailandia. Si ferma la protesta anti governativa è iniziato il ritiro delle camicie rosse

Stamani è iniziato il ritiro dei sostenitori dell'ex primo ministro Thaksin Shinawatra, fuggito all'estero perchè condannato a 3 anni di carcere per corruzione, dalla sede del governo a Bangkok. I dimostranti anti governativi da ieri sera erano praticamente circondate dalle forze di sicurezza thailandesi. Un ritiro che era stato annunciato, nelle prime ore del giorno, da Veera Musikapong uno dei leader delle camicie rosse. Gli animatori della protesta hanno spiegato di avere deciso di fare un passo indietro per evitare che lo scontro degeneri e causi altre perdite di vite umane affermando nel contempo che continueranno a chiedere nuove elezioni e le dimissioni dell'attuale premier Abhisit Vejjajiva il cui governo considerano illegittimo perchè nato da un ribaltone in Parlamento avvenuto lo scorso dicembre. La Thailandia nei giorni scorsi era andata pericolosamente vicina al baratro della guerra civile. La situazione nel Paese era infatti ormai diventata insostenibile all'indomani degli scontri tra i dimostranti e la polizia. Quest'ultimi avevano risposto al lancio di molotov e pietre sparando ad altezza uomo. Il bilancio finale degli scontri era stato di 2 morti e 113 feriti fra cui 23 soldati. I circa 2500 thailandesi 'disubbidienti' che si erano accampati nei pressi dell'ufficio del primo ministro Tailandese erano ormai circondati da un numero imprecisato di soldati pronti a dar battaglia. Un rapporto di forze con i militari che era chiaramente sfavorevole ai dimostranti. L'esercito è intervenuto dopo che i manifestanti avevano impedito lo scorso sabato lo svolgimento del vertice dei 16 Paesi asiatici dell'Asean a Pattaya. Sono però, 3 settimane che quasi 100mila le camicie rosse hanno di fatto paralizzato Bangkok dando vita ad una protesta guidata in collegamento video dall'estero dall'ex premier Thaksin, rovesciato dal 'golpe' militare nel 2006. Nonostante il passo indietro compiuto dai leader dei manifestanti anti governativi, stamani il capo della polizia thailandese, Patcharawat Wongsuwan, ha dichiarato che: “Saranno spiccati dei mandati di arresto per i leader delle camicie rosse accusati di aver organizzato riunioni illegali con più di cinque persone, vietate dallo stato di emergenza in vigore nella capitale tailandese”.
Il primo ministro in carica Vejjajiva si è sempre detto contrario ad ogni negoziato con il rivale politico e predecessore Thaksin e dopo l'umiliazione di aver dovuto annullare il vertice dell'Asean ha scelto la linea dura. Le autorità domenica hanno indetto lo stato di emergenza e annullato tutti i festeggiamenti per l'anno nuovo thailandese. I disubbidienti però, incitati dall'ex premier, non hanno mollato e interpretando come una dichiarazione di guerra, la decisione di usare il pugno di ferro a Bangkok e in altre 5 province limitrofe, in segno di sfida allo stato di emergenza sono scesi ancora in strada. Per il momento è rimasto senza risposta l'invito del partito 'Puea Thai' che riunisce i politici filo Thaksin di convocare una seduta straordinaria del Parlamento. Mentre il partito del premier Vejjajiva il Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura, Udd, invoca misure drastiche contro i dimostranti. E' opinione comune, alla luce degli ultimi eventi, che la situazione può essere risolta solo da un intervento dell'anziano re Bhumibol, che finora invece è rimasto in silenzio. Analoghe manifestazioni di protesta ci furono nel mese di dicembre del 2008 quando i militanti dell’Alleanza Popolare per la Democrazia, PAD, un gruppo eterogeneo di monarchici e rappresentanti della borghesia imprenditoriale cittadina che aveva già avuto in ruolo chiave nella destituzione del precedente primo ministro thailandese Shinawatra, indossando le loro caratteristiche camicie gialle, il giallo è il colore che in Thailandia rappresenta la fedeltà al re, scesero in strada a manifestare contro il Partito del Potere del Popolo, PPP, allora al governo. Un partito che era considerato un fantoccio manovrato da quello fondato dal primo ministro cacciato con il colpo di stato del 2006. Dopo che le camicie gialle assediarono per 3 mesi i palazzi dell’esecutivo, e dopo che occuparono i due aeroporti di Bangkok, mettendo di fatto, allora come oggi, in ginocchio il turismo, la Corte Costituzionale thailandese proclamò l’illegalità del PPP e l’interdizione dei suoi membri dai pubblici uffici per cinque anni. A quel punto alcuni fedelissimi di Thaksin passarono all’opposizione, consentendo al PAD di formare un nuovo governo, senza passaggi elettorali. Così nacque l’attuale esecutivo presieduto da Vejjajiva. Pertanto dietro le proteste degli ultimi mesi c'è la contrapposizione tra i due gruppi: le camicie gialle e le rosse. Una contrapposizione che di fatto prende vita dall’antagonismo tra due classi all’interno del Paese. Da un lato il ceto imprenditoriale e cittadino, generalmente favorevole al premier Vejjajiva, e dall’altra il ceto rurale povero, che ha ricevuto molti benefici dalle misure populiste messe in atto dall'ex pemier Thaksin nei suoi 5 anni di governo. Mentre nel Paese dilaga la violenza molti Stati tra cui l'Italia sconsigliano ai propri cittadini di recarsi in Thailandia. Intanto il turismo thailandese è in ginocchio. Si prevedono perdite per almeno 200 miliardi di baht circa 5,6 miliardi di euro, un terzo delle entrate dello scorso anno.

lunedì 13 aprile 2009

Pirateria. Nel Golfo di Aden sono ore di attesa per tutti dopo che i pirati somali hanno annunciato ritorsioni al blitz americano

I pirati dell’Oceano Indiano che hanno le loro basi sulle coste della Somalia annunciano vendetta contro chi, come gli americani e francesi, ha preferito la via del blitz anziché la trattativa e il pagamento del riscatto. I moderni bucanieri hanno ormai dichiarato che intendono alzare il tiro a 24 ore dal blitz Usa che ha portato alla liberazione dell’americano Richard Phillips comandante della nave porta container americana ‘Maersk Alabama’ arrembata nei giorni scorsi, e a 48 ore di distanza da un analogo attacco compiuto dai soldati francesi che hanno liberato i passeggeri di uno yacht a vela a loro volta presi in ostaggio dai pirati. Il successo dell’operazione che ha portato alla liberazione dell’ostaggio americano in mano ai pirati è stato salutato dal presidente americano Barack Obama con parole di soddisfazione e con una sorta di contro sfida: “siamo determinati a fermare l'insorgere della pirateria nella regione”. “Dobbiamo continuare a lavorare con i nostri partner per prevenire attacchi futuri ed essere preparati ad impedire atti di pirateria”, ha aggiunto l’inquilino della Casa Bianca.La situazione, in quelle che ormai sono definite le acque più pericolose del mondo, resta molto incerta e tesa. Di fronte all’escalation del fenomeno, specie al largo della Somalia e nel golfo di Aden, una delle vie marittime più trafficate al mondo dove passa circa il 10 per cento delle forniture energetiche mondiali, oltre che una buona parte del commercio marittimo tra Asia ed Europa, da mesi numerosi Paesi hanno inviato loro navi da guerra a protezione di quelle mercantili. I bucanieri somali da parte loro, hanno lanciato i loro attacchi sempre più in profondità nell'Oceano Indiano. Infatti sebbene da mesi siano impegnata a pattugliare queste acque navi della flotta americana affiancate da navi di altri Paesi tra cui l'Italia, una ventina in tutto, esse restano insicure per qualunque imbarcazione si avventuri a navigarle. Pattugliare più 2,5 milioni di chilometri quadrati di acque si è dimostrato, per le moderni navi della coalizione, in quel luogo in chiave anti pirati, un’impresa proibitiva quanto inutile visto che i pirati comunque raggiungono il loro scopo. Da più parti, viene sollecitato da tempo, l’invio nella zona anche di forze aeree che dovrebbero affiancare le navi nel pattugliamento del mare di fronte alla costa somala utili per spingersi anche sulla terraferma dove si ritiene vi siano i covi dei pirati. Per sconfiggerli, tutti si sono ormai resi conto che è necessario anzitutto, controllare il territorio somalo togliendo di fatto ai pirati un posto dove rifugiarsi. Oggi la terra di Somalia si è trasformata nel nuovo regno della filibusta, una nuova Tortuga. Le azioni di contrasto messe in atto prima dai francesi e poi dagli americani potrebbero ora far innalzare il livello di minaccia dei pirati stessi i cui attacchi contro le navi mercantili fino ad oggi sono avvenuti sempre senza che vi fosse spargimento di sangue. Questi ultimi infatti, alla luce degli ultimi eventi potrebbero decidere di adottare in futuro metodi più violenti. Timori che il vice ammiraglio William Gortney, responsabile del comando navale Usa dell'Oceano Indiano, ha espresso senza velature. Nell’edizione odierna il ‘New York Times’ ha sottolineato quella che potrebbe essere la nuova opzione nella lotta alla pirateria: armare gli equipaggi delle navi mercantili. Sulla questione però si è aperto un forte dibattito. Una discussione alimentata soprattutto dal fatto gli armatori giudicano controproducente un simile passo in quanto oltre a mettere in pericolo la vita dei marinai che non hanno un addestramento militare essi pongono la questione anche sul fatto che se le navi mercantili venissero dotate di armi leggere i pirati, da parte loro, si adeguerebbero facilmente adottando armi pesanti e di conseguenza potrebbero scaturirne scontri che sarebbero sempre impari con i marinai ma anche sanguinosi. Il tabloid americano fa inoltre notare che l’armare le navi comporterebbe anche problemi di scalo nei porti dove le armi fossero proibite. Inoltre, continua il media statunitense, le armi stesse sortirebbero l’effetto contrario ossia anziché essere un disincentivo a compiere attacchi, diventerebbero esse stesse preda ambita dai pirati e quindi un incentivo a compiere attacchi. La soluzione potrebbe invece, venire da un’altra ipotesi che di recente sta fortemente prendendo piede. Il fenomeno dei moderni filibustieri nel mare del Corno d’Africa, oltre a provocare un forte aumento dei costi di spedizione, ha costretto le compagnie di trasporto marittimo a cercare nuove rotte per evitare spiacevoli incontri e proteggere i loro carichi. Pertanto qualcuno ha proposto di utilizzare, affiancandoli alla flotta anti pirati che pattuglia il Golfo di Aden, i contractors privati. Addirittura si ipotizza il ricorso alla Blackwater la compagnia di sicurezza americana composta per lo più da ex membri delle forze speciali della Marina Usa e accusata di essersi resa responsabile dell’uccisione di 17 civili in Iraq credendoli miliziani. Un episodio accaduto nel settembre 2007 a Baghdad e che ha dato il via alla ‘cacciata’ o per lo meno al ridimensionamento dell’utilizzo dei contractors in quel Paese. Pertanto l’idea che si possa ricorrere all’impiego dei contractors, anche per sole operazioni di scorta, ha però destato molte perplessità nella comunità internazionale. Si teme che anche se venissero stabilita regole di ingaggio, che le compagnie private dovrebbero rispettare, è facile, alla luce delle esperienze passate, che in una terra di nessuno com’è oggi la Somalia i contractors potrebbero sentirsi legittimati ad agire ancora di più secondo il proprio arbitrio. Fonti non verificate hanno addirittura rivelato che la Blackwater potrebbe scortare le navi mercantili nei tratti più pericolosi di mare con una propria nave, la ‘McArthur’, equipaggiata ad hoc. La domanda che sorge spontanea è: “come potrebbe riuscire una sola nave la dove hanno fallito finora oltre 20 navi da guerra?”. Nelle intenzioni della compagnia di sicurezza americana, sempre secondo la stessa fonte, più che controllare le acque territoriali somale, mira a mettere in sicurezza un corridoio, situato a circa 200 km dalle coste somale, nel quale le navi possano transitare senza pericoli. Una soluzione questa però, che è già stata sperimentata negli ultimi mesi senza però dare i frutti sperati. Non resta che aspettare e vedere cosa accadrà nelle prossime settimane che sembrano saranno le decisive nelle scelte delle strategie e metodi da usare contro la nuova filibusta. Nel frattempo i pirati, che hanno perso 3 loro compagni nel blitz americano, minacciano rappresaglie e attacchi contro gli interessi americani, anche molto lontano dalle acque somale. “Questi americani bugiardi hanno ucciso i nostri amici, che avevano accettato di liberare gli ostaggi senza riscatto, ma vi dico che ora ci saranno rappresaglie, ha dichiarato Abdi Garad, capo dei pirati, in particolare daremo la caccia a cittadini americani che viaggiano nelle nostre acque”. Garad ha anche affermato che: “se la prossima volta che ci sarà un ostaggio americano non si aspettino da noi alcuna pietà”. I timori sono forti è risaputo che i pirati possono contare su una forza di 1.200 uomini dotati dei più moderni equipaggiamenti militari e sistemi di comunicazione d’avanguardia. Non ci sono, per ora, nuove notizie invece, sull’equipaggio del rimorchiatore italiano ‘Buccaneer’, 10 italiani, 5 romeni e un croato, presi in ostaggio dai pirati insieme all’imbarcazione. La nave è di proprietà della società ravennate Micoperi ed è stata catturata lo scorso sabato al largo della costa settentrionale somala. Al momento l'imbarcazione si troverebbe, alla fonda, di fronte alla costa somala, nella regione autonoma del Puntland a circa 10 miglia dal villaggio di Las Qoray nel nord del Paese e non sarebbero giunte ancora richieste di riscatto. Nel frattempo nelle acque del Golfo di Aden è giunta la fregata della Marina militare italiana 'Maestrale' con a bordo 220 uomini delle unità speciali e 2 elicotteri. Anche se sulla vicenda vige lo stretto riserbo della Farnesina per agevolare la positiva soluzione della vicenda si sa che la nave da guerra italiana è pronta ad ogni evenienza e a seguire le indicazioni che riceverà. In Somalia, per verificare la situazione sul terreno, oggi è giunto il deputato democratico americano Donald Payne. Il parlamentare, considerato un esperto delle questioni africane, è giunto a Mogadiscio su un piccolo aereo insieme al ministro degli Esteri somalo, Mohamed Abdullah Omaar ed ha incontrato esponenti del governo per mettere a punto attività di coordinamento. Una visita che vuole avere anche il peso di una dimostrazione di quanto sia forte la collaborazione tra i governi di Washington e di Mogadiscio. Intanto dalle località di provenienza dei marinai italiani ostaggi dei pirati, da Ortona, da San Benedetto del Tronto, da Torre del Greco, da Mazara del Vallo, Molfetta e Gaeta cresce l'apprensione delle famiglie.

domenica 12 aprile 2009

Campania. Angela Merkel in vacanza nell'isola di Ischia

Con tono ironico un giornale ischitano, 'Il Golfo', riprende una campagna che fu avviata tre anni fa quando il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ospite abituale dell'isola, fu immortalata dai paparazzi inglesi nell'atto di cambiarsi il costume da bagno nella piscina termale. Foto che furono pubblicate dal tabloid inglese 'Sun' e che poi fecero il giro del mondo suscitando enormi polemiche.
Da Ischia le giunsero le scuse dell'intera isola. “Scusa Angela se non siamo riusciti a preservare la tua privacy”, titolò allora 'Il Golfo'. Quest'anno, prima del suo arrivo ad Ischia il giornale locale ha fatto partire una curiosa campagna per garantire la riservatezza al cancelliere tedesco e del marito Joachin Sauer con tanto di indicazioni ai suoi lettori su come ostacolare il lavoro di giornalisti e paparazzi indiscreti. Oltre la tradizionale riservatezza ischitana, che fa da sempre dell'isola partenopea un vanto ed una garanzia per gli ospiti illustri, a dettare, nei cittadini e sindaci di tutti i Comuni dell'isola, la volontà di voler mantenere il comune impegno a non disturbare il riposo dell'importante coppia, vi è la speranza che la 'la donna di ferro' decida di ritornare ancora ad Ischia anche nei prossimi anni. In modo che la sua presenza possa fungere da traino ai turisti tedeschi, che sono la compagine straniera tradizionalmente più numerosa sull'isola di cui amano particolarmente le sue stazioni termali e di cui Ischia è famosa in tutto il mondo. Grazie alla sua estensione territoriale, Ischia consente ai suoi ospiti di trascorrere anche periodi di relax immersi in un paesaggio che alterna al blu del mare il verde della natura, con la possibilità di starsene lontani da occhi indiscreti. Il cancelliere tedesco è nell'isola verde proprio per godersi tutto questo e rivedere le persone di cui è diventata amica negli 10 anni. Anche Gerhard Schroeder, suo predecessore amava trascorrere, con la sua famiglia, le vacanze al mare in Italia e per la precisione a Positano sulla costiera amalfitana.
Nell'intenzione della Merkel è trascorrere ad Ischia una vacanza di 8 giorni. I due sono ospiti dell'Hotel Miramare, nella baia di Sant'Angelo, tra la piazza ed i giardini Afrodite.
Nei giorni scorsi il quotidiano di berlino 'Bild' ha spiegato che le vacanze della Merkel seguono un rituale ben sperimentato da anni. In estate va a Bayreuth e a Natale in montagna in Svizzera e durante le festività pasquali, a Ischia. Sebbene l'isola partenopea abbia blindato la sua presenza, dopo lo sgradevole episodio del 2006. La Merkel è arrivata lo scorso venerdì ad Ischia a bordo di un aliscafo di linea dell''ALILAURO' salpato dal porto di Napoli. Il capo del governo tedesco seppure vestita in maniera sobria e mescolata a tutti gli altri passeggeri è stata comunque riconosciuta e in molti le hanno scattato fotografie e salutata. Disponibilissima come sempre, il cancelliere si è mostrata per nulla indisposta e ha anche scherzato con alcune persone.
Ad Ischia la leader di Berlino potrà soddisfare una delle sue passioni: la cucina italiana e gustare la pasta e il vino rosso. Per una settimana sarà 'la cancelliera della Pasta' ha titolato il 'Bild'. Per lei Ischia è il posto ideale dove passeggiare e riposarsi ha scritto ancora il tabloid berlinese. Oggi Pasqua, il mare mosso di 'Grecale' con vento fino a 15 nodi ha impedito al Cancelliere tedesco di imbarcarsi sul peschereccio 'Il Pellicano' e uscire in mare con alcuni pescatori del luogo optando invece, per una passeggiata verso Monte Epomeo. La battuta di pesca era stata programmata il giorno prima quando da un pescatore locale aveva anche acquistato del pesce fresco tra cui uno scorfano dal peso di un chilo.

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Una fiammella accesa per tutte le persone che soffrono al mondo

Una fiammella accesa per tutte le persone che soffrono al mondo
Nel mondo sono tante le persone che piangono e soffrono a loro dedico un affettuoso pensiero....

Unioni Civili

Unioni Civili
SI ALLE UNIONI CIVILI NO ALLE ADOZIONI

STOP ALLE VIOLENZE IN SIRIA

Il mondo non può più stare a guardare mentre migliaia di siriani si vedono privati della libertà e della vita.....

Tutta la verità sul sequestro del rimorchiatore Buccaneer

Tutta la verità sul sequestro del rimorchiatore Buccaneer

Rivista e libro in vendita al sito www.liberoreporter.it

A tutti quei bravi ragazzi morti per l'Italia

A tutti quei bravi ragazzi morti per l'Italia
Non mi abituerò mai a quest'immagine! Onore ai caduti

Nel mondo ogni giorno vengono compiute carneficine immani in cui le vittime sono inermi civili

Nel mondo ogni giorno vengono compiute carneficine immani in cui le vittime sono inermi civili
in memoria di coloro che hanno versato il loro sangue a causa del terrorismo ed ora sono solo ombre!

sono solidale con gli immigrati clandestini

sono solidale con gli immigrati clandestini
il volto di un immigrato

...a quei bravi ragazzi, figli dell'America di oggi, morti in guerra!

...a quei bravi ragazzi, figli dell'America di oggi, morti in guerra!

DARFUR:NON C'E' PIU' TEMPO DA PERDERE!

IN DARFUR SONO DECINE SE NON CENTINAIA LE PERSONE CHE MUOIONO OGNI MESE...
FAI LORO DEL BENE... AIUTA I RIFUGIATI E I PROFUGHI DEL DARFUR FACENDO UNA DONAZIONE ALL'AGENZIA ONU PER I RIFUGIATI UNHCR CHIAMA LO 0680212304 PER SAPERE COME FARE....
RICORDATI BASTANO 31 EURO PER ACQUISTARE 8 COPERTE, 51 EURO PER UNA TENDA E 200 EURO PER DARE ASSISTENZA MEDICA A 25 FAMIGLIE...

Un bambino del Darfur

Un bambino del Darfur
aiuta ad aiutarlo sostieni le iniziative pro Darfur
In Darfur dal 2003 ad oggi sono state compiute esecuzioni, anche di massa, stupri, soprattutto di massa, nei confronti di donne, uomini e bambini e interi villaggi sono stati rasi al suolo. Il terrore è stato usato come pratica generalizzata e a sfondo razziale mentre lo stupro è diventato una vera e propria arma da guerra.
Il governo sudanese di Khartoum da parte sua ha bombardato senza sosta i civili, e ha reso sempre più difficili le operazioni di soccorso delle organizzazioni umanitarie nei confronti delle genti del Darfur, fino al punto di far scappare via la maggior parte delle Ong operanti nella regione sudanese e liberarsi così di scomodi testimoni di quanto accadeva in quei luoghi. La stessa tattica è stata seguita prima con i peacekeepers dell'Ua e poi con quelli dell'Onu...
Tutto il mondo è a conoscenza di quanto accade in quella remota regione sudanese e lancia denunce. Da un lato Washington parla di genocidio, dall’altro l'Onu parla di catastrofe umanitaria e di pulizia etnica.
Il tutto però resta nella totale impunità!
Intanto, dal Febbraio 2003 anno in cui è iniziata la ribellione della popolazione di etnia africana del Darfur, circa 6 milioni in maggioranza musulmana e in parte animista, contro il governo sudanese, musulmano ma integralista e soprattutto di etnia araba e bianca, è scoppiato il conflitto che ha causato finora circa 300mila morti e due milioni e mezzo di profughi. Una protesta nata per lo stato di totale abbandono e sfruttamento in cui la popolazione nera era tenuta. La repressione del governo centrale è stata spietata, soprattutto facendo uso dei Janjaweed, i diavoli a cavallo, che sono milizie nomadi di etnia araba che hanno compiuto tutti gli orrori possibili e inimmaginabili contro le genti del Darfur di etnia nera, per lo più contadini e pastori.

Il pianto di un innocente a Gaza

Il pianto di un innocente a Gaza
Ancora una volta il mondo intero si dovrebbe vergognare!!!
La guerra chi puo raccontarla? E' difficile farlo ma tutti possiamo immaginare come sia il sentire l'odore dei morti abbandonati nelle strade o sotto le macerie, il vedere i bambini che muoiono di fame accanto al cadavere della madre, il sentire il lamento dei feriti e lo strazio dei sopravvissuti, di chi si vede impotente e maledice chi gli ha portato via tutto.
Nella Striscia di Gaza siamo ormai quasi alla terza settimana di bombardamenti e inesorabilmente, come non potrebbe essere diversamente con tutta la tecnologia militare del 21° secolo che gli israeliani stanno usando, il numero dei morti tra i civili continuato ad aumentare, mentre l'esercito israeliano bombarda le loro case si moltiplicano tra i palestinesi le scene di disperazione e di dolore causati dagli effetti devastanti della guerra che certamente non sono cambiati nel tempo anzi al contrario.

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran

Giugno 2009: La rivoluzione di velluto in Iran
Sono solidale con i persiani che manifestano

Il 12 giugno 2010 è caduto il primo anniversario delle contestate elezioni iraniane. Elezioni che decretarono la riconferma a presidente dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad. Il Paese ha vissuto le prime ora di questa giornata con una calma carica di tensione che poi, è scoppiata nel pomeriggio intorno alle 16, le 13.30 italiane con i primi scontri tra manifestanti e forze di sicurezza nei pressi dell’Università Sharif di Teheran. Era impensabile che l’opposizione iraniana del movimento riformista dell’Onda Verde si facesse scappare questa occasione per proclamare il proprio dissenso al regime degli Ayatollah. I luoghi delle sanguinose proteste post elettorali di un anno fa si sono quindi di nuovo riempiti di manifestanti. Questo, nonostante l’appello dei leader dell’opposizione, Moussavi e Karroubi, a evitare di scendere in piazza e nonostante che le forze di sicurezza avessero preso posizione in vari punti strategici del centro di Teheran per prevenire manifestazioni. Nonostante le proteste e le accuse di brogli elettorali il contestato presidente Ahmadinejad ha potuto proseguire nel suo mandato, quasi certamente usurpato, grazie all’appoggio dell’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema. La lotta continuerà. Viva la Persia! Viva il movimento riformista!


i 44 presidenti degli Usa

i 44 presidenti degli Usa
da www.patrickmoberg.com/blog/id:420/november-4-2008

The President United States of America

The President United States of America
Barack Obama

E' morta Miriam Makeba

E' morta Miriam Makeba
Addio Mama Afrika....io continuerò a sognare...

Notes

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Italia. Violenza sessuale è allarme sociale


Dopo i recenti casi di stupri, a Roma, Bologna e Milano non si riesce quasi più a tenere il conto degli episodio di violenza sessuale che, dall'inizio dell'anno, si stanno susseguendo in Italia ad opera principalmente di stranieri. Un orribile reato che si verifica nelle grandi città metropolitane come nei piccoli centri urbani. Emergono dati da brividi dalle informazioni fornite dal Presidente facente funzioni del Tribunale di Como Giuseppe Anzani e dal Procuratore capo Alessandro Maria Lodolini. Ogni 4 giorni in Procura a Como arriva una denuncia per violenza sessuale. I fascicoli aperti tra luglio 2007 e giugno 2008 sono stati 89, tra violenze sessuali e pedofilia. Ma è solo la punta di un iceberg in quanto, il reato, per la quasi totalità è sommerso perché prevale ancora la paura e la vergogna a denunciare la violenza subita. Fino ad oggi la violenza che subivano le donne era soprattutto domestica, ma gli episodi di violenza che hanno visto protagoniste, loro malgrado, delle donne avvenuti negli ultimi giorni, per le strade, propongono una nuova emergenza. Un autorevole testimonianza è portata da Telefono Rosa che da anni conosce il fenomeno ed assiste le vittime. “Ciò che sta avvenendo dall'inizio dell'anno, precisa il presidente Maria Gabriella Carnieri Moscatelli, mi preoccupa. Non so se è solo l'effetto di maggiori denunce ma, dal nostro osservatorio, non era mai stato rilevata una cosa simile”. Gli avvenimenti degli ultimi giorni non fanno altro che conferma un'allarmante costante: in testa alla classifica degli autori di stupri ci sono gli stranieri. Il triste primato vede fra i primi i romeni, seguiti da marocchini e albanesi che sembra abbiano dato il via ad una esecrabile escalation di violenza contro le donne. Assodato che nella stragrande maggioranza dei casi questi episodi sono commessi da stranieri, spesso clandestini, ora si deve dare a tutto questo uno stop. Certezza della pena, custodia cautelare in carcere per chi è accusato di violenza sessuale ed esclusione di attenuanti per chi delinque sotto effetto di alcool e droghe. Tutto ovviamente tenendo conto di due elementi fondamentali: abbattere l'allarme sociale provocato da questo tipo di reati e tutelare la dignità della vittima, che va assicurata anche nel percorso dibattimentale.
Per raggiungere un risultato anzitutto è importante l'introduzione nel ddl sicurezza dell'obbligo del carcere per chi stupra. Forse il decreto 'anti-stupro' sarà pronto per venerdì esso dovrebbe contenere, come annunciato, importanti novità: gli accusati di stupro non potranno beneficiare della libertà condizionale, ci sarà un avvocato a spese dello Stato per le vittime di violenza sessuale, arriveranno nuovi presidi di polizia con relativi stanziamenti, saranno anticipate le norme contenute nel ddl anti-molestie che la Camera ha già approvato. Tra le altre cose, ci dovrebbero essere anche aggravanti se a commettere violenza sono familiari, partner o tutori; un pesante aggravio di pena se la vittima è sotto i 14 anni; uguale trattamento, invece, se la vittima è maggiorenne o appena sotto i 18; ergastolo sicuro, se allo stupro segue la morte della vittima. Mano pesante anche per i complici: nessuna possibilità di godere dei domiciliari neppure per i favoreggiatori.

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La scuola pubblica in Italia con la 'Riforma Gelmini'

Esprimo la mia piena solidarietà con tutti coloro che protestano contro la Legge 133/08 la cosidetta 'Riforma Gelmini'....

Le cifre presentate nel decreto fanno venire i brividi: i tagli previsti dal decreto legge 112, poi convertito nella legge 133/08, e gli ulteriori provvedimenti contenuti nel decreto 137 porteranno, a livello nazionale, ad una riduzione di circa 100mila posti tra il personale docente e di 43mila posti tra quello Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi).
Per molti, anche per i non addetti ai lavori, l'effetto provocato dalla legge che in pratica azzererà in poco tempo le faticose conquiste di anni e anni, non solo in termini di posti di lavoro, ma anche di mission- educativa e di didattica, rende il momento dei più cupi e tristi degli ultimi anni. Ai tagli vanno poi sommati, le conseguenze che scaturiranno dalla reintroduzione del maestro unico nelle scuole elementari.
L'Europa chiede più scuola, più sapere e l'Italia che fa?
Il contrario!
Rientrodurre il maestro unico è compiere, di sicuro, un passo indietro di almeno mezzo secolo. Se non addirittura si ritorna al tempo del libro cuore, senza offesa per quel libro mio compagno di tanti pomeriggi.
Perchè tutto questo? Bella domanda!
Molto probabilmente si tenta di mascherare con questa supposta riforma quello che è il vero scopo del provvedimento: incassare o meglio risparmiare in poco meno di 4-5 anni 8miliardi di euro. Questa è la cifra stimata, che dovrebbe restare nelle casse dello stato.
Un risparmio quindi certo ottenuto tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro ma al contempo che produrrà anche un effetto negativo: quello di un drastico ridimensionamento del servizio scolastico pubblico in favore forse di quello privato. Inoltre un'altra diretta conseguenza della L.133/08 sarà la chiusura di decine e decine di plessi scolastici.
Molte scuole, soprattutto nei piccoli centri urbani, non ci saranno più. A scomparire sarà anche un altro degli elementi cardine dell'istruzione primaria italiana: il tempo pieno. Bisogna fare attenzione, chi sostiene che il tempo pieno non sarà toccato dalla riforma o che addirittura aumenterà mente sapendo di farlo.
Rifletteteci un poco e capirete perchè!
Se prima, per ogni 2 classi, c'erano 3 insegnanti d'ora in poi sarà uno per classe, a seguire e istruire dai 20 ai 30 alunni e che svolgerà il suo orario lavorativo settimanale esclusivamente di mattina. Pertanto al pomeriggio non potrà esserci altro che un sorta di dopo-scuola, trasformando il tempo pieno di fatto in un parcheggio pomeridiano per i bambini, che nulla ha da condividere con l'offerta didattica di cui fino ad ieri, prima della 'riforma Gelmini', gli alunni potevano usufruire con il tempo pieno.

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ARRIVERA' PER NATALE UNA 'SOCIAL CARD' AD OLTRE 1MLN DI ITALIANI 'POVERI'

C’è un detto che dice: "meglio poco che niente!".
In questo caso tra il poco e il nulla ci sono così poche differenze che è difficile distinguerli.
La 'social card, almeno per il momento, sembra più l’ennesimo spot varato dal governo che piuttosto un provvedimento serio in grado di aiutare per davvero i più bisognosi.
Nessuno però si è ricordato di dire che ogni spesa effettuata con la 'social card' in automatico sarà data una commissione alla Mastercard che è la società che ha emmesso ed è la proprietà della card.
Bhe! Almeno qualcuno di certo ci guadagnerà da questa iniziativa...
Appare strano che un'iniziativa così benefica abbia comunque dei costi accessori...stranezze tutte italiane!

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Parole....di Abraham Lincoln

Non si può arrivare alla prosperità

scoraggiando l'impresa.
Non si può rafforzare il debole
indebolendo il più forte.
Non si può aiutare chi è piccolo
abbattendo chi è grande.
Non si può aiutare il povero
distruggendo il ricco.
Non si possono aumentare le paghe
rovinando i datori di lavoro.
Non si può progredire serenamente
spendendo più del guadagno.
Non si può promuovere la fratellanza umana
predicando l'odio di classe.
Non si può instaurare la sicurezza sociale
adoperando denaro imprestato.
Non si può formare carattere e coraggioto
gliendo iniziativa e sicurezza.
Non si può aiutare continuamente
la gente facendo in sua vece quello che potrebbe
e dovrebbe fare da sola.

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

USA 2008: ELETTO PRESIDENTE BARACK OBAMA

marito e padre

i due rivali

genere umano

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO

GIOCHI OLIMPICI DI PECHINO
da peacereporter

23/02/2002 - 02/07/2008 Ingrid Betancourt è stata liberata!

23/02/2002 - 02/07/2008                  Ingrid Betancourt è stata liberata!
faccio mia la gioia di tutti!

Finalmente liberi!!!

Finalmente liberi!!!

Grazie a loro la Betancourt è libera

Grazie a loro la Betancourt è libera
il ministro della Difesa colombiano Santos e il generale Montoya

Grazie Uribe!!

Grazie Uribe!!
La Betancourt ha incontrato il presidente colombiano Uribe che vinse le elezioni del 2002

madre e figlia!

madre e figlia!
Yolanda Pulecio e Ingrid Betancourt

le due Betancourt

le due Betancourt
Ingrid abbraccia la madre Yolanda

La gioia della libertà riconquistata

La gioia della libertà riconquistata
Ingrid Betancourt dopo la liberazione